La Repubblica di Weimar nacque sotto una cattiva stella. Su di essa gravò fin dall'inizio la pesante ipoteca conseguente alla sconfitta della Prima Guerra Mondiale e sin dal primo giorno della sua esistenza fu sottoposta alla pressione del potente movimento ideologico bolscevico che, superati i confini russi e nel tentativo di realizzare la rivoluzione mondiale, diffuse contemporaneamente in Europa entusiasmo e paura senza precedenti. Infatti il Partito Comunista Sovietico attuò in modo drammatico, anche fisico, il postulato annientamento di classe della grande e piccola borghesia nonché dei contadini benestanti. In Germania il Partito Comunista Tedesco, il più grande formatosi al di fuori della Russia, fece propria questa tesi. Considerata l'inquietudine che questa minaccia alimentava in ampi strati della popolazione tedesca, non deve sorprendere che, con il nazionalsocialismo, si formasse un contromovimento radicale ed estremista in rapida ascesa sotto la guida di Adolf Hitler. Alla fine la fragile Repubblica di Weimar rimase schiacciata fra queste due ideologie opposte, in quanto non riuscì mai a creare nella popolazione una base democratica sufficientemente ampia e consolidata.
"Divieni ciò che sei": questa citazione da un'ode di Pindaro ricorre con una frequenza certo non casuale negli scritti nietzschiani, esortazione dell'autore a se stesso, ai destinatari delle sue lettere, al lettore degli aforismi. Prendendo il via da una visione organica dell'uomo, che vede cioè corpo, anima e intelletto in uno stretto rapporto di influenze e dipendenze reciproche, e dalla consapevolezza dell'unicità irripetibile dell'individuo, Nietzsche definisce, quale compito primario del singolo, la realizzazione creativa della propria indole. Decisiva in tal senso è la sperimentazione concreta, atta a verificare le proprie inclinazioni, i propri bisogni fisici e spirituali, le potenzialità e risorse della propria personalità.
Dieci studiosi del panorama culturale italiano, espongono da un punto di vista filosofico, politico e religioso i grandi temi del dibattito odierno: la guerra e la pace, la convivenza tra culture diverse, il ritorno alla ribalta delle religioni, i fondamentalismi, i nazionalismi, i localismi, l'ambiente, il mondo islamico, la Cina e altro ancora. Si tratta di problemi che attraversano e animano ogni giorno le cronache quotidiane, interrogativi etici difficili che nei dieci interventi qui proposti emergono nella loro drammatica concretezza.
Questo libro raccoglie in un unico volume tutti gli scritti di Sartre sul Tintoretto. Si tratta della prima edizione autorizzata di un'opera alla quale Sartre lavorò per quasi un decennio, dal 1951 ai primi anni Sessanta, senza poi darle una forma definitiva. L'interesse per Tintoretto nasce probabilmente nel corso dei frequenti viaggi compiuti da Sartre a Venezia. L'approccio alla materia è originalissimo: la storia della città e della società veneziana, i rapporti con gli altri pittori (Tiziano, Veronese) e con la pittura fiorentina sono fatti ruotare attorno alla figura del Tintoretto, che Sartre definisce "braccato", in continua lotta con se stesso e con la sua città. "Tintoretto è Venezia - scrive Sartre - anche se non dipinge Venezia".
Fulcro e incipit di una serie di riflessioni socratiche concepite nell'arco del decennio 1940-50, il presente saggio è incentrato sulla tesi - prettamente socratica - ma comune al modo di pensare di tutti gli antichi greci, secondo la quale l'etica sarebbe in ultima analisi fondata sulla conoscenza e, per questo motivo, scevra da ogni volontarismo. Con eruditi esempi si dimostra come sin dall'epoca omerica il greco non "vuole" ma "conosce" il bene etico, contemplandolo alla luce delle fattezze delle divinità che a lui si rivelano. Per Socrate ogni vera virtù è conoscenza e conoscere la virtù equivale ad essere virtuosi. Secondo Otto, l'etica socratica sarebbe quindi un' "etica del sapere", in cui agire dipende unicamente dalla conoscenza del "bene" morale.
