Che cos'hanno in comune una rivolta di pescatori corsi in un mare colorato di rosso, un volantino piegato in quattro trovato nella tasca di una giacca, un circuito elettrico nascosto da un controsoffitto, una telefonata nel cuore della notte e un testo poetico usato nel posto sbagliato? L'inizio di una storia. O di più storie, individuali e collettive, ma sempre con due protagonisti in comune: l'ex magistrato Gian Carlo Caselli e l'Italia. Dieci date per dieci capitoli, dalle Brigate rosse alla mafia, dalla strage del cinema Statuto al 'processo del secolo' contro Giulio Andreotti, passando per il Csm e la 'ndrangheta al Nord, fino ad arrivare alle polemiche sulla Tav. Questo libro racconta gli snodi fondamentali di cinquant'anni di storia italiana intrecciati con la biografia, non solo professionale, di un testimone forse unico nel panorama della magistratura italiana: un giudice accusato di essere 'toga rossa' o 'fascista' con sorprendente disinvoltura a seconda delle stagioni e - soprattutto - degli interessi colpiti da indagini e processi. O forse semplicemente perché schierato sempre da una parte: quella della Costituzione, dove ogni cittadino è uguale davanti alla legge.
Le stragi del 1992 hanno lasciato un segno indelebile nella memoria di tutti gli italiani. Trent'anni fa Giovanni Tizian era un ragazzo di dieci anni, già orfano del padre ucciso dalla ?ndrangheta. In questo memoir appassionato ripercorre il ricordo drammatico della scia di sangue che ha unito in un filo comune la sua famiglia a quelle delle tante altre vittime e traccia un amaro bilancio: sono trascorsi trent'anni ma quel 1992 che doveva trasformare l'Italia ha lasciato ogni cosa immutata. Quel dolore collettivo non ci ha cambiati, ha solo prodotto una breve indignazione. Per il resto tutto è rimasto come prima: la cultura mafiosa, la prepotenza, l'umiliazione degli ultimi, dei più deboli, di chi è sotto ricatto. I tratti tipici della mafiosità li ritroviamo purtroppo ancora in ampi strati della società. In queste pagine, trent'anni della nostra storia letti prima con gli occhi di un bambino già ferito nel suo diritto all'ingenuità per la violenza che gli si dispiega intorno; poi con gli occhi del ragazzo che cerca con la sua famiglia un nuovo inizio nella 'normale' Emilia; infine con gli occhi del giornalista che da anni si occupa delle trame torbide del potere. Perché anche quando sembra impossibile ottenere giustizia e verità, può e deve rimanere il desiderio di lottare.
Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino ci svelano le caratteristiche e le trasformazioni delle organizzazioni mafiose di cui si sono occupati nella loro lunghissima esperienza da Palermo a Reggio Calabria, fino alle più recenti inchieste che hanno coinvolto la capitale. Il libro analizza il dna della mafia siciliana e di quella calabrese: la struttura organizzativa su cui entrambe si fondano, la 'famiglia' in cui si entra mediante cerimonie solenni e, infine, il sistema di relazioni che le collegano a soggetti esterni. Un'ampia parte - aggiornatissima alle ultime decisioni dei giudici romani - è dedicata alla presenza della mafia nel Lazio e nella capitale. Dalle vicende romane si prende spunto per affrontare un aspetto oggi centrale nelle pratiche mafiose: l'utilizzo sistematico dei metodi corruttivi e collusivi, senza mai dimenticare che mafia e corruzione sono due cose diverse. Infine gli autori prendono in esame gli scenari più recenti e di frontiera della criminalità economica, particolarmente preoccupanti perché l'espansione delle mafie e la penetrazione dei capitali illeciti nell'economia legale mettono in pericolo le basi stesse della vita democratica.
Chi sono i banditi? Criminali comuni, assassini, ladri, disperati. E ancora: nobili decaduti, artigiani, contadini, giovani ribelli che non accettano il giogo attorno al collo, sia quando viene da un aristocratico del luogo sia quando arriva da un invasore straniero. La loro presenza causa incertezza nelle strade, difficoltà nelle comunicazioni, violenza diffusa. E tuttavia, quando c'è aria di mutamenti di regime essi rappresentano un'opportunità per i potenti che li utilizzano contro i propri nemici. Il libro offre un ampio affresco della reazione ai fenomeni di banditismo dagli albori dell'età moderna fino alla repressione messa in atto nei primi decenni dell'Italia Unita. Emerge un quadro complesso che vede al centro questioni sociali legate alla terra. La lotta del regno sabaudo contro il brigantaggio propriamente detto è quindi solo l'ultimo capitolo di una secolare storia di sanguinose repressioni, in cui i poteri statali che si sono via via avvicendati non sono stati in grado di trovare altra risposta che non fosse il sangue. Certo, è soprattutto in uno stato che si definisce liberale che colpisce la delega assoluta concessa ai militari che governano con leggi eccezionali, stati d'assedio e tribunali militari. Ma Enzo Ciconte ci ricorda che quanto è accaduto nel Mezzogiorno non può essere attribuito alla responsabilità dei soli piemontesi: le truppe venute dal Nord sono state aiutate con le armi da tanti meridionali espressione di una borghesia in ascesa.
