Fare propria la nostra eredità culturale, imparare a esprimersi, a osservare, a pensare; conoscere i diritti e i doveri di ogni cittadino; acquisire, cioè, gli strumenti per creare il proprio futuro: per quanti milioni di ragazzi non è stato possibile negli ultimi decenni? La scuola è stata sempre meno in grado di svolgere il suo ruolo. Investita dalla crisi dell'educazione e dell'autorità, è stata fuorviata da teorie pedagogiche che le chiedono di garantire agli allievi "il diritto al successo formativo", invece di richiamarli all'impegno necessario per raggiungerlo. Una scuola così non assicura le competenze di base per qualsiasi futuro lavorativo e per di più incide negativamente sul senso civico, la cui notoria debolezza in Italia è a sua volta diseducativa. Il libro illustra i tratti della "scuola indulgente" anche con esempi di prima mano e avanza numerose proposte per renderla più esigente nei confronti di tutti i suoi attori. Prefazione di Giovanni Belardelli.
Roma, da piccolo villaggio di pastori e di agricoltori, divenne un grande Impero grazie alla portata fortemente innovativa della sua civiltà; fin dalle sue origini mostrò una grande capacità di integrare a sé le popolazioni conquistate e lo straniero, concedendo loro la cittadinanza romana. In tal modo Roma assunse, per un'intera epoca, il primato di centro politico e culturale, tollerando e facendo convivere nei propri confini popoli di diverse lingue e religioni, usi e costumi. In questa chiave Roma può rappresentare ancor oggi un modello di riferimento per l'Italia e l'Europa, per aver saputo gestire la complessità di una globalizzazione ante litteram e averla trasformata in un punto di forza.
Svidercoschi, decano dei vaticanisti italiani, ci mostra Papa Bergoglio per com’è, per cosa fa e dice. Racconta senza veli un pontificato decisamente controcorrente, ma, anche per questo, controverso; un pontificato volutamente provocatorio, ma, anche per questo, divisivo. Vengono ripercorsi i momenti positivi, il rivoluzionare la figura pontificia, l’affrontare pubblicamente temi scomodi, il riportare alla purezza il messaggio evangelico; e poi, il difendere i poveri della terra, il sostenere le ragioni della pace. Ma – perché ci sono – vengono narrati con estrema franchezza anche i momenti non proprio esaltanti, come certe uscite fuori luogo, l’aprire processi che poi lasciano le riforme a metà, l’ostinazione nel cambiare leggi, tradizioni e pratiche senza consultarsi, senza gradualità, senza pensare alle conseguenze; e poi, la sua visione del mondo così apertamente squilibrata verso il Sud, il voler mantenere a ogni costo un’equidistanza (insostenibile nel caso dell’Ucraina) tra Kiev e Mosca. Sono vicende e situazioni che anche in altre pubblicazioni sono state raccontate, ma come? Com’è stato raccontato Francesco? E, prima ancora, com’è stata raccontata la storia di un Papa che rinuncia, si fa chiamare “emerito” e prende casa in Vaticano? In questo libro l’autore ripercorre il “pontificato rivoluzionario” con obiettività e semplicità, fornendo al lettore le chiavi per avere una propria opinione sulla base di fatti oggettivi.
Luigi Pirandello e Leonardo Sciascia insieme, uno di fronte all'altro. Infrangendo le barriere del tempo, in una dimensione sospesa fra sogno e memoria, protagonisti di un dialogo sincero, illuminante, chiarificatore. È quanto ha ideato Matteo Collura, biografo di entrambi, in questa "Conversazione (im)possibile", in cui si immagina Sciascia finalmente a colloquio con uno dei suoi autori preferiti, forse la più determinante delle sue bussole letterarie; Pirandello, di fronte a lui, sconosciuto personaggio misteriosamente impostosi all'attenzione del venerato Maestro. Ed è nel corso della conversazione, ora resa possibile dalla fantasia di Matteo Collura, che l'autore dei "Sei personaggi" (per ragioni anagrafiche totalmente all'oscuro di quanto scritto da Sciascia), battuta dopo battuta, uno svelamento dopo l'altro, impara a conoscere il suo inaspettato interlocutore e il senso della sua straordinaria opera letteraria.
