Ha vent'anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un'estate di Mondiali, e lui, ragazzo come tanti se non fosse per una sensibilità estrema, una percezione della realtà fatta tutta di picchi e di abissi, si trova inchiodato per una settimana in ospedale. Al suo fianco, come in un delirante campeggio, un girone infernale dell'assurdo, i compagni di stanza: personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi. Negli abissi della follia brilla un'umanità creaturale, potente, a cui Mencarelli sa dare voce con una delicatezza e una forza uniche. L'autore mette in scena la disperata, rabbiosa, ricerca di senso di un ragazzo che implora salvezza: "Salvezza. Per me. Per mia madre all'altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza".
Ci sono pochi posti nel mondo dove il divario tra quello che crediamo di sapere e quello che sappiamo è tanto ampio quanto nel caso degli Stati Uniti. L'influenza statunitense nei nostri consumi è così longeva che pensiamo di conoscere bene l'America quando in realtà, nella gran parte dei casi, la nostra idea è un impasto di luoghi comuni e poche informazioni concrete. Convinti che gli statunitensi siano tutti armati fino ai denti, non sappiamo, per esempio, che la metà delle armi in circolazione in America è posseduta dal 3 per cento della popolazione. Coltiviamo il luogo comune per cui gli Stati Uniti usino la mano pesante contro l'evasione fiscale e i reati dei cosiddetti colletti bianchi, ma in carcere ci vanno ancora soprattutto ragazzi neri. Ragioniamo e discettiamo sulla cultura americana e sulla sua idea di Stato e libertà, paragonando il tutto a quello che succede qui da noi, senza sapere o tener conto che gli Stati Uniti sono un Paese molto poco popolato: ci sono più persone nella sola New York di quante ce ne siano in 40 dei 50 Stati. Siamo abituati a leggere l'intera politica estera statunitense innanzitutto sulla base del petrolio, e della necessità di trovarlo, ma oggi gli Stati Uniti sono pressoché indipendenti dal punto di vista energetico. L'elenco potrebbe continuare. Allo stesso modo, abbiamo accolto il risultato elettorale più clamoroso in quasi tre secoli di storia statunitense, la vittoria del repubblicano Donald Trump alle presidenziali del 2016, a pochi anni di distanza dell'elezione di Barack Obama, primo presidente nero, come la logica e prevedibi
Daniele è un giovane poeta oppresso da un affanno sconosciuto, "una malattia invisibile all'altezza del cuore, o del cervello". Si rifiuta di obbedire automaticamente ai riti cui sembra sottostare l'umanità: trovare un lavoro, farsi una famiglia... la sua vita è attratta piuttosto dal gorgo del vuoto, e da quattro anni è in caduta "precisa come un tuffo da olimpionico". Non ha più nemmeno la forza di scrivere, e la sua esistenza sembra priva di uno scopo. È per i suoi genitori che Daniele prova a chiedere aiuto, deve riuscire a sopravvivere, lo farà attraverso il lavoro. Il 3 marzo del 1999 firma un contratto con una cooperativa legata all'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. In questa "casa" speciale, abitata dai bambini segnati dalla malattia, sono molti gli sguardi che incontra e che via via lo spingeranno a porsi una domanda scomoda: perché, se la sofferenza pare essere l'unica legge che governa il mondo, vale comunque la pena di vivere e provare a costruire qualcosa? Le risposte arriveranno, al di là di qualsiasi retorica e con deflagrante potenza, dall'esperienza quotidiana di fatica e solidarietà tra compagni di lavoro, in un luogo come il Bambino Gesù, in cui l'essenza della vita si mostra in tutta la sua brutalità e negli squarci di inattesa bellezza. Qui Daniele sentirà dentro di sé un invito sempre più imperioso a non chiudere gli occhi, e lo accoglierà come un dono. Con la lingua precisa e affilata del poeta, Daniele Mencarelli ci offre con grazia cruda il racconto coraggioso del rifugio cercato nell'alcol, della spirale di solitudine, prostrazione e vergogna di quegli anni bui, e della progressiva liberazione dalla sofferenza fino alla straordinaria rinascita.
