Nell'edizione completa delle Storie di Erodoto pubblicata dalla Fondazione Valla, l'ottavo libro è stato commentato da uno dei maggiori studiosi dell'antichità classica, David Asheri, professore all'Università di Gerusalemme, da poco scomparso. Pietro Vannicelli ha aggiornato la bibliografia.
Il libro comincia sotto segni sinistri per i Greci. I Persiani occupano Atene abbandonata e deserta: vi è rimasto soltanto un piccolo gruppo di Ateniesi, che barricano l'Acropoli con travi. Quando i Persiani vi salgono, i Greci si gettano giù dalle mura o cercano rifugio nel megaron dove vengono massacrati. L'Acropoli è incendiata. Poco tempo dopo, nelle acque di Salamina, avviene la battaglia decisiva, davanti agli occhi di Serse, seduto in trono sulle pendici del monte Egaleo, come un personaggio di Kurosawa. La flotta greca sconfigge la flotta persiana: mentre una parte dell'esercito persiano torna in patria, torturata dalla fame e dalle pestilenze. Tra i protagonisti greci e persiani, uno primeggia fra tutti: Temistocle, il nuovo Ulisse, geniale, audace, avido, corrotto, senza scrupoli; lo sguardo di Erodoto è diviso tra ripugnanza e ammirazione.
Per Erodoto, tutto ciò che accade sulla scena del mondo è doppio. Da un lato, è opera umana: gli eventi sono frutto del coraggio e del timore, dell'intelligenza e della stupidità, della tenacia e dell'indolenza degli uomini; dovunque rintracciamo la presenza del caso. D'altro lato, gli dei agiscono visibilmente nella storia: compiono prodigi, vogliono equilibri, tessono la loro rete misteriosa al di sopra dei disegni umani. La cosa più singolare è che questi due piani coincidono tra loro e si fondono in un solo tessuto. Anche la mente di Erodoto è doppia: a tratti sembra fresca e ingenua; ma è sempre complessa, intricata, sfaccettata, tanto che il suo ultimo giudizio sui fatti sfugge spesso alla nostra comprensione.
Indice - Sommario
Introduzione
Bibliografia
Abbreviazioni bibliografiche
Sommario del Libro VIII
Tavola cronologica
Cartine
Sigla Nota al testo del Libro VIII
Il Libro VIII delle Storie
Scoli
Commento
Appendici
Indici dei nomi
Dopo un primo volume dedicato alle Religioni dei misteri (Eleusi, il dionisismo, l'orfismo), la Fondazione Valla ne pubblica un secondo, dove Paolo Scarpi raccoglie quanto conosciamo sui misteri classici di Samotracia e di Andania, e sui misteri di epoca ellenistica e romana: Iside, Cibele e Attis, e il mitraismo. Samotracia era un'isola dell'Egeo nord-orientale: era un luogo diverso, con un'oscura lingua rituale, un culto oscuro, e dèi egualmente oscuri, che Erodoto chiamava Cabiri. Forse si trattava di un rito segreto di iniziazione, fondato da una corporazione di fabbri.
I misteri ellenistici di Iside ebbero una fortuna immensa nel mondo imperiale romano, e costituirono il maggiore precedente e rivale del Cristianesimo. Non avevano un vero rapporto con i misteri del periodo classico. Nell'epoca di Apuleio, l'anima aspirava ad un Uno, con cui unirsi attraverso la contemplazione e l'ascesi, in una completa trasfigurazione. Il grande mito celebrato nei misteri era quello dell'uccisione di Osiride, e della disperata ricerca, da parte di Iside, del corpo del fratello-marito. La dea ritrovò la bara, e abbracciò il corpo. Seth-Tifone lo lacerò in quattordici pezzi e lo disperse. Di nuovo la dea vagabondò attraverso l'Egitto, e dovunque trovasse un pezzo del cadavere di Osiride costruiva una tomba-santuario. Così il cerchio si chiuse: solo l'uccisione, la lacerazione e la dispersione del corpo divino, da parte delle forze del male, permisero che tutto l'universo partecipasse ai riti sacri.
