Nessuna tragedia dei mari e nessun episodio di guerra navale ebbero mai una risonanza e delle conseguenze mondiali paragonabili al naufragio del Lusitania. Intorno alla fine di questo transatlantico, enorme e lussuoso, chiamato "il levriere dei mari", silurato da un sommergibile tedesco presso la costa irlandese durante la Prima guerra mondiale, divamparono le polemiche e si addensarono i misteri. Il "dossier" pubblicato in queste pagine, costituito di articoli apparsi a quell'epoca, fa rivivere, nella sua tragicità, non solo la fine del Lusitania, ma anche l'intrigo in cui essa si inserisce. Una delle principali poste in gioco, nella campagna di stampa che seguì, fu la conquista dell'opinione pubblica mondiale e specialmente di quella americana, per consentire e giustificare, oltre all'aiuto finanziario e industriale degli USA, il loro diretto intervento nel conflitto. Fu un intervento decisivo per la sconfitta della Germania, ma anche vantaggioso per numerosi interessi privati, lontanissimi dai temi di giustizia in nome dei quali la popolazione americana era chiamata a dare il proprio contributo alla guerra. Attraverso il "dossier" possiamo seguire lo svolgimento dei fatti che accompagnarono il Lusitania alla sua fine e lo strascico di polemiche che seguì: una viva testimonianza di come la bella nave, con il suo carico di passeggeri fiduciosi e di materiali micidiali, andò verso il naufragio.
Nella Roma "città aperta" occupata dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943 spadroneggiano le SS di Kappler e i soldati della Wehrmacht; ma nella città giudicata cinica e indolente è una nuova leva di giovanissimi, ragazzi e ragazze, ad animare la ribellione per "rendere la vita impossibile all'occupante". Molti di loro avranno ruoli di primo piano nelle vicende politiche e culturali del nostro Paese nel dopoguerra. Questo libro racconta le scelte e i contrasti all'interno dei grandi protagonisti in campo: i Comandi nazisti, l'esercito alleato sbarcato ad Anzio, i partiti antifascisti, il Vaticano. Grazie a fonti ufficiali a lungo dimenticate, conversazioni telefoniche intercettate, lettere, diari di adolescenti, prendono voce gli uomini e le donne che vissero nove mesi di paura, di fame, di morte, ma anche di passioni, di innamoramenti e persino di speranze. È il grande affresco di una tragedia dell'Italia moderna, per molti aspetti ancora da scoprire.
"La Terra ci fornisce, sul nostro conto, più insegnamenti di tutti i libri. Perché ci oppone resistenza. Misurandosi con l'ostacolo l'uomo scopre se stesso", così inizia il libro dell'autore de Il piccolo principe. Un diario di viaggio tra cielo, sabbia e vento che racconta la difficoltà e la meraviglia di essere uomini nelle avversità, nella fatica, nella gioia. Al comando del suo aeroplano Antoine de Saint-Exupéry vola sul nostro pianeta per consegnarci la più commovente delle avventure, quella di essere uomini.
L'"Annuario Filosofico" nasce da una cerchia di studiosi particolarmente affiatati, dediti alla ricerca filosofica tanto nel campo storico quanto nel campo teorico. Essi si propongono anzitutto di rinnovare le categorie storiografiche nei punti in cui quelle in uso hanno dimostrato qualche insufficienza, di sfruttare la portata rilevante del dibattito filosofico attuale proponendo nuove interpretazioni di filosofie del passato, di riportare in circolazione correnti e autori meno studiati eppure capaci di far sentire una voce importante nella cultura filosofica contemporanea. Essi si propongono inoltre di allargare la problematica attuale con la trattazione di temi nuovi o insoliti nel clima filosofico odierno, con spirito alieno dalle mode e al tempo stesso decisamente anticonformistico, e di segnalare l'urgenza di tematiche oggi poco frequentate ma non per questo meno decisive nell'attualità. La rivista conta sulla collaborazione di quanti si riconoscono in questo programma e condividono questa impostazione, al di là delle singole proposte personali e dei particolari esiti speculativi, nella consapevolezza che in filosofia più che le differenze che dividono, importa la convergenza in una problematica comune.