Beethoven è stato una figura smisurata, supremo genio musicale e cumulo di contraddizioni, di comportamenti eccessivi, descritto dalla critica come l'emblema stesso dell'artista romantico o come un illuminista. Ma Beethoven è stato soprattutto un tedesco: e in questa biografia Buscaroli ne sovverte l'immagine abituale alla luce delle fonti e dei documenti. Ne esce un ritratto completamente nuovo che racconta la famiglia, il rapporto con i musicisti del suo tempo, il carattere, le malattie, gli amori, il sentimento e gli scopi dell'arte. La biografia diventa così chiave di revisione di un'immagine stereotipata, illuminista per non dire giacobina, dell'artista, dell'uomo e di tutta l'età seguita alla "révolution".
Una città lontana lontana... Quattro piccoli, inseparabili piscioleri... Una strana sparizione e l'arrivo di un oggetto misterioso... Nelle migliori sale da bagno di tutto il mondo (anche quelle lontane lontane), l'evento che tutti i genitori stavano aspettando! Vietato a chi la pipì sa già dove farla. Età di lettura: da 2 anni.
L'amore si impara come qualunque altra cosa nella vita. Non è definibile a parole, è piuttosto un modo di vivere, di essere e di sentirsi vivi. Se si assimila questo concetto nella forma più piena, spiega l'autore, si può alla fine ottenere dalla vita il premio più ambito: quello di essere completamente se stessi. L'arte di amare spiegata in tutti i suoi aspetti fisici e psichici.
È davvero sorprendente la quantità e la varietà di informazioni vive, sotto forma di situazioni, personaggi, eventi e microeventi, che Davide Rondoni riesce a coinvolgere sulla pagina di questo suo libro di poesia. Un documento lirico potente, carico di amore, soprattutto, ma anche di passeggeri quanto sinistri smarrimenti. Un testo di continuo giocato sulla presenza di una realtà buia eppure ogni volta, d'improvviso, illuminata da squarci di luce, dal fuoco e dalla passione dell'esistere. Rondoni è un poeta realista, che pure tende al canto, un poeta che si propone come inesausto viaggiatore nel cuore umano, convinto che «amare è l'occupazione / di chi non ha paura». E chi dice io, in questi versi, anche se spesso catturato nelle più strane orbite dell'universo o immerso nei più diversi inferni umani, accetta di misurarsi con coraggio nelle cose, muovendosi veloce nei più disparati luoghi della terra, ormai purtroppo quasi del tutto privi di mistero. Eccolo allora passare dalla Sierra Leone al Nicaragua, da Berlino a Caracas a Rabat, fino a New York e alle vittime delle Twin Towers. Ma i suoi percorsi comprendono anche, più semplicemente, i paesaggi di un'«Italia meticcia», perciò Milano e Roma, Firenze, Bologna e la Romagna. L'energia poetica di Rondoni, insomma, si esercita senza risparmio nelle quotidiane e spesso umili tracce d'amore ovunque sparse, ma anche nei territori di rovina e apocalisse della nostra epoca. Agisce e testimonia dentro una «folla rovinosa d'uomini», nella loro notte e nelle loro ombre, dove però, sempre, il respiro di Dio e la verità di una spinta interiore ineludibile possono accendere nuove, vertiginose possibilità di salvezza.