A Iside è dedicato il più bei romanzo antico: le Metamorfosi di Apuleio, dove viene rappresentata l'iniziazione di Lucio, modello di quella di Tamino nel Flauto magico. Lucio discende nel regno dei morti, attraversa simbolicamente gli elementi, vede gli dèi superi ed inferi, li adora, si unisce estaticamente con il dio; e conosce quella luce sfavillante e velocissima, che accende le anime umane almeno una volta nella vita, quando, in un lampo di beatitudine, possiamo toccare con gli occhi le cose celesti. Viene identificato con Osiride, e appare davanti alla folla vestito con i paramenti sacri, che il dio indossava nella sua apparizione solare. Infine gli appare nel suo vero volto Osiride: "il più potente dei grandi dèi, il sommo tra i più grandi, il massimo tra i sommi, colui che regna sui massimi".
Le "lettere" di Platone sono uno dei misteri più affascinanti della letteratura greca. Non sappiamo chi le ha scritte: se Platone, o uno o più contraffattori. Sicuramente autentica è la settima, una riflessione sui complessi rapporti che intercorrono tra potere e filosofia. Comunque sia, queste tredici lettere sono la testimonianza di un esperimento che parve concretizzare il sogno di Platone: portare al potere dei filosofi o dei governanti-filosofi, che traducessero le sue dottrine relative alla legislazione e al governo dello stato. Questo tentativo, consumatosi a più riprese alla corte di Dioniso II tiranno di Siracusa, fallì miseramente.
Questo è il primo volume di un'amplissima raccolta di testi, unica al mondo, delle Religioni dei misteri: comprende i misteri di Eleusi, quelli dionisiaci ed orfici. li secondo volume, sempre a cura di Paolo Scarpi, raccoglierà i testi dei misteri di Samotracia, di Andania, di Iside, di Cibele e Attis, e di Mitra.
I "misteri" costituivano la parte esoterica della religione greca, e ancor oggi sono conosciuti solo in piccola parte da cenni, allusioni, racconti parziali. Essi imponevano il segreto ai loro iniziati. Eppure la ricostruzione amorosa dei misteri di Eleusi li fa vivere davanti ai nostri occhi, come se oggi ripetessimo, insieme agli Ateniesi del V o del IV secolo a.C., la lenta processione fino al tempio.
I misteri di Eleusi nascono da un fallimento divino: Demetra non riesce a rendere immortale il piccolo Demofonte; e le donne non sopportano la radiosa e tremenda epifania della dea. In cambio di questo fallimento, Demetra rivela agli uomini i sacri riti, durante i quali si annullano, per qualche giorno, le differenze tra i cittadini e tra uomini e dèi. Giunti ad Eleusi, gli iniziati bevono una bevanda, il ciceone: ascoltano una formula misteriosa: hanno una intensa rivelazione luminosa; contemplano uno spettacolo che ci sfugge. Sono le vicende di Demetra e di Persefone? O l'ostensione di una spiga di grano? O di un fallo? O la "grande luce"?
Senza essere resi immortali, gli iniziati ottengono in ogni caso una sorte privilegiata dopo la morte. Come dice Sofocle: "O tre volte beati / i mortali che, visti questi misteri, / vanno nell'Ade, perché solo per essi laggiù / c'è vita, mentre per gli altri, laggiù, non vi è che del male". Per Platone e Aristotele, l'esperienza eleusina è il simbolo della parte suprema dell'esperienza filosofica, quando la mente tocca - come si può toccare un corpo - la luce della verità.
Goethe diceva che le Ricerche sulla natura - che Seneca scrisse verso la fine della vita - sono il più bel libro di scienza che sia mai stato scritto. Seneca parla dei fuochi che attraversano l'atmosfera: degli aloni, degli arcobaleni, degli specchi, delle nuvole, delle piogge, delle nevi, dei venti, dei terremoti, dei fulmini, dei tuoni, delle acque dolci e salate, della grandine; ed è affascinato dalle profondità sotterranee - grotte, cavità, voragini sconfinate, fiumi, laghi. Parla di tutte le cose della natura con una precisione sensibile e un'adesione alla materia che ci ricorda Lucrezio; e con una fantasia degna di un grande poeta. Sotto i suoi occhi di lucido veggente, la natura diventa animata: nubi, tuoni, fulmini sono la sede di un dramma come quello che si svolge nei nostri cuori. Niente resta mai fermo; tutto si trasforma incessantemente: l'aria deriva dall'acqua, l'acqua dall'aria, il fuoco dall'aria, l'aria dal fuoco. Seneca indaga gli arcani della natura; e la sua immaginazione è ossessionata dalla fine del mondo, quando le acque inghiottiranno la terra, tutte le cose saranno sommerse e si preparerà un nuovo principio dell'universo, con nuovi esseri umani, per qualche tempo puri e innocenti.
