La traduzione poetica, per Ungaretti, è un'autentica opportunità di creazione poetica. Per questo motivo, eccezionalmente rispetto agli altri poeti del Novecento presenti nei Meridiani, di lui si offrono anche le traduzioni, a completare quel progetto di «Vita d'un uomo» che ha preso forma nel corso del suo lunghissimo rapporto di fedeltà con la casa editrice Mondadori. Al pari delle poesie, infatti, le traduzioni scandiscono le tappe della «Vita d'un uomo»: la prima traduzione pubblicata da Ungaretti (1910), da poco ritrovata, precede anzi l'edizione delle prime liriche; le ultime traduzioni escono, come la poesia estrema, “L'Impietrito e il velluto”, nel 1970. Il Meridiano comprende innanzitutto i volumi "canonici": “Traduzioni” (1936), “40 sonetti di Shakespeare” (1946), “Da Gongora e da Mallar- Mé” (1948), “Fedra” di Jean Racine (1950), “Pau Brasil” (1961), “Visioni di William Blake” (1965); esso raccoglie quindi le numerose versioni - in italiano e anche in francese - edite su rivista (alcune del tutto dimenticate dalla critica), e due importanti dossiers inediti: uno studio sulla canzone leopardiana “Alla Primavera”, che conserva diverse traduzioni, e una conferenza tenuta da Ungaretti in occasione della riunione annuale delle Accademie Straniere romane. Le traduzioni sono corredate di un apparato variantistico e di un ricco commento che dà voce innanzitutto all'autore, attingendo estesamente dai suoi autocommenti, editi (epistolari, interviste, prose, saggi) e inediti: per questa sezione i Curatori si sono infatti potuti avvalere di una sistematica esplorazione del Fondo Ungaretti al Vieusseux di Firenze e di quelli, finora ignorati dalla critica, di alcuni suoi corrispondenti.
La tradizione poetica neogreca ha toccato nel Novecento vertici assoluti. Dei quattro poeti più celebri - Constantinos Kavafis, Ghiannis Ritsos, Ghiorgos Seferis e Odisseas Elitis - ben due vinsero il Nobel (Seferis 1963, Elitis 1979). Gli inizi della poesia neogreca vengono comunemente posti alla fine del Settecento, quando nasce l'idea culturale e politica della Grecia moderna: l'antologia si radica perciò nell'Ottocento per giungere praticamente sino a oggi e comprende di fatto quasi due secoli di poesia. Il percorso antologico propone non solo poesie dei grandi maestri del Ventesimo secolo ma anche di voci poco note, e mette in evidenza il ruolo culturale e sociale della poesia nella creazione dell'identità nazionale ellenica e spazio pubblico privilegiato che essa occupa, senza eguali in altre tradizioni europee. Si pensi ad esempio che due funerali di poeti - di Kostìs Palamàs nel 1943, in un'Atene presidiata dai nazisti, e di Seferis nel 1971, durante il regime dei Colonnelli - si trasformarono in occasioni di autocoscienza collettiva (di nobile resistenza all'occupante nel primo caso, di muta oceanica protesta nel secondo). Oltre all'impegno politico, altri temi attraversano la letteratura neogreca fin dalle origini: il rapporto con la musica, attestato dalle numerose liriche adottate come testi di canzoni dai più popolari chansonniers e compositori del Novecento, e il persistente e problematico rapporto con l'antichità classica e con la passata grandezza culturale della Grecia.
