Questo volume, nato nel pieno del dibattito che investe la coscienza moderna, conclude una lunga meditazione morale che costituisce uno dei più suggestivi nuclei della produzione di Maritain. Viene ripreso il discorso già abbozzato nel Breve trattato dell'esistenza e dell'esistente, inteso a penetrare il mistero della presenza del male nel mondo e il rapporto tra la non-entità del male e l'Assoluto. L'analisi si svolge mediante la verifica di due assiomi, dai quali si deduce, da un lato, la totale innocenza di Dio nei confronti di tutte le miserie e le brutture di cui l'uomo porta il peso e l'angoscia e, da un altro lato, la conoscibilità del male da parte di Dio senza peraltro che ve ne sia in lui traccia intellegibile. Viene elaborata una teoria della causazione del male che tematizza il ruolo nientificante dell'uomo nei confronti della mozione divina, mentre viene superato l'impasse che coinvolgeva Dio nella causazione del male. Una delle più acute interpretazioni che la teoria tomistica del male abbia ricevuto.
Cosa significa fare oggi filosofia analitica della religione? Eleonore Stump in questo libro cerca di recuperare il senso profondo del contributo che Tommaso d'Aquino ha dato al nostro pensiero su Dio, avviando una discussione sulla dottrina degli attributi divini: eternità, semplicità e immutabilità. Rivolgendosi a tutti coloro che sono interessati alla verità delle cose, indipendentemente dalla loro posizione religiosa, cerca un'alleanza innovativa - considerata la diffidenza continentale verso un approccio razionale e metafisico e l'antitetica predilezione anglosassone verso la formulazione di "nuovi teismi" - tra le risorse filosofiche del cristianesimo e le sue tradizioni spirituali e bibliche. Il teismo classico ha oggi molto da dire: è ancora necessario scegliere tra il Dio della Bibbia e il Dio di (certi) filosofi.
"Con o senza Dio questo mondo?" è la domanda che percorre la narrazione dei Fratelli Karamazov, una discussione mai conclusa alla quale questo libro intende partecipare. In un tempo in cui non si sente bisogno di Dio e sembra tramontato l'interesse per il senso della vita e quindi per la verità, sia il fedele sia l'ateo si pongono come modelli di interrogazione profonda. Seguendo la scuola filosofica di Bernardino Varisco, Pantaleo Carabellese e Teodorico Moretti-Costanzi, riconciliarsi con Dio significa scorgere nell'oscurità della fragilità umana una luce in cui riconoscere traccia dello Spirito, oppure un inquietante silenzio che rimanda a un'unica possibile grandezza, quella dell'uomo. Nella ricerca del senso di sé e del mondo, egli tenta di riconciliarsi soprattutto con se stesso per non soggiacere alla cattiveria, alla guerra, al tornaconto e all'infinita serie dei mali esistenti. Da questo coraggio nasce tutto il bene possibile, tutto si traduce in una visione speciale del mondo di cui sono capaci gli uomini indagatori del senso, siano essi atei o credenti.
Da sempre l’umanità ha inventato rappresentazioni di Dei. Ma l’invenzione non è mai solo un prodotto della fantasia. L’inventare è sempre anche un trovare. Persino le più improbabili invenzioni sono costruite con spezzoni di ciò che si è trovato nell’esperienza effettiva. Che cosa c’è nella stessa esperienza che spinge a concepire qualcosa di “trascendente” che in teoria dovrebbe essere il contrario dell’esperienza? Questo libro delinea una prospettiva ispirata dall’insegnamento di Husserl e di Merleau-Ponty, ma anche di Hegel, di Deleuze e di Pareyson: autori certo non omologabili fra loro ma che in vario modo inducono a pensare il “trascendente” quale proprietà essenziale dell’esperienza, e non come l’“al di fuori” di essa. Giacché l’esperienza è il vissuto del tempo: essa riguarda gli eventi, che non sono semplici fatti perché l’apparire in superficie del fatto lascia trasparire uno sfondo inesauribile il cui spessore dipende dall’intenzione dell’osservatore di andarci a fondo. Il vissuto – in trasparenza – dello sfondo compreso nell’evento, la percezione della sua proprietà “trascendente”, suscita la costruzione di immagini che diventano, fra l’altro, le invenzioni di Dio. L’esperienza dell’evento è l’origine non religiosa della religione.