La mafia è storia di un intreccio osceno di interessi, affari comuni e favori reciproci con pezzi del mondo legale. Lungi dall’essere un nemico invisibile, è da sempre ben conosciuta anche dai governi del Paese. Un nemico addirittura, a volte, volentieri tollerato.
«Ci si può stupire se un mafioso chiede il pizzo a un negoziante? Se ricatta? Se uccide? È un mafioso, che cosa vuoi che faccia? Alla fine le mosse di un mafioso le puoi prevedere. È la gran parte ‘sana’ della società a essere imprevedibile e a fingere. Finge di non sapere, finge di non capire, finge di non potere, finge che quel che accade non la riguardi. Insomma, finge di essere ‘sana’. Finge così tanto che, forse, ci crede veramente. È una ‘associazione di finzione mafiosa’. Io non ho paura del mafioso, ho paura del mio vicino che finge di essere come me.»
PIF (Pierfrancesco Diliberto)
Oltre un ventennio ci separa dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio del 1992 e da quelle di Firenze, Milano e Roma del 1993. Una tragedia nazionale che sembrò scuotere definitivamente le coscienze e provocare una reazione finalmente determinata dello Stato contro la criminalità organizzata. Eppure, la mafia è tornata a essere molto forte. Per capire le ragioni del suo radicamento dobbiamo volgere indietro lo sguardo e ripercorrere una serie di tappe che dalla strage di Portella della Ginestra, il 1° maggio 1947, arrivano fino a oggi. Ricostruendo questa storia, Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte mostrano che le mafie non sono tanto il prodotto di una arretratezza economica e culturale, quanto di una caratteristica perversa della società e dello Stato italiani. Cosa nostra è una organizzazione criminale che ha affermato, troppo spesso in maniera indisturbata, la propria ‘sovranità’ di Stato illegale. Come tutti gli Stati, anche Cosa nostra ha una sua politica interna e un suo ordinamento giuridico. E ancora, come tutti gli Stati, pure Cosa nostra ha un suo sistema funzionale ed efficace di relazioni esterne. La mafia non va dunque affrontata come semplice fatto criminale: costituisce invece l’esplicazione di un modello inquinato e inquinante che ostacola lo sviluppo del Mezzogiorno e del Paese.
"Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino – oggi rispettivamente Capo della Procura di Roma e Procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma – ci svelano in questo libro le caratteristiche e le trasformazioni delle organizzazioni mafiose di cui si sono occupati nella loro lunghissima esperienza da Palermo a Reggio Calabria, fino alle più recenti inchieste che hanno coinvolto la Capitale. Struttura unitaria e verticistica, presenza di una guida riconosciuta e autorevole; utilizzo della ferocia più spietata e, insieme, altissima capacità di mediazione all’interno e all’esterno dell’organizzazione. Queste le caratteristiche essenziali di Cosa nostra, che per decenni le hanno garantito un ruolo di grande rilievo inizialmente in Sicilia e poi – grazie al traffico degli stupefacenti – su scala mondiale. Anche la ’ndrangheta, storicamente nata e sviluppatasi in varie parti della provincia di Reggio Calabria, ha assunto nel tempo una strutturazione unitaria, che ha superato il tradizionale frazionamento e isolamento tra le ’ndrine. Ma una caratteristica peculiare della ’ndrangheta è il modello della ‘colonizzazione’: la tendenza a espandersi fuori dal territorio originario non solo per singole iniziative criminali, ma per radicarsi. Il libro analizza nella prima parte il DNA comune alla mafia siciliana e a quella calabrese: la struttura organizzativa su cui entrambe si fondano, la ‘famiglia’ di cui si entra a far parte mediante cerimonie solenni e, infine, il sistema di relazioni che le collegano a soggetti esterni (imprenditori e manager, esponenti politici, uomini della burocrazia, liberi professionisti). La seconda parte – aggiornatissima alle ultime decisioni del Tribunale di Roma – è dedicata alla presenza della mafia nel Lazio e nella Capitale."
Per un boss la famiglia conta più dei soldi e del potere. Perché mogli, figli, nipoti garantiscono la continuità dell'impero. La 'ndrangheta - la mafia più potente e ramificata al mondo - fonda la sua forza sui vincoli di sangue. È molto più di un semplice fenomeno criminale: è una cultura intrisa di violenza e di morte che si tramanda di generazione in generazione. Come le madrasse dello Stato Islamico indottrinano migliaia di adolescenti per trasformarli in martiri di Allah, così le 'ndrine allevano i bambini e li formano per un futuro da padrini. Oggi però ammaestrare la prole con le leggi non scritte del crimine ha delle conseguenze irreversibili: l'allontanamento dei minori dal nucleo familiare. È questo il nuovo fronte della lotta alle cosche. Una guerra senza esclusione di colpi, che si combatte dall'ufficio di frontiera del Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria. Dal 2012 sono quasi 50 i giovani strappati dai padrini. Questo è il racconto delle loro vite: un viaggio-inchiesta (con documenti e interviste esclusive) nell'abisso di famiglie falcidiate da un distorto senso dell'onore. Storie di figli che rinnegano i padri, e di madri coraggiose che hanno scelto di abbandonare al proprio destino i mariti fedeli solo alla legge del clan.