"Nonostante l'apparenza, quest'opera non è un libro, ma una presa di posizione: una forma di vita, un modo di pensare, di guardare, di incamminarsi. Il motivo conduttore che lo anima trae origine dall'incipit di un'egloga di Virgilio, Lentus in umbra: chi sta percorrendo la propria esperienza di scrittura e di vita, sa che le parole non sono semplicemente a sua disposizione, ma vanno scoperte "lentamente nell'ombra". Poiché solo chi dona l'ombra alla sua parola le dona anche il senso. Questo nuovo libro di Handke irradia una forza inafferrabile: essa racchiude tutta l'esperienza poetica che è all'origine delle opere che ha fatto nascere, così come della vita che avrà fatto pulsare con la loro lettura." (Paolo Perticari)
Nel novembre del 1850 Schelling leggeva all'Accademia delle Scienze di Berlino le sue "Premesse alla questione sull'origine del linguaggio". Appena due mesi dopo, Jacob Grimm, forte della sua affermazione nell'ambito della germanistica nascente, proponeva al medesimo uditorio la propria interpretazione dell'origine del linguaggio. Ma cosa lega l'universo "fanciullesco" della favola a quello ben più "austero" dell'indagine filosofica sull'origine del linguaggio? Jacob Grimm, in questo suo saggio, si propone di mostrarlo: il legame tra la fiaba e l'origine del linguaggio va ritrovato, sostiene Grimm, nella vita spontanea, popolare della lingua che, appunto alle sue origini, è "fiaba" mentre, nei suoi risultati, è linguaggio storicamente determinato.
Questo libro, pubblicato da Gillo Dorfles oltre mezzo secolo fa, costituisce il compendio decisivo dell'originale concezione estetico-antropologica coltivata dall'autore in un periodo in cui ben altri erano gli orientamenti degli studi italiani sulle arti. Rivolgendosi agli aspetti tecnici dei singoli linguaggi artistici, Dorfles assume una posizione in netto contrasto con l'idealismo crociano, ancora dominante nell'immediato dopoguerra. Lontano da qualsiasi interesse per "l'ineffabile", lo studioso triestino indirizza la sua riflessione alle specificità tecniche e linguistiche delle varie arti, sebbene propenso a situarle in una prospettiva complessa al centro della quale vi sono il concetto di formatività e le costanti formative che ne dipendono.
Racconto scritto e rappresentato da Sartre nel Natale del 1940 per i suoi compagni di prigionia nel campo di Treviri. La storia ruota intorno alla figura di Bariona, capo di un villaggio vicino a Betlemme, ed è ambientata nell'epoca in cui la Giudea era oppressa dai Romani e vessata da continue richieste di tributi. Il testo si offre al lettore come l'immagine di un'esperienza religiosa che raggiunge il suo apice nella descrizione del rapporto di intimità che lega la Madonna al Bambino, e nel contempo come esperienza politica che, nella chiara allusione alla Francia occupata dai nazisti, vuole creare aggregazione e solidarietà tra i prigionieri, credenti e non credenti, e sollecitarli alla resistenza contro gli invasori.
A ognuno di noi è accaduto nella vita quotidiana di assumere determinati comportamenti, di esprimere giudizi, di avere opinioni, di usare parole. Sono fatti che accadono per lo più "senza pensarci". Qualche volta, tuttavia, ci fermiamo, ci viene un sospetto che si trasforma poi in alcune domande: sarà vero? sarà giusto? sarà ben detto? ma di preciso di che cosa si tratta? Spesso passiamo oltre questi dubbi perché la vita preme e il tempo è scarso, persino per riflettere. In questo volume l'autore, uno dei più famosi filosofi italiani, interroga, ascolta e trasforma in consapevolezza le nostre inquietudini, analizzando temi che ritornano nella vita di sempre: la felicità, la vergogna, l'indifferenza, la libertà, il dolore, il coraggio.