C'è urgente bisogno di migliorare la capacità di ascolto verso di sé, verso gli altri, verso la Terra che ci sostiene. Ascolto di sé è anche dialogo interno: cosa sento? (sensazioni del corpo), cosa provo? (emozioni), cosa penso? (immagini, ricordi, sogni). Ascolto degli altri è anche riconoscere il valore intrinseco di ogni persona, e criticare, quando necessario, il singolo comportamento errato o difforme dai propri parametri, senza sminuire l'identità dell'altro. Relazioni ecologiche con gli altri significa anche imparare a negoziare, a trovare un punto d'incontro, a gestire in maniera costruttiva le conflittualità. Ascolto della Terra è sentire con il cuore il suo battito antico, legato alle nostre azioni e alla noncuranza. La Terra ci chiede da tempo una nuova umanità, per costruire e ricostruire. Nella bottega delle relazioni ecologiche si lavora ogni giorno, senza stancarsi né scoraggiarsi, e si fabbricano mattoncini di tenerezza che aiutano le persone e il mondo a stare meglio. Questo libro è per coloro che lavorano nell'ambito della psicologia ma anche del volontariato e, in generale, della relazione di cura, per cogliere che il senso più ampio della loro azione è concorrere alla costruzione di un diverso destino.
Viviamo un passaggio senza fine. Una intima responsabilità ci lega al nostro tempo ormai spinto da un moto incessante e accellerato. Oggi è più difficile essere responsabili verso il proprio tempo, percepirlo come qualcosa di cui prendersi cura, di cui rendere conto a noi stessi e agli altri. E' per questo motivo che occorre ripensare continuamente il senso della responsabilità, la sua provenienza, il futuro che da esso può scaturire. Essere responsabili significa procedere all'altezza delle sfide della propria vita. Significa in fondo vivere.
Nella stesura di questo lavoro c’è un solo punto di partenza: lo sguardo, sempre diverso ma vivo, di tanti bambini, giovani e adulti eredi di una o più culture in movimento nel Belpaese. Un transito di culture, questo, che produce inizialmente un senso di “stranierità”, il primo step di un processo in cui l’entrare in contatto con una persona di cultura straniera, sconosciuta, diversa, obbliga al “confronto/scontro” tra menti diverse.
I disagi che ciò comporta coinvolgono tutti (autoctoni, vecchi e nuovi arrivati), senza alcuna distinzione di sorta (studenti, dirigente, insegnanti, personale ausiliario, amministrativo, esperti esterni, incluso lo stesso mediatore interculturale).
Quanto accade nella Scuola, dunque, non è altro che lo specchio fedele di ciò che avviene fuori, nella vita di tutti i giorni.
Le nostre radici culturali, che devono pur restare quale tratto distintivo dell’identità di ciascun individuo, dovrebbero essere considerate una delle tante sfumature di una tavolozza di colori da cui tutta la collettività possa attingere e trarne giovamento, con l’obiettivo di cogliere il meglio di ogni cultura per una società interconnessa in cui ognuno possa occupare un posto, rivestire una funzione, quella più consona alle proprie caratteristiche, attitudini ed esperienze, per la realizzazione del bene comune. Meglio, quindi, educare alle sfumature, alla pluralità, insegnare che nelle diversità c’è più gusto.
Il metodo proposto in queste pagine, adottato e sperimentato dall’autrice, è da intendersi come un preparare il terreno a diventare fertile in una realtà sempre più plurale, a misura di differenze e in un mondo così “networkizzato” come quello di oggi, dove i confini spazio-temporali stanno scomparendo.
Perché nella mediazione interculturale ciò che conta non è il risultato, come dall’alto di una cattedra ci hanno insegnato, ma quello che accade proprio dal basso, in maniera orizzontale; appunto, tra i banchi di scuola.
Crescere, diventare maturi, evolvere, imparare a vivere. È questo il compito di ogni bambino, ma è anche l'impegno assunto nei suoi confronti da ogni educatore sollecito e attento. Porre attenzione al bambino che sente dolore, prova turbamenti, soffre eventi, anela occasioni, patisce drammi familiari, teme giudizi scolastici, partecipa alla vita sociale e gioisce delle conquiste personali, coinvolge tutta la comunità. Nessuno educa da solo.Un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso. Il cammino, seppur avvincente, non è semplice né indolore. Impreziosire il dialogo emotivo è l'obiettivo di questo volume. Leggere queste pagine è immergersi in onde affettive che da una parte risucchiano verso l'infanzia e dall'altra spingono verso la responsabilità di formare chi è ancora piccolo.
Luigi Gedda (1902-2000) costituisce una pietra miliare nella storia dello "sport cattolico". A lui si deve il merito della rifondazione dell'associazionismo sportivo, dopo il secondo conflitto mondiale, non come un mondo isolato e impermeabile ma come azione per contagiare l'intero mondo dello sport con i valori cristiani, al cui centro è persona umana. Queste pagine rappresentano un primo prezioso ed essenziale sforzo di ricostruzione del lungo intreccio con cui la storia dello sport di ispirazione cattolica e la vicenda nazionale si sono intersecati ma anche reciprocamente influenzati. Dall'unità d'Italia al trauma delle due guerre mondiali, ma soprattutto dalla lunga cesura del ventennio fascista e del suo modello sportivo totalitario, emerge un filo di lettura che, attraverso i molteplici contributi di ricostruzione storiografica, conduce fino alla lettura del fenomeno sportivo dei giorni d'oggi. Oggi, sul solco delle intuizioni di Gedda, il Centro Sportivo Italiano considera lo sport un fattore di educazione e promozione umana, strumento di crescita civile, aperto a tutti i cittadini senza confini di censo, in massima parte rivolto ai bambini e ai giovani come supporto alla loro crescita personale. È sport sociale, il cui fine principale non è primariamente il conseguimento di record o prestazioni, ma la promozione della persona umana.
De finibus terrae: dal Sud America argentino e dal Salento profondo. Jorge Bergoglio e Tonino Bello sono uomini di periferia, attenti alle periferie.
Maestri perché testimoni locali e planetari. Il vescovo di Roma si fa chiamare Francesco per incarnare il volto di una Chiesa povera e dei poveri, amante della pace e del creato; il vescovo di Molfetta, nel 1962, entrava nell’ordine francescano secolare incontrando in Francesco d’Assisi i temi vitali della povertà, della minorità, dell’itineranza.
Le meditazioni dell'uno rimandano a quelle dell'altro e viceversa.
Vibrano sulla stessa lunghezza d'onda.
Li unisce la costante meditazione o la ruminazione della Parola di Dio, l'attenzione ai problemi delle persone, la cura dei poveri, la propensione a privilegiare le esistenze (volti) rispetto alle essenze (dottrine), la fresca veracità della loro testimonianza, l'esigenza di annunciare il messaggio di pace in modo coinvolgente.
Evidente è il comune linguaggio esistenziale o “parabolico”.
L'itinerario nonviolento di Tonino Bello, proposto come una serie di tappe lungo il sentiero di Isaia, s’intreccia visibilmente con quello di Jorge Bergoglio.
Vivono la pace come realismo profetico, dono e impegno, inquietudine creativa. Come cristiana “via, verità e vita” o laico “potere dei segni”, moto delle differenze fecondatrici di comunione. Insomma come rivoluzione della tenerezza (Evangelii gaudium 88, 288) o come capacità di misericordia (così Tonino Bello definiva anche la politica), cioè come azione nonviolenta.
Perché la pace è adesione vitale all’unico annuncio cristiano.