Tutta la nostra storia repubblicana può essere letta anche attraverso la chiave dei fatti di mafia perché molti dei nodi irrisolti dell'attualità italiana trovano lì la loro radice. I cento giorni raccontati in questo libro ne sono la prova. Pagina dopo pagina scorrono decenni di delitti e stragi in gran parte perpetrati in Sicilia, ma emergono intrecci che superano decisamente i confini regionali: dall'omicidio come strumento di pressione al traffico internazionale della droga, dalla corruzione elevata a sistema alle speculazioni urbanistiche, dal rapporto conflittuale tra magistratura e politica alle lotte intestine tra apparati dello Stato, dall'uso criminale dell'economia e della finanza al ruolo delle sette segrete, per arrivare al voto di scambio e all'uso spregiudicato dei media. Al centro del libro non ci sono solo cadaveri eccellenti e grandi processi, ma anche figure spesso trascurate, i romanzi, i film, il costume, il cibo, il gergo, gli avvenimenti politici, sociali e di 'colore' che, legati cronologicamente ai grandi fatti di criminalità organizzata, ne sono stati la cornice o hanno rappresentato la ricetta per il suo contrasto. La storia sanguinaria della mafia può essere infatti compresa solo in uno sguardo più ampio che comprenda l'intera vita politica, istituzionale e culturale italiana. Una rilettura che sollecita a riflettere ancora sui grandi misteri, sui segreti ben custoditi, sui gialli mai risolti che costellano la nostra storia recente.
Bruno Caccia fu ucciso dalla 'ndrangheta, senza alcun dubbio. Ma nell'anomala vicenda dell'unico omicidio di un magistrato commesso da un'associazione mafiosa nel Nord Italia rimangono molte ombre. Come sancì la seconda sentenza di appello per il delitto, infatti, e come confermò la Cassazione, il Procuratore fu ucciso in quanto «ostacolava la disponibilità altrui», cioè la disponibilità di altri magistrati verso i malavitosi. Esistono dunque, al di là degli esiti processuali, ben più ampie responsabilità che spiegano anche l'oblio a cui la vicenda è stata destinata. Il libro passa in rassegna le inchieste aperte da Caccia e prende in esame documenti inediti e nuove testimonianze. Quello che emerge è una fitta trama di relazioni pericolose tra alcuni magistrati, alcuni esponenti della criminalità organizzata e gli indagati nelle inchieste 'scandalo', che in quel terribile 1983 coinvolgevano esponenti delle istituzioni, Guardia di Finanza, massoni. La magistratura nel suo insieme ha avuto in questa vicenda - secondo l'autrice - responsabilità gravissime. E arrivato il momento di riconoscerle.
Esasperati dalla corruzione sistemica e diffusa, frustrati dal clientelismo, avviliti dalle cronache giudiziarie, rischiamo di convincerci che l'illegalità in Italia sia invincibile e che la criminalità organizzata abbia sempre la meglio, da Milano a Palermo passando per Mafia Capitale. C'è una buona notizia: non è così.
Oltre i rigori del carcere duro, del 41 bis, e spesso grazie a quelli, una batteria di nuovi collaboratori di giustizia è stata pronta a raccontare tutto e il contrario di tutto. Diventando le pedine del gioco grande. Su guesta scacchiera non il falso, ma il vero apparente, il suo doppio e il suo triplo, giocano una partita torbida che ha per posta carriere, guattrini, tanti, ma soprattutto la sopravvivenza di un sistema di potere. Che si fa beffe dell'opinione pubblica e del suo disorientamento. Che fa di Cosa Nostra e delle altre mafie un mostro fiaccato ma mai morente.
"Mafia Republic si basa su due semplici principi: il primo è che fra le tre grandi mafie italiane esistono molte più differenze di quanto potrebbe sembrare a prima vista. L'altro principio è che a dispetto di queste differenze le mafie hanno molto in comune, innanzi tutto il rapporto perverso con lo Stato italiano. Uno Stato in cui si sono infiltrate, con cui hanno collaborato, contro cui hanno combattuto. L'Italia non ha entità criminali statiche e solitarie, ma un ricco ecosistema malavitoso che continua ancora oggi a generare nuove forme di vita." Questo è il racconto di una storia lunga più di sessant'anni che si intreccia in molte, troppe, fasi con quella della Repubblica italiana.