Pubblicato a Roma nel 1535, il "Democrates" di Sepulveda ha ispirato la rinascita dello stoicismo moderno. Testo polemico rivolto contro Erasmo e Machiavelli, il dialogo rispose alle inquietudini del tempo trattando del problema della guerra e della sua legittimità morale per i cristiani. Si poteva esercitare serenamente il mestiere delle armi tenendo conto dei precetti del Vangelo? Si poteva accordare l'etica antica e mondana della gloria con quella della pietà? Richiamandosi a Cicerone e ad Aristotele, Sepulveda respinse il pacifismo erasmiano, esaltò la potenza spagnola e replicò alle pagine corrosive di Machiavelli sul rapporto tra cristianesimo, decadenza politica e virtù militare. Il "Democrates", inoltre, costituì il primo momento in cui Sepulveda elaborò una dottrina della guerra umanitaria che servì come base per la legittimazione dell'imperialismo coloniale europeo.
"Che cos'è la giustizia?" è una di quelle domande alle quali l'uomo "si è consapevolmente rassegnato a non poter mai dare una risposta definitiva, ma solo a formulare meglio la domanda stessa". È a questo compito, e all'esplicitazione dei presupposti della propria filosofia della giustizia, che Hans Kelsen dedicò, nel 1952, la lezione di congedo dall'insegnamento che dà il titolo al presente volume. Questo testo, per molti versi "conclusivo", è preceduto da due lezioni inedite del 1949, qui riunite sotto il titolo complessivo "Elementi di teoria pura del diritto", nelle quali Kelsen s'interroga sull'essenza dei fenomeni giuridici, e sui problemi epistemologici propri della filosofia del diritto. Chiude il volume la lezione "Politica, etica, diritto e religione", del 1962, in cui si affronta il ruolo che le credenze religiose possono svolgere nel determinare l'effettività delle norme di un ordinamento sociale. Grazie anche alla loro natura di lezioni, gli scritti qui raccolti offrono una "summa" dell'opera filosofica del grande pensatore, che si confronta da un lato con l'analisi dei concetti giuridici fondamentali, dall'altro lato con il quadro metagiuridico (etico, politico e sociale) nel quale necessariamente si collocano gli ordinamenti normativi.
Il volume propone l'edizione di un testo fondamentale per la comprensione dell'ampio dibattito svoltosi in età moderna sulla questione della "guerra giusta". La statura intellettuale dell'autore e la sua ricchezza argomentativa, che richiama e vaglia scrupolosamente le "opiniones" di numerosi autori della tradizione medievale e del pensiero moderno, fanno della "Disputatio De Bello" un punto di riferimento teorico non solo per ricostruire il dibattito sul "bellum iustum" nel pieno svolgersi dell'aspro periodo di conflitti che gli storici chiamano "secolo di ferro", ma anche per vedere all'opera il nascente diritto internazionale dell'età moderna, di cui Suàrez è considerato uno dei fondatori. Tra '500 e '600, in effetti, la riflessione giusinternazionalista fu chiamata a una nuova, avvincente e definitiva sfida. Nuove domande mettevano alla prova i capisaldi della dottrina del "bellum iustum": si dà la possibilità di una guerra "giusta" per entrambe le parti? L'intervento bellico 'preventivo' per soccorrere gli "innocentes" (quella che oggi chiamiamo "guerra umanitaria") è una "guerra giusta"? Quali azioni sono lecite "in bello"? Suàrez affrontò tutte queste questioni e, come attestano le pagine qui pubblicate, vi rispose con scrupolo investigativo e dovizia argomentativa, facendo della disputatio sulla guerra un testo di riferimento per il dibattito dell'epoca e una fonte indefettibile per la storiografia odierna.
