Quali sono i fattori che nel corso dei secoli hanno favorito la diffusione della pedofilia nel clero? Perché la Chiesa non ha voluto o potuto fronteggiare lo scandalo degli abusi sessuali? Come sono cambiati il giudizio e la percezione di questi reati? Domande complesse a cui si dà risposta con una storia della violenza subita o commessa, talvolta in forma esplicita, più spesso in modo insidioso, attraverso rapporti di intimità fatti di confidenze, prossimità, condivisioni. Le strategie messe in atto per tenere in segreto i crimini o per punire i criminali, per tutelare la Chiesa o le vittime degli abusi, per denunciare i fatti anche a costo di ingigantirli, o minimizzarli anche a costo di insabbiarli, sono indagate tenendo insieme norma e prassi, enunciati e pratiche, precetti e comportamenti, reati e peccati. Episodi e casi concreti del passato e del presente, ricostruiti con rigore interpretativo e con un'attenta analisi dei documenti, aiutano così a far luce sull'evoluzione storica dei crimini sessuali del clero.
"Pavel Aleksandrovic? Florenskij è il pensatore che incarna, interpreta ed esprime come nessun altro sia la complessità e la varietà della cultura del XX secolo, sia l'anima del popolo russo nei suoi aspetti più profondi e specifici; è veramente una figura la cui esistenza può essere legittimamente considerata emblema degli splendori e delle miserie del Novecento." L'esegesi del pensiero di Florenskij ha rappresentato una tappa essenziale nelle riflessioni di Silvano Tagliagambe sul ruolo dell'arte e sulla relazione tra visibile e invisibile. In questo volume, il filosofo che fu allievo di Geymonat - specializzatosi in Fisica quantistica all'Università di Mosca - ci introduce all'opera di un personaggio dalla sorprendente versatilità che, prima di trovare la morte nel gulag, fu capace, per dirla con parole di Tagliagambe, di "frantumare ogni barriera tra filosofia, teologia, matematica, fisica, biologia, storia e critica dell'arte, muovendosi con rigore e competenza all'interno di ciascuno di questi campi".
Da quando la neurofisiologia ha iniziato a indagare i correlati neurali delle azioni umane, e considerando che tra i sogni di certi programmi di ricerca sull'intelligenza artificiale vi è quello di costruire nuovi soggetti morali che possano definirsi autonomi, sembra proprio che la capacità dell'essere umano di autoderminarsi sia destinata a eclissarsi per sempre. Tale prospettiva, però, è tutt'altro che recente. Sin dagli albori della storia della filosofia in molti hanno provato a mostrare come la libertà sia soltanto un'illusione, in balìa ora delle divinità ora delle leggi di natura. Di questa lunga storia il saggio vuole dare conto senza ridursi, tuttavia, a una mera rassegna di teorie, ma suggerendo, piuttosto, come - nonostante i vari processi decostruzionisti - nel libero arbitrio si possa individuare una capacità cognitiva irriducibile e irriproducibile, che si configura quale ottima candidata per essere un proprium constitutivum dell'essere umano e fondamento per lo sviluppo di una nuova prospettiva antropologica.
Quasi paradossalmente le teorie dell'Antropocene stanno riportando l'attenzione sull'uomo, sulla sua "natura" e storia, sul suo rapporto con la terra che abita. Dopo un periodo di latitanza, ricompare l'indagine dell'antropologia filosofica con un'attenzione più o meno accentuata alle questioni poste dalle scienze e soprattutto dalla tecnica e dalla ragione digitale. Diventa indispensabile ancora una volta "definire" l'uomo, perché è in atto, anche se non del tutto decifrabile, una vera e propria "rivoluzione antropologica". Con riferimento a questo duplice contesto i saggi qui raccolti, un mosaico incompleto, intendono riaffermare rispetto ai paradigmi naturalistici la singolarità umana sul filo del ricupero della dimensione simbolica nella sua più ampia articolazione e di una riflessione sul fatto primitivo del potere e delle sue molteplici esplicazioni. In ogni capitolo, specialmente in quelli dedicati al corpo, si pongono alcune premesse per un'apertura all'alterità e all'ulteriorità.
