Dalle riunioni educative per i giovani cattolici tedeschi avvenute nel 1929 al castello di Rothenfels nascono queste dieci meditazioni di Romano Guardini, che trattano altrettante dimensioni del volto del Dio di Gesù Cristo, offrendo un percorso carico di afflato spirituale. Le riflessioni toccano i temi della Provvidenza, della volontà di Dio, della grazia e della contrizione, del cuore e del Dio che consola, dando corpo alle grandi parole della fede e mettendo in luce il loro apporto vitale per l'esistenza. Grande è l'attenzione per l'umanità del credere, per i tratti che dicono la "carne" della fede e il midollo delle giornate: le domande, la morte, la coscienza della colpa, il perdono, la speranza. Con uno guardo profondo sulla realtà della creazione, Guardini testimonia e annuncia il Dio Vivente, il Dio della vita, appunto, che guarda il mondo e l'uomo con benevolenza.
Questo volume, nato nel pieno del dibattito che investe la coscienza moderna, conclude una lunga meditazione morale che costituisce uno dei più suggestivi nuclei della produzione di Maritain. Viene ripreso il discorso già abbozzato nel Breve trattato dell'esistenza e dell'esistente, inteso a penetrare il mistero della presenza del male nel mondo e il rapporto tra la non-entità del male e l'Assoluto. L'analisi si svolge mediante la verifica di due assiomi, dai quali si deduce, da un lato, la totale innocenza di Dio nei confronti di tutte le miserie e le brutture di cui l'uomo porta il peso e l'angoscia e, da un altro lato, la conoscibilità del male da parte di Dio senza peraltro che ve ne sia in lui traccia intellegibile. Viene elaborata una teoria della causazione del male che tematizza il ruolo nientificante dell'uomo nei confronti della mozione divina, mentre viene superato l'impasse che coinvolgeva Dio nella causazione del male. Una delle più acute interpretazioni che la teoria tomistica del male abbia ricevuto.
Cosa significa fare oggi filosofia analitica della religione? Eleonore Stump in questo libro cerca di recuperare il senso profondo del contributo che Tommaso d'Aquino ha dato al nostro pensiero su Dio, avviando una discussione sulla dottrina degli attributi divini: eternità, semplicità e immutabilità. Rivolgendosi a tutti coloro che sono interessati alla verità delle cose, indipendentemente dalla loro posizione religiosa, cerca un'alleanza innovativa - considerata la diffidenza continentale verso un approccio razionale e metafisico e l'antitetica predilezione anglosassone verso la formulazione di "nuovi teismi" - tra le risorse filosofiche del cristianesimo e le sue tradizioni spirituali e bibliche. Il teismo classico ha oggi molto da dire: è ancora necessario scegliere tra il Dio della Bibbia e il Dio di (certi) filosofi.
"Con o senza Dio questo mondo?" è la domanda che percorre la narrazione dei Fratelli Karamazov, una discussione mai conclusa alla quale questo libro intende partecipare. In un tempo in cui non si sente bisogno di Dio e sembra tramontato l'interesse per il senso della vita e quindi per la verità, sia il fedele sia l'ateo si pongono come modelli di interrogazione profonda. Seguendo la scuola filosofica di Bernardino Varisco, Pantaleo Carabellese e Teodorico Moretti-Costanzi, riconciliarsi con Dio significa scorgere nell'oscurità della fragilità umana una luce in cui riconoscere traccia dello Spirito, oppure un inquietante silenzio che rimanda a un'unica possibile grandezza, quella dell'uomo. Nella ricerca del senso di sé e del mondo, egli tenta di riconciliarsi soprattutto con se stesso per non soggiacere alla cattiveria, alla guerra, al tornaconto e all'infinita serie dei mali esistenti. Da questo coraggio nasce tutto il bene possibile, tutto si traduce in una visione speciale del mondo di cui sono capaci gli uomini indagatori del senso, siano essi atei o credenti.
Da sempre l’umanità ha inventato rappresentazioni di Dei. Ma l’invenzione non è mai solo un prodotto della fantasia. L’inventare è sempre anche un trovare. Persino le più improbabili invenzioni sono costruite con spezzoni di ciò che si è trovato nell’esperienza effettiva. Che cosa c’è nella stessa esperienza che spinge a concepire qualcosa di “trascendente” che in teoria dovrebbe essere il contrario dell’esperienza? Questo libro delinea una prospettiva ispirata dall’insegnamento di Husserl e di Merleau-Ponty, ma anche di Hegel, di Deleuze e di Pareyson: autori certo non omologabili fra loro ma che in vario modo inducono a pensare il “trascendente” quale proprietà essenziale dell’esperienza, e non come l’“al di fuori” di essa. Giacché l’esperienza è il vissuto del tempo: essa riguarda gli eventi, che non sono semplici fatti perché l’apparire in superficie del fatto lascia trasparire uno sfondo inesauribile il cui spessore dipende dall’intenzione dell’osservatore di andarci a fondo. Il vissuto – in trasparenza – dello sfondo compreso nell’evento, la percezione della sua proprietà “trascendente”, suscita la costruzione di immagini che diventano, fra l’altro, le invenzioni di Dio. L’esperienza dell’evento è l’origine non religiosa della religione.
ALDO MAGRIS è professore di Filosofia teoretica all’Università di Trieste. Presso la Morcelliana ha pubblicato: Il manicheismo. Antologia dei testi (2000); La filosofia ellenistica. Scuole, dottrine e interazioni col mondo giudaico (2001); Nietzsche (2003); Il mito del Giardino di ‘Eden (2008); Trattati antichi sul destino (2009); La logica del pensiero gnostico (2011, 2a ed. riveduta e ampliata); Destino, provvidenza, predestinazione. Dal mondo antico al cristianesimo (2016, 2a ed. riveduta). Ha inoltre curato il volume Confutazione di tutte le eresie di Ippolito (20162).