ALDO MAGRIS è professore di Filosofia teoretica all’Università di Trieste. Presso la Morcelliana ha pubblicato: Il manicheismo. Antologia dei testi (2000); La filosofia ellenistica. Scuole, dottrine e interazioni col mondo giudaico (2001); Nietzsche (2003); Il mito del Giardino di ‘Eden (2008); Trattati antichi sul destino (2009); La logica del pensiero gnostico (2011, 2a ed. riveduta e ampliata); Destino, provvidenza, predestinazione. Dal mondo antico al cristianesimo (2016, 2a ed. riveduta). Ha inoltre curato il volume Confutazione di tutte le eresie di Ippolito (20162).
L’immutabilità di Dio, l’ultimo Discorso pubblicato da Kierkegaard nell’agosto del 1855, è pervaso dall’intento di comunicare quanto sia rasserenante la novità cristiana per ciascun uomo pensoso del proprio vero bene, non solo per l’eternità, ma in ogni momento del proprio cammino nel tempo: «Per questo ci proponiamo di parlare di Te, Immutabile, ossia della Tua immutabilità, se possibile,
sia con spavento sia per la serenità». Al termine del Discorso Kierkegaard potrà così sostenere: «l’Immutabile viaggia insieme» con noi. Anche per questo egli non intende dimostrare né l’esistenza di Dio né che Dio è immutabile, bensì, paradossalmente, che Dio, l’Immutabile, si muove per porsi e restare vicinissimo ad ogni attimo di vita di ogni singolo uomo, operando per il suo bene,
ma anche lasciandolo sempre libero di ricusare l’aiuto che l’Immutabile immutabilmente gli porge.
(dall’Introduzione di Umberto Regina)
Finito di correggere pochi giorni prima della sua scomparsa, questo scritto si pone come il culmine della ricerca speculativa di Arata. La cosa stessa del suo pensiero - Dio in quanto persona - è qui indagata a partire dal mistero che Dio è per chi lo interroghi senza remore. Arata è stato tra i pochi ad aver portato alle estreme conseguenze questo compito. Di qui la Reditio: un ritornare che è rimettere in questione l'intera sua riflessione. Se Dio, per essere se stesso, è mistero, che cosa si può dire dell'autore che riflette su di Lui? Se Dio è l'Arché, il principio di tutte le cose, come giustificare lo scandalo del male? Se nelle altre opere Arata concludeva all'aut-aut - Dio o la filosofia - qui pare giungere a una domanda ancor più radicale: Dio, pur imprescindibile, è davvero pensabile? E l'uomo può fare a meno di pensarlo? Infine si sporge alle soglie del pensiero stesso: l'esperienza religiosa e la morte. Arata amava definire il metafisico un "professionista dell'intero", e in queste pagine ne dà prova in massimo grado.
Queste "scintille", brevi brani da cui dovrebbe accendersi il lento fuoco d'una meditazione quotidiana, illuminano con intensità crescente squarci del pensiero teologico e spirituale di Guardini. Vi domina il senso dell'abbandono fiducioso all'occhio misericorde di Dio. Al suo sguardo, ogni inadeguatezza, tutto ciò che in noi è indegno e cattivo, che di giorno in giorno ci contrista, non è ancora mortale, se non si sottrae a quella luce di verità e insieme di amore infinito. È questa disposizione come una sorgente inesauribile donde zampilla il rinnovamento: tutto è possibile nella forza liberatrice di Dio.