Questo grande libro di scienza è anche un libro di teologia e di morale. Seneca ricerca Dio, che gli sfugge e si nasconde: rappresenta la tragica ineluttabilità del destino - e l'attitudine che ciascuno di noi deve tenere davanti alle vicende della storia e delle cose. "Tollera ciò che accade come se avessi voluto che accadesse."
Indice - Sommario
Introduzione
Nota al testo
Abbreviazioni bibliografiche
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo
Libro quarto a
Libro quarto b
Libro quinto
Libro sesto
Libro settimo
COMMENTO
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo
Libro quarto a
Libro quarto b
Libro quinto
Libro sesto
Libro settimo
Indice dei nomi
Indice tematico
Indice linguistico
Siamo ad Atene, nel 416 a.C. Il simposio comincia. Gli invitati si distendono l'uno accanto all'altro sopra i lettucci: cenano, fanno le libagioni rituali, cantano gli inni di Dioniso. Su proposta di Fedro, ognuno di essi pronuncia un discorso in lode di Eros. Non c'è argomento più adatto a una riunione dionisiaca: perché, come sapremo da Socrate, Eros è stato concepito da un dio ubriaco di nettare. Il discorso di Aristofane, uno dei commensali, annuncia il tema centrale del Simposio: l'alleanza, che si stabilì in quella notte unica al mondo, tra lo spirito erotico della filosofia e lo spirito dionisiaco, insieme farsesco e tragico, della commedia. Aristofane e Socrate appartengono per un momento allo stesso regno: sia la commedia che la filosofia balzano oltre l'intelligenza razionale per cogliere la verità suprema con un mito che illumina, splende, rivela ciò che la ragione da sola non sarebbe mai capace di esprimere; sia Aristofane che Socrate scorgono l'essenza di Eros nella mancanza e nella ricerca, nella morte e nella rinascita.
Quando la notte è al suo culmine, nel cortile si ode un gran frastuono. Poi irrompe nella sala il più elegante e indemoniato tra gli spiriti dionisiaci: Alcibiade, completamente ubriaco. Appena vede Socrate, si stende sul lettuccio accanto a lui, lo inghirlanda e ne pronuncia l'elogio. Per bocca di Alcibiade, Dioniso stesso esalta Socrate, e ci mostra in quest'uomo modesto, sobrio, ironico, la più alta incarnazione che lo spirito dionisiaco possa conoscere. Ma il Simposio non si trasforma in un'orgia sacra. Socrate non cede alla tremenda forza del dio. Egli è il seduttore che non si lascia sedurre, l'ispiratore che non viene invasato. Conosce tutti i religiosi deliri che assalgono l'anima degli uomini: la follia di Dioniso, la follia di Apollo, la follia di Eros: ne deriva tutta l'elevazione e la forza di verità; eppure trova in questa condizione una specie di calma e regale tranquillità, che gli permette di superare delirando lo stesso delirio.
Questo volume - il dialogo platonico che forse come nessun altro ha saputo mediare in maniera perfetta arte poetica e pensiero filosofico - è il secondo della nuova serie che vedrà pubblicata tutta l'opera di Platone e che si inserisce in quel filone "filosofico" della collana che già comprende autori come Empedocle, Eraclito, Aristotele, Giuliano Imperatore. Il testo è quello dell'ormai canonica edizione curata da Burnet mentre introduzione, traduzione e commento hanno la prestigiosa firma di Giovanni Reale, considerato il massimo studioso di Platone in Italia e all'estero. Con quest'opera Platone ha forse scritto il suo capolavoro: nel Simposio l'arte tragica e quella comica si fondono per esprimere un meraviglioso messaggio sull'Eros filosofico.