1974: mentre in tutto il mondo centinaia di migliaia di persone manifestano contro il golpe di Pinochet, che da un anno ha precipitato il Cile nel buio di una dittatura sanguinaria, a Santiago Emilio Barbarani, giovane diplomatico italiano, tiene in scacco la temibile DINA, la polizia segreta, proteggendo e salvando centinaia di rifugiati politici. Due anni vissuti pericolosamente quelli di Barbarani, tra spie, intrighi, scontri politici, storie d'amore, colpi di mano, sparatorie e un delitto da risolvere: nel giardino dell'Ambasciata viene trovato il corpo martoriato di Lumi Videla, militante del Mir, movimento rivoluzionario di sinistra. Uccisa in Ambasciata, dicono i golpisti; torturata ed eliminata, affermano gli oppositori. Tra mille difficoltà e spesso a rischio della propria vita Barbarani si trova a gestire l'inchiesta giudiziaria e contemporaneamente la difficile situazione dei rifugiati bloccati in Ambasciata. E per farlo dovrà ricorrere a tutta la sua intelligenza, al suo fascino e a una buona dose di audacia. Una pagina sconosciuta degli anni della guerra fredda scritta con il ritmo di una spy-story in cui le vicende umane si intrecciano con l'analisi politica della situazione che portò al golpe, la denuncia della crudeltà del regime, le contraddizioni dei movimenti e il ruolo della diplomazia a Santiago.
Secondo Nietzsche la filosofia non nasce affatto, come si è soliti pensare, da un afflato disinteressato al sapere, ma da un'inquietudine esistenziale figlia dell'incapacità dell'uomo di dare senso alla precarietà della propria vita. Abbracciando tale prospettiva, questo libro invita a liberarsi dalla tendenza a considerare patologica ogni forma di disagio esistenziale per provare a pensare filosoficamente "la fatica di essere se stessi". Capitolo dopo capitolo, il volume si rivela un percorso di autenticità nel quale la malattia e l'eccesso di medicalizzazione, l'ansia da prestazione e il senso d'inadeguatezza, la bassa soglia di sopportazione delle difficoltà, il risentimento e il senso di colpa rispetto al tempo passato, la frustrazione per quello presente e l'angoscia per quello futuro, la relazione tra la paura di morire e quella di vivere si trasformano in opportunità per esaminare il nostro modo di essere al mondo e per vedere se l'esistenza, inquadrata da nuove prospettive, possa apparire sotto una luce diversa che ne rischiari il senso e le dia nuovo slancio. E se la filosofia non sarà sempre in grado di apportare agli uomini quella guarigione che "consisterà nel liberare l'anima dalle preoccupazioni della vita, per condurla alla semplice gioia di esistere" - come amava dire Epicuro -, essa potrà almeno insegnargli "a non farsi ingannare".
Il 14 luglio 1943 a Biscari, oggi Acate, soldati italiani e tedeschi presi prigionieri dopo la battaglia per il controllo dell'aeroporto di Santo Pietro vennero fucilati dai militari della 45ª Divisione di Fanteria dell'esercito americano. Le vittime di questi crimini di guerra sono state per decenni dei fantasmi: ignoti i loro nomi, sconosciuto il luogo della sepoltura. Ora per la prima volta, grazie a un lungo e minuzioso lavoro di ricerca, i nomi di quei soldati, 70 italiani e 4 tedeschi, vengono riconsegnati alla memoria collettiva. I più giovani avevano poco più di vent'anni, il più anziano quarantotto; non c'erano tra loro ufficiali, erano quasi tutti soldati di truppa. L'elenco delle vittime degli eccidi di Biscari è la fase finale del lavoro che Andrea Augello ha condotto per sollevare il velo di omissioni e falsità sullo sbarco americano in Sicilia. Nel dopoguerra fu accreditata l'immagine di un'occupazione quasi pacifica della Sicilia, una marcia trionfale dei liberatori acclamati dalla popolazione. Le cose andarono diversamente, e queste pagine raccontano, ora per ora, la battaglia di Gela: l'accanita e determinate resistenza dei reparti italiani impegnati contro le forze da sbarco statunitensi, le incertezze e gli errori dei tedeschi, la violenza, spesso cieca e brutale, delle truppe del generale Patton. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 i paracadutisti britannici, durante l'operazione Husky, diedero inizio all'assalto della Fortezza Europa.
Il bue squartato è Nietzsche, da cui ciascun interprete si ritaglia una bistecca trascurando il resto. Gli altri macelli sono quelli che la vita fa di noi, quelli che noi facciamo di noi stessi e degli animali, quelli che in tutto il libro si fanno di luoghi comuni e di idee ricevute, nonché i "macelli" critici di grandi autori come Platone, Sant'Agostino, Bruno, Spinoza, Schopenhauer, Nietzsche, Heidegger, Hegel, Croce e altri, senza risparmiare gli autori odierni: macelli che Sossio Giametta fa, dopo lo scavo dei loro tesori, come continuazione del loro lavoro. Fino ad abbozzare in conclusione, con osservazioni scaturite dall'esperienza di una vita, un vero e proprio metodo filosofico ad uso dei giovani pensatori, che innova sui metodi classici come quelli di Descartes e di Spinoza. Giametta, intervistato da Giuseppe Girgenti in occasione del suo ottantesimo compleanno, racconta la sua esperienza tra Firenze e Weimar come collaboratore all'edizione critica Colli-Montinari delle opere di Nietzsche, come traduttore, saggista, narratore, critico letterario e giornalista, dà una nuova immagine di Nietzsche e una nuova sintesi di Schopenhauer, getta una profonda luce sul Cristianesimo e sulla Chiesa, esplora le radici dell'attuale situazione politica ed economica italiana ed europea, si interroga su aspetti problematici di Platone e trancia la questione della responsabilità politica di Heidegger.