«Questo romanzo è tratto da una storia realmente accaduta negli anni '89-'90 in Sicilia. Possiedo documenti, foto, registrazioni e filmati che confermano che questa è "una storia vera". I nomi dei personaggi sono stati sostituiti dall'autore, per rispetto delle persone coinvolte e delle loro famiglie. Per volontà di Mondadori Electa l'età dei personaggi femminili è stata aumentata di anni 10. Invece l'età dei personaggi maschili è stata abbassata di anni 2. Da questo libro verrà tratto un film. Il protagonista sarà il soldato Carlo, mai citato nel romanzo (interpretato da Luca Marinelli). Nel film, Elisa detta "Eli", la fidanzata di Carlo anch'essa mai nominata in queste pagine, è interpretata da Isabella Ragonese. La regia sarà di Matteo Garrone che ha deciso di togliere del tutto il personaggio di Paola. Musiche di Domenico Modugno (citato a pag. 38 del romanzo). Il film sarà girato integralmente in Puglia. Le riprese inizieranno il 6. La produzione non ha ancora deciso il mese. Titolo provvisorio del film Questo non me la conta giusta. Matteo Garrone intervistato da "Ciak" ha detto: "Sono indeciso se portare questo film al festival di Berlino o andare al matrimonio di mio cugino Tommaso a Torino"». Con prefazioni di Valerio Lundini e Maccio Capatonda.
Perché le persone invecchiano in modo così diverso l'una dall'altra? Perché alcune arrivano alla terza età con la mente lucida, fisicamente sane e piene di energia, mentre altre, magari più giovani, mostrano precocemente i segni e gli acciacchi tipici della vecchiaia? E, soprattutto, si può fare qualcosa per ritardare gli effetti più invalidanti della terza età? Elizabeth Blackburn, biologa molecolare premio Nobel per la medicina, ed Elissa Epel, psicologa della salute, si confrontano con questi interrogativi alla luce dei risultati di una loro recentissima, e per molti aspetti rivoluzionaria, ricerca, che ha identificato i principali «responsabili» dell'invecchiamento degli esseri umani nei telomeri, le minuscole porzioni di DNA che rivestono le parti terminali dei cromosomi, proteggendoli dal deterioramento del materiale genetico. Con il passare del tempo, infatti, i telomeri tendono ad accorciarsi e, quindi, a perdere di efficacia nella loro azione di prevenzione del deperimento cellulare. La velocità con cui la loro lunghezza si riduce, però, non è costante e uguale per tutti, ma cambia da individuo a individuo, e dipende tanto da fattori genetici (come alcune malattie, fortunatamente rare) quanto dall'equilibrio psichico e dallo stile di vita. La buona notizia - ed è questa la straordinaria scoperta delle due autrici - è che tale processo non è affatto irreversibile, anzi ciascuno di noi può fare qualcosa per bloccarlo o, addirittura, invertirne la direzione. Le numerose evidenze scientifiche raccolte da Blackburn ed Epel hanno infatti dimostrato che nutrirsi in modo sano e naturale, praticare una corretta attività fisica, affrontare le situazioni stressanti senza lasciarsene sopraffare, e persino prendersi cura dell'ambiente in cui si vive, sono armi efficacissime non solo per contrastare l'accorciamento dei telomeri, ma anche per favorirne la crescita, in modo che possano continuare a svolgere al meglio la loro funzione.
Nel 1916 un incidente aereo causa al poeta la perdita di un occhio e lo costringe per qualche tempo all'immobilità e al buio totale. L'esperienza di questa oscurità e l'attività introspettiva che essa favorisce sono la materia della prosa impressionistica del "Notturno" (cominciato appunto nel 1916 e pubblicato nel 1921), una prosa senza vincoli narrativi, che costruisce la propria struttura formale nella ritmata e pulsante successione di annotazioni, sogni, visioni, libere associazioni mentali, impressioni sensuali. Tutti i temi dannunziani si modulano e si armonizzano intorno alla nota fondamentale, notturna e fantastica, di questa scrittura musicale, che assorbe pause e gridi lirici, sospiri, eccitamenti, cupa fissità: amore della voluttà di vivere.