Indice - Sommario
Introduzione
Fonti per la bibliografia sul Simposio e lessici platonici
Abbreviazioni bibliografiche
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Simposio
COMMENTO
Indice dei nomi delle persone e dei luoghi
Prefazione / Introduzione
Occorre accostarsi al Simposio con il metodo che Edgar Wind, occupandosi della grande pittura del Rinascimento, ha indicato: "Un metodo che vada bene per le opere minori ma non per quelle grandi è ovviamente partito dalla parte sbagliata. In geometria, se posso servirmi di un paragone così remoto dal nostro campo, è possibile arrivare alle parallele euclidee riducendo a zero la curvatura di uno spazio non-euclideo, ma è impossibile arrivare a uno spazio non-euclideo partendo dalle parallele euclidee. Allo stesso modo, la storia sembra aver dimostrato che, mentre il luogo comune può essere compreso come una riduzione dell'eccezionale, l'eccezionale non può, invece, essere compreso dilatando il luogo comune. Sia logicamente sia causalmente, l'elemento decisivo è l'eccezionale, perché esso introduce (per quanto strano possa sembrare) la categoria più ampia".
In effetti, ciò che si è spesso verificato è proprio la riduzione del Simposio alla dimensione del "normale". Tanto più per il fatto che, di primo acchito, sembra essere uno scritto facile da comprendere, in quanto composto da Fiatone in maniera accattivante; ma, come Taylor giustamente rilevava, "forse proprio per questo è stato il più frainteso dei suoi scritti". Inoltre, si è da tempo aperta una spaccatura all'interno delle ricerche platoniche, con una divaricazione fra "comprensione filosofica" e "ricerche filologiche", con la preminenza di queste ultime, e quindi con inevitabili riduzioni della dimensione del Simposio a indagini di carattere ristretto. Questo ha portato alla costruzione di immagini di Platone povere di filosofìa. Le indagini si sono spesso concentrate sulla biografia, sulla cronologia, sul testo, sulla lingua e sulla forma letteraria degli scritti platonici. G. Krùger ha scritto: "dal momento che Platone in effetti è molto più che un semplice "filosofo" (nel senso moderno del termine), è emersa la possibilità di penetrare nella sua opera in maniera "non filosofica"".
Certamente non è possibile affrontare Plafone senza adeguati strumenti "filologici" e senza entrare nella situazione storico-culturale in cui egli si colloca; ma la dimensione teoretica risulta in lui preminente; e alla dimensione "filosofica" va aggiunta anche quella "estetica". Ma accade spesso che, in non pochi studiosi, l'una o l'altra di queste componenti rimanga assente. Ebbene, proprio l'interpretazione del Simposio presuppone come "condizione necessaria" una indagine condotta in funzione di tutte e tre queste componenti, in giusto equilibrio. Infatti, forse in nessun altro dialogo Platone ha saputo mediare la sua arte poetica e il suo pensiero fìlosofico in modo così perfetto: ha fuso l'arte "tragica" con quella "comica" per esprimere, mediante un costruttivo e fecondo confronto con le componenti culturali emergenti della sua epoca, un meraviglioso messaggio sull'"Eros fìlosofico".
Ma qual è il preciso messaggio che Fiatone si è proposto di comunicare con il Simposio?
Una risposta al problema ci è stata fornita da lui stesso, in una maniera del tutto particolare. E per comprenderla, conviene fare in via preliminare alcune precisazioni.
Arriano nacque tra l'85 e il 90 d.C. a Nicomedia, in Bitinia. Egli cominciò a scrivere di Alessandro quando il carattere di lui già da tempo era diventato oggetto di discussione nelle scuole di filosofia e di retorica. In quei tempi, Alessandro era la massima figura che fosse mai apparsa nella storia, e un concentrato di tutto ciò che l'uomo aveva sognato e immaginato. Arriano era sobrio, scrupoloso, preciso: cercava di rinnovare l'esattezza di Senofonte: consultò e utilizzò gli storici più fededegni. Arriano cancellò i paesaggi orientali, che avevano incantato Curzio Rufo: sfumò le figure minori e le ombre, e tutto il suo quadro fu occupato dal nuovo Achille, che conquistò il mondo.