La storiografia anglo-americana ha ricondotto le origini della modernità alla cultura protestante, tracciando una via che parte dal pensiero di Duns Scoto e Ockham, passa attraverso i concetti di volontarismo (Boyle, Newton) e di sovranità assoluta di Dio (Lutero, Calvino), per arrivare alla nascita della scienza sperimentale e della teologia naturale. Tutto ciò a condizione di un costante intervento di Dio sulla natura e al conseguente collasso dei confini tra il naturale e il sovrannaturale. Nel presente saggio si parte da una differente prospettiva: prendendo in esame le indagini sui miracoli nei processi di beatificazione e canonizzazione della prima età moderna, viene considerata la separazione e il successivo costituirsi dell'ordine sovrannaturale accanto all'ordine naturale come fondamentale premessa per la nascita della scienza moderna e come elemento costitutivo della teologia cattolica.
"Cinquant'anni di dibattiti, conflitti, occasioni mancate. Dall'enciclica di Pio XI, che nel 1930 denunciò per la prima volta pubblicamente la diffusione dell'"immoralità", fino agli anni '70, che videro il riflusso delle aperture conciliari. Quello che sembra un monolite immutabile - il discorso dei cattolici sul sesso - è stato invece un campo di battaglia. Nel quadro di decenni che hanno visto in Italia grandi mutazioni nei rapporti fra i generi, nel costume, con il successivo arrivo della pillola di Pincus sui banconi delle farmacie e il dispiegarsi della rivoluzione sessuale, la Chiesa ha fatto della morale sessuale un perno su cui fondare la propria azione religiosa e politica. I cattolici italiani, al contempo, hanno prodotto un'enorme, eterogenea e spesso dimenticata mole discorsiva. Il libro ricostruisce la storia di questo discorso, che crebbe rincorrendo i posizionamenti della gerarchia o l'eco dei fermenti provenienti dall'estero. E il fallimento di un entusiasta tentativo di riforma dal basso della morale sessuale."
Per Spong "il cristianesimo non è semplicemente fede ricevuta, ma una fede che cresce costantemente nell'interazione con il mondo; egli evidenzia come sia possibile fare della fede una forza contro l'ingiustizia e la mancanza di compassione nella nostra società moderna" (Karen Armstrong, autrice di Storia di Dio). Cinquecento anni dopo la Riforma del 1517, il cristianesimo è di nuovo in crisi. Non essendosi adattato ai progressi del nostro pensiero e delle nostre prospettive spirituali, si è aggrappato a concetti superati e ha difeso tenacemente dogmi formatisi prima dei grandi avanzamenti nel pensiero umano, di cui siamo testimoni. Per il vescovo Spong, esponente di una nuova interpretazione del cristianesimo, i credo sono diventati semplicemente non credibili. In questo suo ultimo libro, forse il più importante di tutta la sua riflessione teologica, Spong commenta ampiamente le sue "dodici tesi": un tentativo di portare le conoscenze accademiche attuali sui punti cruciali della Bibbia e del cristianesimo ecclesiastico ai cristiani che siedono nelle panche delle chiese e, più ancora, a quelli che se ne sono allontanati.
Erasmo da Rotterdam non ha bisogno di presentazioni nel mondo scientifico; ne ha invece nel campo delle scienze della religione, perché sta ancora pagando lo scotto della libertà di pensiero nel trattare una materia da sempre ritenuta "sacra". Erasmo, prete cattolico, nel secolo della Riforma è stato considerato un pavido conservatore sia dal movimento luterano che dai controriformisti romani, e quindi condannato alla damnatio memoriae. È in atto una riscoperta e una valorizzazione della sua spiritualità secolare come fattore fondante di una cultura europea, che sta cercando con fatica la strada dell'unità dopo l'ubriacatura dei particolarismi e dei nazionalismi.