Il totalitarismo nero e rosso sconfitto nel XX secolo è ricomparso nel XXI, se pure in altre forme. In Antitotalitari d'Italia Massimo Teodori si chiede come mai il termine "antitotalitario" sia stato bandito dal linguaggio storico e politico italiano mentre si parla molto di fascismo e antifascismo, elevati a concetti generali che pretendono di esaurire tutte le tendenze ideali. Con la pratica dello storico e la passione dell'intellettuale l'autore propone una memoria dei leader, dei gruppi e dei movimenti che nella Repubblica hanno animato la scena politica: liberali e socialisti, radicali e cristiani, conservatori e riformatori. Tra i precursori spiccano Croce, Salvemini e don Sturzo, tra i politici si incontrano De Gasperi, Einaudi, Sforza e Silone, quindi Saragat, Malagodi, Spinelli, Pannella e Craxi, e tra gli intellettuali Montale e Sciascia. Infine si ricordano Nicola Chiaromonte della Libertà della cultura e George Orwell di 1984, due tra le figure più significative dell'antitotalitarismo internazionale a cui durante la Guerra fredda furono rivolte le sprezzanti critiche di Togliatti.
Il libro presenta una breve storia teologica della nozione di "materia". Tra letteratura cristiana e pagana, è ripercorso un dibattito antico e medioevale attorno al rapporto tra creazione divina e materia prima («Hyle»). Aristotele per primo introdusse la nozione di hyle nel lessico filosofico occidentale. Da più di due millenni, il tema è stato recepito e al contempo adombrato nella tradizione filosofica e religiosa: un travagliato itinerario teoretico, dalla Patristica alla Scolastica, ci testimonia della reazione alla hyle attraverso l'invenzione di concetti e strategie filosofiche per domare il problema della materia (dalla metafisica delle forme alla dottrina della creatio ex nihilo, dalla teoria della materia come privatio alla critica dell'ilemorfismo, fino alla condanna degli aristotelici radicali). Ritornare alla hyle, ancora oggi, significa ripercorrere alcuni problemi fondamentali dell'ontologia, della teologia e della stessa scienza occidentale.
L'anno della Pandemia è stato per la Chiesa Italiana, un difficile banco di prova, alcune criticità latenti da anni, come lo scollamento con la società reale, la distanza tra fedeli e pastori, l'irrilevanza nel pensiero socio-politico, sono emerse con decisione e hanno rafforzato un senso di smarrimento che comunque veniva da lontano. È sembrato importante interpretare questo segno dei tempi, utilizzarlo come fosse uno stress test o, per usare un termine tradizionale, un esame di coscienza, un discernimento per ripartire poi con maggior vigore e consapevolezza. Una Chiesa che parla prevalentemente "ai suoi" e si fa portatrice solo di valori "suoi", che non sa fare sintesi delle tante iniziative sociali che nascono nel suo ambito, finisce per essere una Chiesa che parla senza contare e agisce senza parlare. Occorre tornare nel Mondo, riscoprire il destino comune che lega Chiesa e società, rioccupare quell'area di confine tra l'essere nel mondo e l'essere del mondo, nello spirito di aiutarsi tutti, di riscoprire e far riscoprire la reciprocità e l'interdipendenza, cercando di essere lucidi e generosi; tornando a far ardere i cuori più che a insegnare dottrine. Mettere un piede fuori dal suo recinto aiuterà la Chiesa a non cadere e permetterà alla società di riconoscerla e forse di imitarla in quella presa di coscienza per cui nessuno si salva da solo. È compito anche dei laici attivarsi per un'emancipazione della coscienza fraterna che dia coraggio e un maggiore senso di responsabilità nel dare, nel ricevere e nell'illuminarsi vicendevolmente. In questo difficile momento di ricostruzione civile, aiutarsi tutti non è allora sinonimo di aiutare tutti, ma è l'impegno per una ricostruzione basata sull'aiuto vicendevole.
Il "giallo" della rinuncia di Joseph Ratzinger al Soglio di Pietro si comprende solo addentrandosi nel mistero "Joseph Ratzinger". Un pontificato inedito il suo, da raccontare riannodando pensiero e azione di un gigante della teologia divenuto Papa. Un uomo dalla fede granitica che ha spogliato il papato di ogni mondanità rendendolo servizio alla Verità a ogni costo. Il vaticanista di lungo corso Giacomo Galeazzi, autore di bestseller internazionali sul Vaticano e gli ultimi tre papi, analizza, anche grazie a preziose testimonianze, l'originalità del percorso, dell'«umile operaio nella vigna del Signore» tra accademia, Concilio e Chiesa tedesca fino alla clamorosa abdicazione. Nel congedarsi dieci anni fa tenne a precisare che nella sua elezione a Papa c'era stato qualcosa che sarebbe rimasto "per sempre". Fino alla fine ha indossato l'abito bianco, ha firmato come «Benedictus XVI Papa emeritus», ha abitato nel recinto di San Pietro e si è fatto chiamare "Santità" e "Santo Padre". Solo la sua profetica morte, avvenuta nel giorno che la Chiesa da sempre consacra al ringraziamento per i benefici ricevuti nell'anno trascorso, ha sciolto l'ambiguità, terminando l'epoca inedita dei due papi che condividono fraternamente lo stesso spazio fisico (il Vaticano) e la medesima dedizione al bene supremo della Chiesa. Prefazione di Andrea Malaguti. Postfazione di Michele Pennisi.