L'antologia raccoglie tutti gli scritti in poesia e in prosa, dai capolavori più conosciuti alle pagine dimenticate. Un ampio saggio critico e biografico di Ambrogio Borsani, accreditato studioso della poetessa, contribuisce a rettificare le tante inesattezze diffuse sul personaggio Merini. Per la prima volta le raccolte poetiche degli inizi sono riproposte per intero: “La presenza di Orfeo”, “Nozze Romane”, “Paura di Dio”... Il volume comprende anche notissimi e più recenti titoli come “Vuoto d'amore”, “Superba è la notte” e l'ultimo lavoro, “Il Carnevale della Croce”, insieme ad altre rarità: una breve raccolta risalente al 1982, stampata nel 2009 in soli trentacinque esemplari, di versi in dialetto. napoletano per il secondo marito, Michele Pierri. Accanto alle prose autobiografiche “L'altra verità” e “Lettere al dottor G.”, che testimoniano la straziante discesa agli inferi del manicomio, vengono riproposti integralmente i suoi racconti, da “Il ladro Giuseppe” alle suonate liriche di “Delirio amoroso” a “Il tormento delle figure”. Una sezione di aforismi, fulminanti e divertentissimi, documenta un'attività quasi ventennale. Il volume comprende inoltre una decina di poesie inedite davvero significative.
Il Meridiano presenta, col testo francese a fronte, l'intera opera poetica di Bonnefoy (dopo una sezione di “Scritti giovanili”, “Movimento e immobilità di Douve”, 1953; “Ieri deserto regnante”, 1958; “Pietra scritta”, 1965; “Nell'insidia della soglia”, 1975; “Quel che fu senza luce”, 1987; “Qui dove ricade la freccia”, 1991; “Inizio e fine della neve”, 1991; “La vita errante”, 1993; “Le assi curve”, 2001; “La lunga catena dell'àncora”, 2008; e infine una sezione di “Versi e prose recenti”, 2009-2010, appena pubblicati in Francia e inediti in Italia) con l'aggiunta delle più rappresentative prose poetiche – “Rue Tra- versière e altri racconti in sogno” (1987) - e di una scelta di “Scritti sulla poesia”. Alle traduzioni “storiche” di Diana Grange Fiori si affiancano quelle di Fabio Scotto, che da anni segue e accompagna Bonnefoy dandogli voce in Italia. Il Meridiano, alla cui preparazione il poeta ha attivamente collaborato scrivendo appositamente un'autocronologia, si presenta come una sorta di autoantologia (la prima nel suo genere, non solo in Italia). Il commento di Fabio Scotto, ricchissimo di autocommenti editi e inediti, conduce un'analisi minuziosa delle poesie permettendo al lettore di immergersi nell'opera di Bonnefoy e mettendo in luce il fitto reticolo di richiami intertestuali, l'universo artistico di riferimento, le fonti ispirative (spesso iconografiche), i significati simbolici e allegorici, i sottosensi filosofici. All'appassionato saggio introduttivo dello stesso Scotto si affianca uno scritto di Carlo Ossola, collega di Bonnefoy al Collège de France.
Il volume presenta innanzitutto l'intera produzione poetica di Antonio Machado divisa in due sezioni: la prima coincide con "Poesias completas", opera complessiva di Machado la cui quarta edizione, ultima durante la vita dell'autore, fu pubblicata nel 1936; la seconda raccoglie "Poesias sueltas", cioè poesie che da tale edizione per diversi motivi rimasero escluse. La sezione dedicata alle prose raccoglie "Juan de Mairena" e "Scritti scelti".
Umanissimo e saggio, sapientissimo e deluso, Andrea Zanzotto prosegue nel suo ineguagliabile percorso poetico, frustrato dalla contemporanea demenza diffusa e portando con sé un irrinunciabile desiderio di sublime; o meglio, con un sorriso ironico e autoironico, di "sublimerie". Nell'estasi del luccicante kitsch pervasivo della nostra rumorosissima epoca, cerca ancora abbandoni e amati silenzi, è ancora capace di aspettare e invocare il fiorire di un "maggio [...] che trabocca d'invenzione", o di cercare il più elevato senso di una "beltà" ideale. È, insomma, ancora vitalmente lacerato dagli opposti e dunque capace d'indignazione e amore. Tutto questo in virtù della sua mente poetica, della sua strenua fiducia nella capacità di osservazione e penetrazione acuta che offre la poesia, l'"ostinazione di quell'ipnosi chiamata poesia". Non c'è dubbio: non si è spenta, in Zanzotto, la voglia di potersi aggirare nel verde dei suoi colli con il senso di armonia serena e malinconica del poeta elegiaco, o di spingersi verso più elevate e gelide vette, mosso dal "sentimento di un eterno vero". Ma il solo gelo reale che oggi avverte è quello del nulla di un mondo che brucia solo di "commerci", dove "le notti fremono di ladri e di ghiacci", e dove, in fin dei conti, solo "nelle immondizie" potrà trovare "tracce del sublime / buone per tutte le rime".