Non pochi concetti cardinali del pensiero europeo - fra cui quelli di vita, di uomo e di giustizia - discendono dalla tradizione biblica. Il riconoscimento di questo dato di fatto culturale da parte di Walter Benjamin è il cuore del presente libro, nel quale Sigrid Weigel indaga in modo esaustivo soprattutto le conseguenze che tale profonda convinzione ha avuto sulla formazione del pensiero benjaminiano e sul suo specifico declinarsi nei diversi piani della teologia, della letteratura e dell'estetica, fino alla cruciale dimensione teorica della traduzione. L'attenta ricostruzione di questo sfondo, condotta con puntualità filologica, non è però il solo obiettivo del libro di Sigrid Weigel. Il suo maggior contributo innovativo consiste, infatti, nella capacità di far emergere, da questa analisi, una configurazione concettuale destinata a incidere in modo decisivo su tutta l'opera di Benjamin, il cui nocciolo va individuato nella distinzione tra mondo della creazione e mondo della storia. Su queste premesse, il pensiero di Benjamin può essere coerentemente ripercorso e interpretato come pensiero "post-biblico", mosso da una consapevolezza non-confessionale della lingua biblica, dell'ordine sacro e dell'idea di redenzione.
L’idea di questo volume nasce dall’assiduo confronto tra alcuni amici che a lungo hanno discusso intorno a una domanda da cui tutti si sentivano interpellati: come la modernità si è misurata con la figura di Gesù? Si voleva arrivare almeno a sfiorare il segreto del fenomeno per cui, lungi dall’essere una figura usurata ed esaurita, Gesù ha dato e dà ancora ampiamente da ricercare agli storici, da pensare ai teologi e ai filosofi, da creare agli artisti. È da questa interrogazione che nascono i numerosi contributi raccolti in quest’ampio volume, dedicato all’analisi dei molti e diversi volti di Gesù che, nella modernità, hanno costellato la storia dell’interpretazione della sua personalità e del suo messaggio.
Con contributi di Isabella Adinolfi, Alfonso Berardinelli, Paolo Bettiolo, Stefano Bianchi, Pier Cesare Bori, Fabrizio Borin, Giorgio Brianese, Giuseppe Cantillo, Rolando Damiani, Giovanni Filoramo, Goffredo Fofi, Marco Fortunato, Giancarlo Gaeta, Roberto Garaventa, Giuseppe Goisis, Gaetano Lettieri, Gian Luigi Paltrinieri, Mauro Pesce, Luigi Ruggiu, Davide Spanio, Luigi Vero Tarca.
Isabella Adinolfi insegna Filosofia della storia e Storia del pensiero etico-religioso all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È autrice di nuerosi studi su Pascal e Kierkegaard ed è direttrice con Roberto Garaventa del periodico «NotaBene. Quaderni di studi kierkegaardiani». Tra le sue più recenti pubblicazioni: Le ragioni della virtù. Il carattere etico-religioso nella letteratura e nella filosofia (il melangolo, Genova 2008), Etty Hillesum. La fortezza inespugnabile (il melangolo, Genova 2011), Studi sull’interpretazione kierkegaardiana del cristianesimo (il melangolo, Genova 2012).
Giuseppe Goisis insegna Filosofia politica e Politica ed etica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È impegnato sul versante dei diritti umani, collaborando, fra l’altro, con la Società Europea di Cultura (SEC), con il Centro Studi Diritti dell’uomo (CESTUDIR) e con l’Ateneo Veneto. È autore di monografie riguardanti temi e figure del pensiero politico dell’Ottocento e Novecento, tra cui Sorel e i soreliani italiani (Helvetia, Venezia 1983), Mounier fra impegno e profezia (Gregoriana, Padova 1990), Il pensiero politico di Antonio Rosmini (Gabrielli, Verona 2010). Ha in preparazione una sintesi dei suoi studi su Bergson.