L'intento di questa ricerca è di prendere "sul serio", forse anche "sul serissimo" e di dimostrarlo, l'itinerario filosofico e teologico di Edith Stein, ponendo in parallelo le voci di chi l'ha conosciuta e ha vissuto un tratto d'esistenza, condividendolo, con lei. L'angolo prospettico presenta un punto di condensazione, il Blickwendung della notte di Bergzabern, il punto di discrimine creatosi con la lettura della Vita di Teresa di Gesù che mutò la vita intellettuale ed esistenziale della giovane fenomenologa e la fece divenire "ponte" nel confronto con la scolastica nell'esperienza della Verità. "Ponte" che tante voci hanno attraversato con lei, nei diversi momenti cronologici della storia, proprio perché vivendo i decenni oscuri dell'Europa ed essendosene lasciata attraversare, ha reso se stessa "ponte incarnato", che ognuno/a può percorrere e attraversare, per giungere alla conoscenza di sé ed aprirsi al mistero dell'irruzione di Dio. Edith Stein, scoperta la sua vocazione di "ponte" intellettuale fra fenomenologia e scolastica, ritenuta dal suo contemporaneo prof. Dyroff dell'Università di Bonn, "la più grande donna del cielo dei filosofi tedeschi", diviene anche "ponte" fra Israele e la Chiesa cattolica, nell'efferata tragedia della Shoah scagliata sull'Europa e sul mondo dall'ideologia nazista e perpetrata dalla macchina burocratica della "banalità del male" nazista.
L'oggetto di questo libro è la simbologia musicale negli scritti di Agostino. È forse la prima volta nella storiografia che il tema dell'immagine musicale come metafora teologica e antropologica è affrontato direttamente, nel corpo a corpo attivato da Laurence Wuidar coi testi del grande filosofo cristiano. Ne risulta illustrata in chiave musicologica un'ampia silloge di immagini simboliche di contenuto teologico, filosofico e antropologico-musicale. Nei commenti ai Salmi Agostino costruisce uno straordinario laboratorio linguistico e ermeneutico che fa degli elementi fondanti della musica - il ritmo, il tempo, l'ascolto, il suono, la voce, il canto, gli strumenti con cui far musica - i veicoli simbolici esplicativi di concetti teologici - la Mente divina, il Verbo, l'Eternità, la figura di Cristo, la Croce, la Trasfigurazione, il Santo o il Profeta. In questo febbrile esercizio esegetico la musica assume un rilievo straordinario, in quanto più d'ogni altra riflessione o discorso essa si mostra capace di avviare la conoscenza umana ai misteri della fede cristiana.
In questi due saggi, tratti dal volume "La dialettica del Cristianesimo" (1948), Tanabe Hajime intraprende un'appassionata analisi del rapporto tra il pensiero buddhista e la fede cristiana. Concetti fondamentali come quelli del ritorno "da Paolo a Gesù", del "nulla eppure amore" dell'unità triadica dell'amore e dell'interpretazione esistenziale della morte-risurrezione, sono solo alcune delle nozioni che egli elabora a partire dalla dialettica della mediazione assoluta, una dialettica in cui tutte le cose sorgono e si costituiscono attraverso la loro reciproca negazione e affermazione. Il "Nulla assoluto" assume ora i contorni religiosi-filosofici della conversione di sé, o dell'autoconsapevolezza religiosa, che tenta di sintetizzare al suo interno le verità delle religioni storiche dando così vita a una simbiosi creativa tra Cristianesimo, marxismo e buddhismo giapponese. Introduzione a cura di Tiziano Tosolini.
Mostriamo di che tipo e qualità sarà la venuta dell'Anticristo, in quale occasione e in quale tempo sarà rivelato "l'iniquo", donde e da quale tribù proverrà, e qual è il suo nome, indicato nella Scrittura mediante il "numero"... Soltanto il ritorno del Messia sancirà la totale distruzione del male. Sino ad allora l'attesa dell'anticristo, personificazione dei mali ancora operanti nel mondo e figura ereditata dalla tradizione ebraica, si farà sempre più ansiosa e opprimente. Ippolito nel suo singolare trattato De Antichristo, scritto in greco verso il 200, raccogliendo tutto ciò che la Bibbia offre sulla figura dell'antimessia, riesce a creare un'autentica "anticristologia". La figura dell'oppositore di Cristo viene presentata dall'autore - sulla cui identità si è tanto dibattuto - all'interno di coordinate storico-politiche ben precise. L'impero romano, ai tempi delle persecuzioni dei cristiani, sebbene non sia considerato l'anticristo, avendolo in potenza già in sé, ne costituisce il preludio. Teologo, santo e martire romano vissuto tra il II e III secolo, Ippolito è stato anche uno scrittore prolifico: sotto il suo nome la tradizione ci ha trasmesso numerosi scritti e frammenti, in prevalenza esegetici. Tra le sue opere più importanti si ricorda, il trattato sul Cantico dei Cantici, sul Libro di Daniele e Philosophumena.