Con questo secondo volume si conclude la pubblicazione del Poema degli astri di Manilio: il testo critico, che deriva da un riesame dell'intera tradizione testuale, è a cura di Enrico Flores; la traduzione di Riccardo Scarda; e il commento, per la parte storico-letteraria di Riccardo Scarda e per quella astronomico-astrologica di Simonetta Feraboli.
Il poema degli astri nacque da un profondo senso di angoscia metafisica e psicologica. Per vincere questa angoscia, Manilio conobbe un solo mezzo: indagare i segreti della natura (che è "divina", come l'uomo), portandoli alla più estrema chiarezza intellettuale. Spiegando questi misteri, Manilio trovava dovunque i segni della necessità, che guida tutte le cose. La venerazione della necessità faceva discendere la quiete nell'animo inquieto di Manilio e dei suoi contemporanei. Oggi, siamo abituati a trovare in ogni giornale oroscopi astrologici. Ma chi voglia conoscere la grandezza del pensiero astronomico-astrologico, legga Manilio, con le sue descrizioni dei caratteri umani dipendenti dagli astri: meravigliose per penetrazione psicologica e ricchezza di rapporti. Con arte squisita, Manilio disegna i tappeti del cielo; e dal cielo guarda tutte le regioni della terra, tutte le attività umane, tutte le minime vicende della storia e della vita quotidiana. Ogni cosa ha rapporto con le altre: tutto forma un'architettura. Usciamo dalla lettura del suo poema, così complesso e variegato, con l'animo pieno di reverenza.
Testo raffinatissimo accompagnato da una pregevole curatela che tuttavia, per il tema trattato, può raggiungere un pubblico ampio di lettori interessati alle questioni astrologiche. Con arte squisita, Manilio disegna i tappeti del cielo; e dal cielo guarda tutte le regioni della terra, tutte le attività umane, tutte le minime vicende della storia e della vita quotidiana. Il testo critico, che deriva da un riesame dell’intera tradizione testuale, è a cura di Enrico Flores (ordinario di letteratura latina nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli Federico II); la traduzione di Riccardo Scarcia (ordinario di filologia latina all’Università di Roma Tor Vergata); il commento, per la parte storico-letteraria di Riccardo Scarcia e per quella astronomico-astrologica di Simonetta Feraboli che insegna letteratura greca all’Università di Genova.
Indice - Sommario
Abbreviazioni bibliografiche
Sommario
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Libro terzo
Libro quarto
Libro quinto
COMMENTO
Libro terzo
Libro quarto
Libro quinto
Euripide si lamenta. Siamo nel secondo giorno della festa femminile delle Tesmoforie: egli teme che le donne lo condannino a morte, per punirlo di aver parlato male di loro. E vorrebbe che Agatone, un poeta effeminato, vada a difenderlo alla festa. Ma Agatone ha paura e rifiuta l'incarico. Allora il Parente - un buffone - prende il suo posto. Euripide lo rade, gli brucia i peli sulle natiche, lo rende liscio come una donna, lo traveste con abiti femminili. Ecco l'assemblea delle Tesmoforie: le donne protestano contro Euripide: il Parente denigra le donne: arriva Clistene, un famoso invertito: il Parente sgozza un otre di vino: Euripide dice dei versi della sua "Elena": questo dramma elegantissimo viene parodiato; e così via, di trovata in trovata, ognuna più spettacolare e divertente dell'altra. Non sappiamo mai se Aristofane schernisca o difenda le donne: non sappiamo cosa pensi veramente di Euripide. Come saperlo? Tutto è un gioco che si compiace di sé stesso. Alla fine "abbiamo giocato abbastanza: è tempo che ognuna ritorni alla sua casa". Nelle "Donne alle Tesmoforie", la volgarità di Aristofane tocca il suo culmine: la commedia sembra una farsaccia da paese, come spesso le commedie di Shakespeare - ma una fantasia prodigiosa innalza tutto ciò che è volgare ed osceno nel regno della vertiginosa follia comica.