Agostino compose il "De vera religione" fra il 389 e il 390 a Tagaste, appena tornato in Africa dopo un lungo e determinante soggiorno in Italia. L'opera risente molto del clima spirituale della cosiddetta conversione milanese (estate-autunno del 386). Nella sua relativa brevità è quasi una piccola "summa" dell'agostinismo, contenendo infatti una trattazione dei temi più importanti cui il filosofo avrebbe dedicato le opere successive. Se, da un lato, il suo pensiero seguì una naturale evoluzione nel corso degli anni, dall'altro si può notare come, rileggendo l'opera, il vecchio vescovo ormai prossimo alla morte, non ebbe da fare, nelle "Retractationes", che annotazioni molto marginali, e solo in caso di disapprovazione: il che conferma il duraturo significato del libro per l'intera parabola evolutiva del pensiero agostiniano.
Platero, minuto, peloso, soave, è un asino che ha l'acciaio dentro, acciaio e argento di luna fusi insieme. Juan Ramón, suo compagno di viaggio, è un poeta, uno dei grandi poeti spagnoli. L'uomo e l'asino, muovendo da Moguer attraverso la campagna dell'Andalusia, lambita dal palpitante oceano, camminano fianco a fianco. È un magico viaggio, restituito in centotrentotto istanti che toccano il cuore, tanti sono i brevi capitoli che compongono questa elegia andalusa di rara bellezza, dove una natura potente si intreccia con i paesaggi dell'anima.
La sofferenza di un bambino scuote la nostra indifferenza e ci impone di agire. Lo ha fatto nel dopoguerra don Carlo Gnocchi, dedicando la sua opera di assistenza al «dolore innocente» e fondando l’organizzazione che dal 1957 porta il suo nome.
«Vi raccomando la mia baracca», fu l’ultima frase del sacerdote. Un appello che non è caduto nel vuoto: in oltre mezzo secolo la Fondazione ha assistito centinaia di migliaia di persone, adulti e bambini, in nome di quell’ideale di «dignità della persona umana» che ha ispirato tutta la vita del Beato don Gnocchi.
La Fondazione è da sempre un luogo dove si incrociano storie di dolore e di speranza, dove l’impegno arricchisce emotivamente e intellettualmente chi dona e chi riceve, come racconta in questo libro un manager milanese calato dalla finanza in una realtà che convive ogni giorno con la sofferenza.
La fede aiuta, ma occorre rimboccarsi le maniche e mettere le proprie competenze e il proprio tempo al servizio di una realtà molto più complessa di quanto possa apparire.
Un racconto in prima persona in cui s’intrecciano la vita di don Carlo e le storie dei piccoli ammalati e dei loro genitori. Accanto a chi non ce l’ha fatta, come Carlo, morto di cancro a cinque anni, c’è anche chi ha vinto la malattia, come Dimitri, vittima di un padre violento, o il rwandese Joseph, un «mutilatino» delle nuove guerre. E poi Alessandro, affetto da sindrome di Down e abbandonato dalla mamma.
A distanza di decenni l’insegnamento di don Gnocchi mantiene intatta la sua potenza: tutti possiamo fare la nostra parte per alleviare il dolore innocente, perché i piccoli angeli della baracca sono anche figli nostri.
Roberto Gatti si è laureato in Economia Aziendale all’Università Bocconi di Milano e si è specializzato in Corporate Governance all’IMD di Losanna. È dirigente nell’area Investment Banking di un primario gruppo bancario europeo per il quale ha ricoperto e ricopre diversi incarichi direttivi, fra cui la responsabilità dell’attività di M&A, la funzione di direttore generale della società di Private Equity del gruppo e il ruolo di consigliere di amministrazione di società industriali e finanziarie. È professore di Private Equity e Corporate Governance all’Università Cattolica di Milano ed è autore di numerose pubblicazioni specialistiche apparse sui maggiori quotidiani italiani. È consigliere di amministrazione della Fondazione Don Carlo Gnocchi.