L'edizione, curata dal maggior esegeta ungarettiano, Carlo Ossola, pur mantenendo l'impostazione e i contenuti del volume predisposto dall'autore stesso nel 1969, lo arricchisce di una nuova sezione di "poesie ritrovate" e di alcuni testi inediti, e lo correda di una preziosa appendice di testi preparatori. L'apparato variantistico, grazie al ritrovamento di nuovi testimoni a stampa, è stato corretto e aggiornato in diversi punti, nonché fatto precedere da una sezione di indici delle raccolte. Oltre che di tutti i materiali contenuti nel "Meridiano" "storico", il lettore potrà inoltre disporre di un apparato di commento, costituito da una introduzione a ciascuna raccolta e di un commento a ciascuna poesia, che oltre a dare conto anche delle varianti manoscritte utili alla comprensione del contenuto e dell'elaborazione delle liriche, dà voce soprattutto all'autore, attingendo estesamente ai suoi autocommenti, editi (epistolari, interviste, prose, saggi) e inediti: per questa sezione i curatori si sono avvalsi di una sistematica esplorazione dell'archivio di Ungaretti e di quelli dei suoi corrispondenti, finora ignorati dalla critica.
"Satura" è l'opera più sorprendente di Eugenio Montale. Uscita nel 1971, spiazzò i lettori dei suoi tre libri precedenti, mostrando la vitalità di un poeta che, a settantacinque anni, era diventato ormai un classico indiscusso della letteratura italiana. La rottura col passato è netta: non ci sono qui né la scabra concisione elegiaca degli "Ossi di seppia" (1925-28), né la tragicità modernista delle "Occasioni" (1939), né ancora l'espressionismo allegorico de "La Bufera e altro" (1956). C'è invece una lingua modernissima, una ricchezza di dettagli, una "satira" nel senso latino del termine che può toccare ogni argomento: dal dolore privato per la morte della moglie alla cronaca puntuale e corrosiva degli anni Sessanta. Il testo, corredato da un cappello introduttivo e da un commento a cura di Riccardo Castellana, è accompagnato da un saggio di Romano Luperini, da un profilo biografico dell'autore, da una bibliografia e da un intervento del poeta e critico Franco Fortini.
In ordine cronologico, le principali raccolte di Hughes, quasi tutte tradotte per la prima volta in italiano. Le traduzioni si devono ad Anna Ravano e a Nicola Gardini: l'una traduttrice di fama, curatrice del Meridiano di Sylvia Plath e autrice anche dell'appassionante Cronologia, l'altro condirettore di "Poesia", saggista, poeta egli stesso e pioneristico interprete di Hughes. Gardini firma anche l'ampio commento e il saggio introduttivo, che offre un'efficace "idea del poeta" : della lingua di Hughes - variegata e mobilissima, che passa dalla ritmicità spumeggiante delle prime raccolte alla secchezza formulare di "Crow" alla narratività scabra dei versi lunghi delle "Lettere di compleanno"; dei suoi temi privilegiati - il recupero di un rapporto vitale con la natura, gli animali (anzitutto pesci, e poi uccelli d'ogni sorta, belve feroci ma anche mucche, capre, agnelli, animali domestici), gli elementi e le loro forze primordiali (l'acqua celebrata in tutte le sue declinazioni, dai fiumi ai ghiacciai), le sole capaci di portare una rigenerazione delle forze psichiche dell'uomo -; della tradizione in cui affonda la sua ispirazione, il cui termine di riferimento essenziale è rappresentato da Shakespeare, oggetto di un continuo dialogo sotto forma di riprese, allusioni e riformulazioni dei suoi miti; del suo rapporto con la scrittura e la poesia, veicolo privilegiato per attingere al proprio sé più profondo.