Tragedia e commedia in un classico brioso e magnificamente tradotto che si inserisce – come quinto titolo dopo Le rane, Gli uccelli, Le Donne all’assemblea, e Le Nuvole – nella sezione “tutto Aristofane” della collana “Scrittori greci e latini”. Una nuova edizione critica e una curatela di prestigio: Carlo Prato, professore emerito di Letteratura greca all’Università di Lecce, insigne filologo dedicatosi da sempre allo studio del commediografo ateniese e, in particolare, ai rapporti tra Aristofane ed Euripide; la traduzione moderna e spigliata è di Dario Del Corno, titolare di Letteratura Greca alla Statale di Milano e docente di storia del teatro, autentico specialista di spettacoli classici.
Indice - Sommario
Introduzione
Indicazioni bibliografiche
TESTO E TRADUZIONE
- Sigla
- Le Donne alle tesmoforie
COMMENTO
Appendice metrica
Indice delle cose notevoli
Indice dei termini greci
Prefazione / Introduzione
I - La data di rappresentazione
L'assenza di hypothesis ("argomento") e di notizie certe o attendibili (testimonianze, scoli, allusioni storiche ecc.) ha reso difficile fissare la data di rappresentazione delle Tesmoforiazuse (Le Donne alle Tesmoforie), non solo per quanto con cerne l'anno in cui la commedia partecipò al concorso, ma anche per la sede del teatro nella quale essa venne allestita.
L'opinione corrente, sia pure con contrasti, è orientata in favore rispettivamente del 411 e delle Dionisie cittadine. In passato, soprattutto prima dell'intervento di Wilamowitz, che sostenne la data del 411, aveva trovato numerosi e autorevoli consensi anche la tesi del 410, recentemente ribadita da Rhodes.
Alla data del 411 si è arrivati principalmente sulla base di una preziosa indicazione del testo aristofaneo, dal quale si apprende che in "quello stesso luogo", dove si svolgeva lo spettacolo, l'anno precedente si era esibito Euripide con una tragedia, l'Andromeda, da lui, secondo un altro scolio, messa in scena insieme all'Elena; anche di questi due drammi, in verità, mancano informazioni dirette circa la data di rappresentazione, ma questa volta è stato possibile ricostruirla grazie a una notizia fornita dallo scolio a Ran. 53, secondo la quale l'Andromeda era stata presentata agli agoni tragici sette anni prima delle "Rane" (messe in scena esse stesse alle Lenee del 405), cioè nel 412.
Per quanto riguarda il tipo di concorso cui avrebbe partecipato Aristofane, l'orientamento della critica risulta favorevole, in prevalenza, a una rappresentazione delle Tesmoforiazuse alle Dionisie cittadine (marzo-aprile), ma le argomentazioni addotte non paiono decisive, anzi hanno tutte l'aria di petizioni di principio. Ciò vale, in verità, sia per chi ha aderito alla tesi prevalente, sia per chi (come Schmid-StähIin, Gelzer ecc.) si è pronunciato in favore della tesi opposta, cioè di una rappresentazione delle Tesmoforiazuse alle Lenee e di quella della Lisistrata alle grandi Dionisie, sia per chi (come il Cantarella) si è deciso per la rappresentazione di entrambe le commedie alle Lenee, sia per chi (come Russo) ha optato per una loro rappresentazione alle Dionisie cittadine.
Il secondo e ultimo volume delle "Storie di Alessandro Magno" accompagna il lettore dalla morte di Dario di Persia a quella di Alessandro Magno, a Babilonia. Alessandro, ormai dominato da un incontrollabile desiderio di illimitato possesso, travalica i limiti che gli dèi hanno imposto alla sua natura umana: cerca di emulare la maestà divina dei sovrani achemenidi e compie ogni genere di sfrenatezze. Con la sua sensibilità psicologica, e soprattutto con la sua capacità di rendere i sentimenti in modo drammatico e spettacolare, l'autore descrive questa metamorfosi fatale attraverso una serie di scene grandiose e di forte impatto emotivo.
