Partiamo dal mito: Europa, secondo la mitologia greca, era una ninfa, figlia di Agenore e Telefassa, ma nemmeno questo è sicuro. Anche l’etimo è incerto... In verità non conosciamo l’Europa, se ne parla molto perché non si sa bene cosa dire; noi europei abbiamo cominciato a discutere dell’Europa solo a partire dalla Seconda guer- ra mondiale, ma si dovrebbe studiare il suo lungo percorso da Carlo Magno. Centocinquant’anni fa gli europei erano impegnati a creare gli Stati-nazione, non l’Europa. Non si parlava di un’Europa unita, anzi l’Europa era talmente divi- sa che quando gli europei pensavano alla guerra pensavano alla guerra contro altri europei. La cosiddetta supremazia europea si è sviluppata nel XVIII secolo, quando ci si com- piaceva delle rivoluzioni intellettuali dell’Illuminismo e del- la vittoria della razionalità.
L’Europa, cioè l’Occidente, significava progresso e diritti dell’uomo e (più tardi) delle donne. Montesquieu, dopo aver diviso i governi in repubblicano, monarchico e dispoti- co, afferma che costumi come la poligamia confermano che in Asia «il dispotismo è, per così dire, naturalizzato». Ora tut- to questo è finito. Sassoon sostiene che la Gran Bretagna è tutta sola e l’Europa è più disunita che mai; e questo nel mo- mento in cui il mondo deve fare i conti con Donald Trump. Buona fortuna, Europa!
Donald Sassoon professore emerito di Storia europea com- parata al Queen Mary, University of London, è uno dei mag- giori storici contemporanei, allievo di Eric Hobsbawm. Nato a Il Cairo, di nazionalità britannica, ha studiato a Parigi, Mi- lano, Londra e Stati Uniti. Scrive regolarmente per impor- tanti quotidiani in tutto il mondo, tra i quali, in Italia, “Il Sole 24 Ore”. Ha una profonda conoscenza del panorama politico, culturale ed economico europeo e ha pubblicato numerosi libri.
L’assegnazione del Premio Nobel 2016 per la letteratura a Bob Dylan ha suscitato polemiche tra chi lo considera il giu- sto riconoscimento a una poesia che si estende oltre il limite della pagina e chi al contrario trova che i confini tra poesia e canzone non debbano essere né spostati né confusi.
Questo libro del traduttore di Bob Dylan in Italia affronta le questioni parallele del Nobel a Dylan e del suo interesse per ogni forma e stile della canzone americana. Senza astio né indulgenza, senza far finta che il problema del rapporto tra canzone e poesia non esista, l’autore scava nel cuore della poetica dylaniana per valutare sia le differenze e le affinità tra parola scritta e parola cantata sia l’opera complessiva di un artista che, comunque lo si voglia giudicare, ha fatto più ogni altro per rendere la canzone una delle dominanti for- me d’arte del nostro tempo.
Quello che si ascolterà nel cd audio è Shakespeare / Venere e Adone in concerto, la versione dello spettacolo che ha debuttato nel dicembre 2007, ottenendo nel 2009 il premio della associazione Nazionale Critici di Teatro (ANCT).
L’alta densità musicale dello spettacolo, grazie anche al lavoro sul suono del premio UBU 2104 G.u.p. Alcaro, ci ha convinto a tentare di proporne una versione senza scena, se non quella, ricchissima, sonora.