II volume è interamente dedicato a Giacomo da Lentini (1210 ca-1260 ca), il "fondatore" della lirica italiana, oltre che caposcuola dei poeti siciliani, autore di sorprendente maturità e di altissimo valore poetico, "inventore" del sonetto. Nel Meridiano sono riprodotti tutti i componimenti (canzoni e sonetti) attribuitigli con verosimiglianza dalla tradizione manoscritta: tra questi si possono ricordare le canzoni "Madonna", "dir vo voglio" (che apre il codice Vaticano Latino 3793, il più importante canzoniere delle origini, ed è citata da Dante nel "De vulgari eloquentia"), "Meravigliosamente" (la canzone più celebre di Giacomo, presente in tutte le antologie), "Troppo son dimorato" (archetipo delle canzoni di lontananza italiane) e i sonetti "Io m'aggio posto in core a Dio servire" (forse il più bel sonetto di Giacomo), "Madonna a 'n sé vertute con valore" e "Angelica figura e comprobata" (che intessono una poesia di lode della donna amata straordinariamente anticipatrice dello Stilnovo).
Il secondo volume propone i poeti della corte di Federico II (a esclusione di Giacomo da Lentini), che possono essere distinti in due generazioni: la prima legata all'imperatore e ai suoi funzionari di maggiore spicco, come lo stesso Giacomo e Pier delle Vigne, e più radicata in Sicilia e nel sud; la seconda sviluppata intorno al figlio di Federico, Manfredi, e con ramificazioni verso la Toscana. Tra gli autori presentati nel Meridiano, oltre allo stesso Federico, si segnalano Guido delle Colonne (di lui sono citate da Dante nel "De vulgari eloquentia" le canzoni "Amor, che lungiamente m'ài menato" e "Ancor che l'aigua per lo foco lasse"), Rinaldo d'Aquino (autore tra l'altro di "Giamäi non mi conforto", lamento della donna per la partenza del crociato), Pier delle Vigne (cantato da Dante nella Commedia), Stefano Protonotaro (la sua canzone "Pir meu cori allegrari" è l'unico testo integrale che ci sia stato tramandato nel siciliano originale), Cielo d'Alcamo (autore del famoso contrasto "Rosa fresca aulentissima"), Giacomino Pugliese (sua la canzone "Morte, perché m'ài fatta si gran guerra", uno dei più antichi esempi di pianto per la morte dell'amata) e Re Enzo (che, figlio naturale di Federico II, passa gran parte della sua vita prigioniero a Bologna ed è quindi figura importante per la diffusione della poesia siciliana nell'Italia del centro-nord).
All'esaurirsi dell'esperienza sveva o addirittura quando la dinastia non è ancora tramontata, alcuni poeti nati e operanti in Toscana ripropongono con adattamenti il modello siciliano, mentre altri (quali Guittone d'Arezzo e Bonagiunta Orbicciani) tentano più decisamente il distacco e avviano la sperimentazione di forme relativamente più autonome: per comodità si possono chiamare Siculo-toscani i primi. Toscano-siculi i secondi. Ai Siculo-toscani è dedicato questo volume. Pur nella continuità con la Scuola, i testi dei Siculo-toscani presentano innovazioni indicative dell'avvio di una stagione poetica relativamente diversa: al cosmopolitismo della Magna Curia si sostituisce un evidente municipalismo che in parte si travasa nelle poesie, nelle quali ai tradizionali temi amorosi d'impronta lentiniana se ne affiancano altri che sono espressione della nuova coscienza cittadina e dei gruppi borghesi emergenti.