Il settimo volume della "Guida della Grecia, L'Acaia", che la Fondazione Valla pubblica a cura di Mauro Moggi e Massimo Osanna, è il più patetico. Mai Pausania rivela così profondamente, come qui, il suo amore per la Grecia: per la religione, la storia, la letteratura, la lingua, l'arte, il paesaggio, le pietre, la vita quotidiana del suo paese ideale. Nel secondo secolo prima di Cristo, la Grecia si è estinta: Pausania non sa se per volontà degli dei, o per tradimento e viltà degli uomini. Prima i Macedoni e poi i Romani hanno posseduto e occupato la Grecia; e ora di quel corpo glorioso resta soltanto "una pianta mutilata e per la maggior parte secca". Pausania guarda con disperazione a questa fine: ma non riesce a vedere nessun'altra luce nella storia del mondo, e con venerazione percorre i luoghi sacri, e descrive con precisione e passione nascosta i paesaggi e le pietre.
Dopo la prima parte storica, il resto del settimo libro è dedicato agli dei, alle città, agli alberi, alle statue arcai-che, agli oracoli dell'Acaia. Conosciamo l'oracolo di Ermes. Chi sul far della sera arriva sulla piazza di Fare, sussurra una domanda alla statua del dio: poi si tappa le orecchie e si allontana: quando esce dalla piazza, toglie le mani dalle orecchie; le prime parole che ascolta gli rivelano il responso di Ermes. Conosciamo delle storie d'amore. Un uomo s'innamora di una ninfa marina, che lo abbandona. Lui muore d'amore: Afrodite lo cambia in fiume; ma nemmeno come acqua corrente può dimenticare la passione che l'ha legato alla ninfa. Allora Afrodite gli fa l'ultimo e più grande dei doni: gliela fa dimenticare. Poi trasforma le sue onde in rimedio e oblio per tutti gli innamorati infelici che vi immergono le membra.
Indice - Sommario
Nota introduttiva al Libro VII
di Mauro Moggi e Massimo Osanna
Bibliografia
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
a cura di Mauro Moggi
Sigla
Libro VII: L'Acaia
COMMENTO
a cura di Mauro Moggi e Massimo Osanna
Libro VII: L'Acaia
INDICI
a cura di Maria Elena De Luna e Cesare Zizza
Indice dei nomi propri di personaggi storici e mitici e di divinità
Indice dei nomi etnici e geografici
Indice di altri nomi propri (santuari, istituzioni, feste, monumenti, edifici, opere letterarie, ecc.)
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
La sezione narrativa (1,1-17,4) del libro sull'Acaia prevale nettamente su quella descrittiva (17,5-27,12.): comprende infatti, oltre alle linee essenziali della storia antica e del popolamento ellenico della Ionia d'Asia, anche la trattazione della storia più recente, cioè del periodo che ebbe nella Lega achea uno dei principali protagonisti e che si concluse con la distruzione di Corinto e l'assoggettamento della Grecia a Roma.
Dopo aver fornito le indicazioni indispensabili a collocare la regione nel Peloponneso, Pausania passa a trattare l'arrivo di Xuto nell'Egialo e l'acquisizione del regno da parte di suo figlio Ione, grazie al quale gli Egialesi aggiunsero alla loro originaria denominazione la qualificazione di Ioni. A questo punto, le vicende di quella che sarà l'Acaia si intrecciano con le vicende dell'Attica, mentre cominciano a delinearsi le relazioni reciproche sia fra queste due regioni, sia fra di esse e l'area micrasiatica nella quale sorgerà la dodecapoli ionica. L'espulsione degli Achei da Argo e da Sparta a opera dei Dori e la conseguente cacciata degli Ioni dall'Egialo da parte degli Achei rappresentano due avvenimenti di grande rilievo. La migrazione degli Ioni peloponnesiaci, prima per breve tempo ad Atene e poi in maniera definitiva sulle coste anatoliche, diventa oggetto di una digressione ampia e assai ricca di dettagli, che tenta di ricostruire minuziosamente la fase della fondazione e delle vicende più antiche della dodecapoli micrasiatica, riservando particolare attenzione alla definizione dei legami parentali delle singole città "coloniali" con le città e i popoli della Grecia metropolitana.