Nel suo percorso poetico, Paolo Ruffilli ha praticato strade diverse, sempre confermandosi in una coerente, limpida solidità di pronuncia pur nella varietà di tematiche e argomenti. Questo libro permette di seguirne il cammino per un arco di tempo pressoché quarantennale, trattandosi di un'opera unitaria composta a partire dagli anni Settanta, un ampio work in progress arricchitosi nel tempo. Un'avventura poetica ed esistenziale che prende il via con la metafora del viaggio e degli incontri che il viaggio offre, della quotidianità onirica e a volte sgradevole di chi comunque si trova «straniero tra la gente». Fino al ritorno, dal quale riparte la meditazione turbata sul senso delle cose e della vita, nelle incertezze e negli equivoci degli umani rapporti, tra vuoto, amore e violenza, mentre felicità «sempre si confonde / con la dissolvenza». Nel capitolo che dà titolo al libro, Ruffilli si muove a diretto contatto con gli oggetti di cui si popola la vita, e che si impregnano del nostro passaggio, trovando il senso non banale della loro presenza, si tratti del cappello o del bicchiere, della barca o di un diario, del letto o del libro. La sua fitta narrazione è affascinante, minuziosa, affabilissima, una sorta di insolito canzoniere dedicato a una realtà tanto essenziale nel vissuto quanto raramente indagata, come in queste pagine, con la concretezza maniacale dell'osservatore sensibile. Del poeta, appunto, che perlustra oltre la semplice superficie delle cose, e che qui prosegue con apparente orizzontalità il suo viaggio in un "atlante anatomico", dedicandosi alla bocca o alla caviglia come al cuore o al cervello, non senza ironia delicata, producendosi nell'esercizio acuto e antiretorico di un corpo a corpo con il corpo stesso. Nella sezione conclusiva, infine, il poeta pesca nelle profondità e negli anfratti del dire, nella formidabile, paradossale e «visionaria immaginosa verità» della parola, alla quale chiede risposte, ben sapendo, nella sua saggezza, che troppi interrogativi rimarranno inesorabilmente aperti.
«Sono sempre i vincitori a scrivere la storia e la seconda guerra mondiale non costituisce eccezione a questa regola. Ciò non significa che i vinti siano migliori dei vincitori, ma solo che tutte le nazioni coinvolte nel conflitto hanno i loro crimini ed errori da nascondere.» Marco Pizzuti ha un talento: quello di non farsela raccontare. Quale che sia l'argomento, legge, ascolta, approfondisce, cerca riscontri, studia tutte le fonti disponibili e alla fine, ma solo alla fine, ci offre la sua personale visione della storia. Una ricostruzione che molto spesso si discosta parecchio da quella che tutti quanti, compresi gli autori dei testi scolastici, indicano come l'unica vera. Anche in "Biografia non autorizzata della seconda guerra mondiale" Pizzuti ricostruisce e riporta alla luce pezzi di verità finora dimenticati o taciuti per convenienza, come i forti dubbi degli Alleati sul presunto suicidio di Hitler nel bunker di Berlino il 30 aprile 1945. Alla luce di una serie di carte molto scottanti e poco note, da lui meticolosamente riordinate, Pizzuti dimostra come la grande industria e il sistema bancario statunitensi abbiano concretamente sostenuto la corsa all'armamento del criminale regime nazista, tanto che persino la rivista «Time» dedicò al Führer la copertina come uomo dell'anno nel 1938, tre anni dopo la promulgazione delle leggi razziali di Norimberga. Altre verità brucianti: Dunkerque non fu una vittoria di britannici e francesi, bensì una disastrosa scelta strategica di Hitler, che fermò i suoi panzer a pochi chilometri dall'annientamento delle forze alleate; prima dell'aggressione tedesca del 22 giugno 1941, Stalin aveva elaborato un piano segreto per invadere l'Europa, così come l'attacco giapponese alla base statunitense di Pearl Harbor fu pretestuosamente provocato dall'amministrazione americana, che ne era a conoscenza da tempo e non esitò a mandare al massacro migliaia di soldati. Ma è l'ultimo capitolo quello più scioccante, là dove Pizzuti ricorda l'inutile bombardamento che rase al suolo Dresda, la scomparsa di un milione di prigionieri tedeschi nei campi di prigionia alleati, le 240.000 donne tedesche stuprate dai soldati dell'Armata Rossa e altri efferati crimini commessi dalle truppe di liberazione ai danni dei civili liberati. Un libro che insinua numerosi e documentati dubbi sulla veridicità della storia ufficiale.