L' Autobiografia di Paisij Velikovskij (1722-1794) ripercorre le vicende dei primi vent'anni di vita di un santo senza frontiere. Ucraino di nascita, monaco al Monte Athos, riformatore del monachesimo in Moldavia, Paisij lascia trasparire dagli eventi quotidiani tutto quell'humus religioso su cui è potuto germinare e svilupparsi il suo profondo ideale monastico. Come eredità più prestigiosa lascia la versione slavonica della Filocalia, vero capolavoro cui intere generazioni di credenti d'oriente e d'occidente - sulla scia del famoso "pellegrino russo" - saranno tanto affezionate.
Se ne va a capo scoperto. La morte, il vento, l'ingiuria: tutto riceve in faccia, senza mai rallentare il passo. Si direbbe che ciò che lo tormenta è nulla rispetto a ciò che egli spera. Che la morte è nulla più di un vento di sabbia. Che vivere è come il suo cammino: senza fine. L'uomo che cammina è quel folle che pensa che si possa assaporare una vita così abbondante da inghiottire perfino la morte.
In occasione dell’anno dedicato da papa Giovanni Paolo II a una maggiore conoscenza della presenza dell’azione dello Spirito santo nella vita cristiana ed ecclesiale, viene offerta una raccolta di preghiere allo Spirito santo a lungo vagliata, misurata e temprata in base alla fede della chiesa indivisa. Sono testi che godono di un’autorevolezza dovuta alla loro appartenenza alla Tradizione e che vogliono porre in mano ai cristiani un mezzo per rendere più presente lo Spirito nella vita ecclesiale e nella compagnia degli uomini (dall’“Introduzione” di Enzo Bianchi, priore di Bose).
Ogni mattino a testa vuota e lenta accolgo le parole sacre. Capirle per me non è afferrarle, ma essere raggiunto da loro, essere così quieto da farsi agitare da loro, così privo d' intenzione da ricevere la loro e così insipido da farsene salare. Così sono diventato ospite a casa delle parole della Scrittura sacra.
Nella solitudine e nel silenzio dell’eremo si acquista quell’occhio dal cui sereno sguardo è colpito lo Sposo e attraverso il quale, se senza macchia e puro, si vede Dio.
Verso la fine dell’ xi secolo, nei decenni in cui la riforma di Gregorio VII impegnava la cristianità occidentale in una duplice lotta per la libertà della chiesa dal potere temporale e per un vigoroso ritorno a una testimonianza di fede più evangelica, alcuni uomini di Dio si ritirarono assieme a uno stimato professore di Reims, Bruno di Colonia, nel massiccio roccioso della Chartreuse, vicino a Grenoble. Immersi nella solitudine e nel silenzio, ma sostenuti dalla vicinanza dei fratelli e dall’intensa carità, gli eremiti certosini sapranno irradiare attorno a sé la loro sete di Dio e il loro amore per gli uomini. Sono qui raccolte per la prima volta in italiano tutte le lettere – a monaci, vescovi, papi, re e semplici fedeli – delle prime generazioni di questi monaci, dal fondatore Bruno al nono priore, Guigo II: dalla franchezza e dall’umiltà di questi testi traspare la limpidezza della testimonianza cristiana e l’ardore di una comunione spirituale che sa rendere parlante anche il silenzio.
Ispirandosi al grande Basilio – vescovo di Cesarea in Cappadocia nel iv secolo e autore delle Regole, da noi già pubblicate – i redattori di questi scritti intesero proporre un ritorno allo spirito che aveva animato gli inizi della vita monastica: il riferimento costante all’unica regola di vita, l’evangelo. A loro volta fonte di ispirazione per il monachesimo occidentale, questi testi offrono una preziosa testimonianza della continua istanza di conversione che percorre ogni cammino cristiano autentico: sempre, nonostante le cadute e le infedeltà, occorre ricominciare con rinnovato vigore la sequela del Signore.