Lo schema espositivo adottato per la fondazione di Mileto, la prima polis a essere presa in considerazione, è paradigmatico, in quanto nelle sue linee essenziali si ripete nelle trattazioni dedicate alla maggior parte delle altre città: nome del fondatore (o dei fondatori); ricostruzione dell'origine e della storia più antica del centro e (là dove esistono) dei santuari più importanti, che sono ritenuti in genere antichissimi e in qualche caso preesistenti all'arrivo degli Ioni; descrizione delle presenze indigene, e in qualche caso greche, nell'area di insediamento (uniche eccezioni in questo senso Clazomene e Focea, che sarebbero state fondate in territori disabitati); modalità dell'incontro fra coloni e popolazioni già insediate nelle aree destinate alla occupazione e assetto finale raggiunto dalle singole poleis. Il tutto sulla base di una miriade di notizie reperite anche o soprattutto nell'ambito delle fonti locali.
In questo quadro, il regime di pacifica convivenza attribuito ai Cari e ai Cretesi stanziati a Mileto costituisce un esempio di impatto morbido fra coloni e popolazioni locali, che trova pochi paralleli nell'excursus sulla occupazione ionica della regione e solo in riferimento alle aree dotate di un importante centro cultuale. Il popolamento della Ionia, soprattutto per quanto riguarda gli episodi riconducibili agli Ioni guidati dai Codridi, è visto essenzialmente come una affermazione, spesso basata sulla violenza, dei coloni sugli indigeni, e quindi della grecità sui barbari: questi, di norma, non trovano il minimo spazio nelle poleis che vanno nascendo e consolidandosi. La posizione assunta da Pausania si inserisce nel solco della tradizione storiografica più antica sulla colonizzazione e può essere considerata indicativa della natura profonda del fenomeno coloniale e dell'atteggiamento mentale, ispirato da un forte etnocentrismo, che ha ispirato l'espansione greca in ogni epoca. Inoltre, certi moduli narrativi, come quello delle peregrinazioni degli Ioni che fondarono Clazomene, trovano paralleli precisi in alcuni precedenti ben noti (la fondazione di Cirene in Erodoto e quella di Megara Iblea in Tucidide). In questa trattazione antistorica del passato remoto non mancano digressioni minori sia su eventi altrettanto lontani nel tempo, come le vicende di Dedalo in Sicilia, sia su fatti relativamente recenti, come il sinecismo di Efeso a opera di Lisimaco, che comportò lo spopolamento (parziale) di Colofone e di Lebedo, o la tirannide di Ierone a Priene - ignorata da tutta la tradizione letteraria, ma confermata epigraficamente - o, ancora, la ricostruzione di Smirne e il suo accoglimento nella dodecapoli ionica.
Una breve e sintetica sezione descrittiva sulle cose da vedere (in particolare santuari, statue, tombe, fiumi, sorgenti, acque termali), che comunque non fa della Ionia una regione che possa essere considerata oggetto di trattazione diretta, chiude il discorso aperto dalla migrazione degli Ioni in Oriente e consente, con un procedimento anulare, la ripresa del discorso relativo agli Achei. Essi appaiono ormai stabilmente insediati nella regione peloponnesiaca: della loro dodecapoli vengono elencate e collocate nel territorio - procedendo da ovest verso est, sulla base di un itinerario costiero, inframmezzato da rapide puntate verso l'interno - le città della fase più antica, compresa Elice, di cui Pausania conosce la catastrofica distruzione, ed esclusa invece Patre, che, fondata appunto dagli Achei, non poteva essere annoverata fra le città appartenute originariamente agli Egialesi Ioni e passate poi ai nuovi occupanti.
Con la segnalazione della partecipazione alla guerra di Troia inizia la rassegna delle imprese militari degli Achei, che si accompagna alla denuncia delle loro assenze nei momenti topici della storia greca; come al solito, la presenza o l'assenza ai combattimenti delle guerre persiane, alla battaglia di Cheronea e alla guerra di Lamia contro i Macedoni o alla difesa delle Termopile contro i Galati, misurano il patriottismo panellenico e la correttezza degli Elleni del passato.