In un tempo in cui siamo quotidianamente costretti a par- lare di violenze e sopraffazioni nei confronti delle donne, il bellissimo spettacolo che Valter Malosti ha ricavato da un poemetto di Shakespeare si pone come un ideale manifesto contro ogni sorta di fenomeni del genere con un’illuminan- te analisi dei meccanismi che li generano e delle loro deva- stanti conseguenze. — Renato Palazzi
In modo delicato, a cominciare dalla magnifica sua traduzione [...], egli rende plastico e verosimile il dramma d’amore. Malosti... è sempre solo, ovvero uno e trino: è il pacato narratore, è il riluttante oggetto del desiderio, è l’invasata Vene- re, un femminiello napoletano-pasoliniano, ora gentile, ora pazzo, furioso, possente. — Franco Cordelli
Cosa ha in comune l'antica tecnica del ventriloquio con i mezzi di comunicazione di massa e i new media? Il libro ricostruisce la storia culturale del ventriloquio: dall'oracolo di Delfi, ai fenomeni del misticismo religioso e a quelli della possessione demoniaca, dalle prime macchine parlanti alle invenzioni moderne del telegrafo e del telefono. Non solo: il ventriloquio diventa, nel testo di Connor, la chiave interpretativa per spiegare i media. Come? Il ventriloquio è quella tecnica vocale con cui si produce una voce umana senza far sì che gli altri se ne accorgano, così che possa essere attribuita a un'altra entità. Tutte le tecnologie di comunicazione di massa (la radio, il cinema sonoro, la televisione, internet) sfruttano il principio della voce dissociata, della voce altra di cui non si vede direttamente la sorgente. La voce disincarnata e smaterializzata dei nuovi strumenti tecnologici diventa così una parola alterata, "una parola altra, anzi la parola dell'altro che insospettabilmente si rivela abitare in noi": una forma di potere di cui questo libro ci rende consapevoli. Leggere La voce come medium aiuta infatti a comprendere i principi su cui si fondano le tecnologie di comunicazione di massa e il perché della loro irresistibile capacità di affascinarci e incantarci.
Onore a King Kong, il film di consumo che appena all'inizio degli anni Trenta del secolo passato aveva spettacolarmente annunciato il punto di catastrofe della civiltà occidentale, fissando in un'icona indimenticabile il rapporto tra miti e tecnologia: Kong - la "grande scimmia" delle origini preumane precipita dall'Empire State Building, il grattacielo più alto del mondo, e celebra il suo lutto nella metropoli più potente della terra. Ecco il motivo del titolo scelto per questo saggio sul fantastico. Tuttavia, allora si sarebbe mai potuto immaginare che l'11 settembre 2001 la scena si sarebbe riprodotta nella realtà contemporanea esattamente nello stesso luogo simbolico e con il medesimo olocausto di carne umana. Non si adonti il lettore di questo accostamento tra la futilità di un film dell'industria culturale e un evento terribile come il crollo delle Due Torri di Manhattan. Sospenda almeno il giudizio, perché si appresta a leggere le ragioni di questo accostamento o quantomeno la sua iniziale prefigurazione, tracciata attraverso una serie di letture testuali in diversi territori mediali: letteratura, illustrazione, cinema, fumetti, persino i primi annunci della cibernetica di consumo.
Geoffrey Hill è tra i maggiori poeti inglesi del secondo Novecento. Insignita dei premi più prestigiosi e studiata dai maggiori critici viventi (tra cui Harold Bloom, che lo ha definito "il più intenso poeta inglese in attività"), la poesia di Hill viene offerta al lettore italiano in un'ampia antologia che ne rappresenta tutte le stagioni, nella traduzione e nella cura di Marco Fazzini, già traduttore degli "Inni della Mercia". Poeta integrale dei drammi della storia ("Ciò che non oso è devastare la storia / O invalidare la legge") e insieme della natura, Hill consegna in queste pagine una poesia tesa e affilata, che rappresenta una protesta radicale nei confronti della perdita collettiva di memoria e dell'avvilente banalizzazione del mondo e dei rapporti umani.
Un libro di poesia che esplora l'impossibile familiarità con il mondo e la propria vita, e lo fa proprio partendo dal terreno apparentemente più vicino e prossimo, che è il quotidiano. Non c'è infatti evento, per piccolo e banale che sia, capace di sfuggire del tutto all'ombra dell'insensatezza e dell'estraneità. Ed è proprio attraversando quest'ombra che la parola poetica cerca di ritrovare un possibile spessore dell'esperienza, di avvicinare quel reale da cui siamo perennemente esiliati. In un'epoca caratterizzata dall'industria dell'immagine e dell'informazione, la strada per il concreto è la più ardua e difficile che ci sia.
A sessantatré anni dall'uscita di "Esercizi. Poesie e traduzioni", Giovanna Bemporad si è finalmente persuasa a riconoscere quello che autorevoli interventi critici, disseminati lungo questo notevole arco temporale, hanno da sempre sostenuto: i suoi versi originali hanno una loro propria preziosa voce, che per essere meglio apprezzata necessitava dell'affrancamento dalle bellissime e ingombranti traduzioni. Rispetto alle precedenti edizioni molte sono le poesie aggiunte e non trascurabile è il numero delle varianti apportate ai testi già editi.