«L’archeologia della sensazione delineata in questo libro non soltanto getta una nuova luce su alcuni problemi fondamentali nella storia del pensiero occidentale, ma permette di porre con chiarezza un problema su cui filosofi e scienziati non potranno in futuro fare a meno di interrogarsi: qual è il senso col quale, al di qua o al di là della coscienza, sentiamo di esistere?». – Giorgio Agamben
Cosa vuol dire sentirsi vivi? A questa domanda Daniel Heller-Roazen risponde elaborando l’archeologia di un solo senso, quel «tatto interno mediante il quale percepiamo noi stessi». In venticinque concisi capitoli, che spaziano liberamente dalla cultura antica e medievale a quella moderna, l’autore analizza un insieme di fenomeni esemplari che hanno giocato un ruolo cruciale nella definizione – filosofica, letteraria, psicologica e medica – dell’esistenza animale. Con quest’opera, sensazione e sentimento di sé, sonno e veglia, estetica e anestesia, natura animale e natura umana, coscienza e incoscienza – acquistano un nuovo significato.
Indice: I. Murriana. – II. L’animale estetico. – III. La facoltà fondamentale. – IV. Il cerchio e il punto. – V. Sentio ergo sum. – VI. Sonno. – VII. Risveglio. – VIII. Compagnia. – IX. Historia animalium. – X. Appropriatezza. – XI. Elementi di etica. – XII. Il cane da caccia e la lepre. – XIII. Consapevolezza di vivere. – XIV. Il re senza nome. – XV. Psicologia della quattrocentoquarantanovesima notte. – XVI. La fontana e la fonte. – XVII. Percezione ovunque. – XVIII. Sui meriti dei proiettili. – XIX. Spine. – XX. A me stesso; ovvero, il danese. – XXI. Sulle creature volanti. – XXII. Cenestesi. – XXIII. Fantasmi. – XXVI. L’animale anestetico. – XXV. Intoccabile. – Note. – Bibliografia. – Indice analitico.
Agli inizi della modernità, la separazione della proprietà dal lavoro contrappone due modi di essere individuo: l’individuo proprietario che, come dice Locke, è anche «proprietario di sé» e la «classe non proprietaria», condannata al disprezzo attribuito a coloro che, poiché non hanno niente, non sono niente. L’abate Sieyès, principale ispiratore della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, vede ancora i lavoratori come «una folla immensa di strumenti bipedi, senza libertà, senza moralità, senza facoltà intellettuali, dotati solo di mani che guadagnano poco e di una mente gravata da mille preoccupazioni».
Questo volume si interroga sulla natura e sulle trasformazioni dei supporti necessari per esistere ed essere riconosciuti come individui, per accedere cioè alla proprietà di sé. In mancanza di proprietà privata, la proprietà sociale ha rappresentato un’innovazione decisiva che ha permesso la riabilitazione dei non-proprietari, assicurando sicurezza e riconoscimento a partire dal lavoro. Oggi il vacillare delle protezioni sociali fa emergere il profilo inedito di un individuo per difetto che, sganciato dalle regolazioni della società salariale che gli consentivano di essere se stesso attraverso la partecipazione a risorse comuni, sembra destinato a indossare la propria individualità come un peso.
Il volume contiene il testo del corso tenuto da Martin Heidegger presso l'università di Friburgo nel semestre estivo del 1920. Queste lezioni costituiscono un passaggio fondamentale per comprendere la formazione del suo pensiero, e gettano luce su molti temi che riappariranno in "Essere e tempo". In esse viene distesamente presentato cosa intenda l'autore per "distruzione fenomenologica", concepita come il metodo stesso della filosofia. Per Heidegger infatti si tratta sempre di ricondurre i concetti filosofici al loro processo di formazione, alla loro fonte, e dunque alla vita che in essi si esprime. Delineando questo percorso Heidegger si misura con l'intero clima filosofico dell'epoca, da Spengler a Simmel, per soffermarsi in particolare sul trascendentalismo di Natorp e sulla filosofia della vita di Dilthey. Dal confronto critico con questi due orientamenti emerge con chiarezza perché, nell'impostazione fenomenologica di Heidegger, la storicità debba da ultimo assumere un valore fondamentale