L’immutabilità di Dio, l’ultimo Discorso pubblicato da Kierkegaard nell’agosto del 1855, è pervaso dall’intento di comunicare quanto sia rasserenante la novità cristiana per ciascun uomo pensoso del proprio vero bene, non solo per l’eternità, ma in ogni momento del proprio cammino nel tempo: «Per questo ci proponiamo di parlare di Te, Immutabile, ossia della Tua immutabilità, se possibile,
sia con spavento sia per la serenità». Al termine del Discorso Kierkegaard potrà così sostenere: «l’Immutabile viaggia insieme» con noi. Anche per questo egli non intende dimostrare né l’esistenza di Dio né che Dio è immutabile, bensì, paradossalmente, che Dio, l’Immutabile, si muove per porsi e restare vicinissimo ad ogni attimo di vita di ogni singolo uomo, operando per il suo bene,
ma anche lasciandolo sempre libero di ricusare l’aiuto che l’Immutabile immutabilmente gli porge.
(dall’Introduzione di Umberto Regina)
YHWH è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe o piuttosto il Dio di Sara, Agar e Abramo, il Dio di Rebecca e Isacco, il Dio di Lia, di Rachele, Zilpa e Bila? Le narrazioni degli inizi della storia del rapporto con il suo popolo Israele possono essere lette in senso opposto alle ricerche tradizionali, considerando i racconti sulle donne come struttura fondante. Sono molte le storie di donne che appartengono ai testi più antichi della Genesi, agli antefatti dell'Esodo e al Libro di Rut, che parlano qui, attenendosi il più possibile all'ebraico, in una prospettiva diversa. Un approccio di ricerca rispettoso dei generi, dove le vicende con protagonisti maschili e quelle con protagoniste femminili sono messe sullo stesso piano: anche le donne, grazie al loro impegno nell'azione, contribuiscono alla storia del popolo con una svolta decisiva, presentandosi come le madri, le progenitrici di Israele
"Tutte le qualità anche quelle basse e malvagie, possono essere sollevate al servizio di Dio. Così, per esempio, l'orgoglio: quando viene innalzato, si trasforma in nobile coraggio nelle vie di Dio. Ma a che scopo sarà stato creato l'ateismo? anch'esso ha il suo innalzamento: nell'atto di pietà. poiché quando uno viene da te e ti chiede aiuto, allora tu non devi raccomandargli di avere fiducia e rivolgere la sua pena a Dio. ma devi agire come se Dio non ci fosse, come se in tutto il mondo ci fosse uno solo che può aiutare quell'uomo: e quell'uomo sei tu"
Racconti dei chassidim di Martin Buber.
DESCRIZIONE: L’«amore di Dio», in virtù dell’ambivalenza del genitivo (soggettivo o oggettivo), può indicare tanto il chinarsi dell’alto verso il basso proprio dell’agape divina, quanto il dirigersi del cuore umano verso il proprio Signore.
Il comando di amare rivolto dal Signore al proprio popolo ha un riferimento, antico e pregnante, al linguaggio della politica del Vicino Oriente e soprattutto, come sempre quando si evoca un patto, il soggetto interessato è collettivo.
È altrettanto certo che un mal diretto amore di Dio può andare contro l’uomo: da sempre la valutazione del martirio, anche quando si tratta di una violenza subita, è posta su un sottile crinale in cui pochissimo spazio la separa dal primato di un amore di Dio che dovrebbe riuscire a valere più del sangue versato. Tuttavia questo martirio è tutt’altra cosa dalla declinazione dello pseudo-martirio terrorista, ma anche nell’aberrazione resta traccia di un’ambivalenza più antica: nei Maccabei si manifesta la resurrezione dei morti come l’unico premio adeguato per chi offre al Signore la vita del proprio corpo; nell’islam si prospetta l’immediato godimento paradisiaco offerto allo shahid; nel cattolicesimo la canonizzazione del martire avviene in virtù del suo stesso morire.
Nella moderna coscienza occidentale si avverte però in modo profondo la falsità di ogni preteso amore di Dio che, sotto qualunque aspetto, vada a scapito dell’uomo. Non vi può essere vero amore di Dio quando, nel nome del Signore, si va contro gli esseri umani: «non c’è altro comandamento maggiore di questo» (Mc 12,31).
SAGGI DI : Paolo De Benedetti - Benedetto Carucci Viterbi - Khaled Fouad Allam - Moshe Idel -Fabrizio Lelli - Giuseppe Lorizio - Amos Luzzatto - Stella Morra - Anne-Marie Pelletier - Paolo Ricca - Francesco Rossi de Gasperis - Jean-Louis Ska - Piero Stefani - Alberto Ventura.
La voce di un filosofo, allievo di Pareyson, che si interroga attorno alle classiche domande della teodicea: problema del male e della relazione tra quest'ultimo e Dio.
È dalla crisi della preghiera che Hans Küng parte in questo aureo testo. Una crisi esita, insieme, della secolarizzazione e delle domande inevase di giustizia di fronte al male e al dolore innocente. Ma proprio il continuo riproporsi di questi interrogativi è per Küng la condizione per scoprire il senso universalmente umano della preghiera: «La preghiera può trasformare l'uomo, ma l'uomo dovrebbe trasformarsi anche nella sua preghiera. La preghiera è qualcosa di vivente, può crescere, maturare, diventare matura. [...] Anche la preghiera deve diventare adulta, deve essere lo specchio, l'espressione dell'intera personalità. Da come uno prega si capisci che uomo egli è».