Editoriale I colori del buio di Giulia di Dorella Cianci Lettere da una scuola del nostro tempo Il Sogno di un'altra scuola. In dialogo con Eraldo Affinati di Dorella Cianci A Scuola con Filosofia Pensare con i bambini. La filosofia come sapere civile di Carlo Altini e Giovanni Cerro Quando pensare è come danzare con la mente. Buone pratiche del "quartiere dell'esilio" di Eugenio Fortunato Percorsi sperimentali di filosofia negli istituti tecnici e professionali "La ricerca della felicità" - Gli studenti del Dorso di Avellino e il dibattito filosofico di Mirella Napodano Oggi ho proprio voglia di parlare - Portare la filosofia nelle classi di un istituto tecnico di Sara Gomel Due anni di filosofia all'Istituto tecnico economico "Calabretta" di Soverato di Massimo Iiritano Forum La filosofia e i suoi luoghi im-possibili. A margine della Scuola nazionale di formazione 2020 Il luogo della filosofia di Andrea Tagliapietra Quali luoghi per la filosofia? di Mirella Napodano C'è un luogo della filosofia? di Giuseppe Limone Massimo Cacciari: «La mia Napoli» FilosofArte Giulio De Mitri e l'Isola della Fantasia a cura di Lara Caccia In ricerca Nel niente c'è una via. Dal non-senso alla meraviglia di Linda Altomonte e Luca Zanetti Montessori: il conoscere è fare - formare alla bellezza di Clementina Gily Filosofia Civile Dalla polis alla politica: quando i giovani parlano e gli adulti ascoltano Interventi di Raimonda Bruno e Alessandra Chiarello Infanzia e filosofia, oggi. Diritti celebrati, diritti negati Recensioni Corso di filosofia in tre secondi e un decimo Iride è caduta nel pozzo
Chi sono io? O che cosa sono io? Una volta lo si sarebbe chiesto a un filosofo, poi a un neuroscienziato, oggi lo possiamo chiedere a una intelligenza artificiale, un IA, anzi una ia (in minuscolo). Ma la ia saprà che cosa è un io? La ia sarà un io? E l'io, poi, sarà qualcosa che si è o che si ha? Persi in questo labirinto di domande, un neuroscienziato e un filosofo della mente si confrontano con l'intelligenza artificiale in un dialogo a due (o a tre?) e si interrogano sulla natura di noi stessi e dei nostri alter ego artificiali. In un momento in cui le intelligenze generative (ChatGPT, Dall-E, OpenAI) sembrano diventare capaci di creare contenuti paragonabili a quelli degli essere umani, ci sentiamo smarriti. Siamo diventati obsoleti? Il cervello sarà in grado di competere con i computer dotati di nuovi algoritmi? C'è qualcosa che le macchine non hanno? E se ci fossimo trasformati in macchine a nostra volta? In fondo anche il cervello non contiene niente che la fisica non possa spiegare.
L'autore, dopo aver definito la nozione di carattere nazionale, ripercorre le varie interpretazioni - spesso non prive di pregiudizi e stereotipi - che sono state enucleate sulla forma mentis dell'italiano medio, soprattutto dagli innumerevoli cultori del Grand Tour nella Penisola. Con approccio scevro da valutazioni morali, prova poi a delineare una propria congettura, una ipotesi di spiegazione dell'"essere italiano". Secondo questa ipotesi, è connaturata nel modus agendi italico - come precipitato e frutto di secoli di storia - una spiccata e prevalente predisposizione per il momento esterno, esteriore, estetico, epiteliale dell'agire, a discapito dell'interiorità, della profondità e dell'introspezione riflessiva che conducono inevitabilmente all'inquietudine del vivere. Nell'italiano, il profilo superficiale, ciò che si vede ed è visto dagli altri, è comunque predominante rispetto alla modalità più incentrata sul fare e sul reale. Il sembrare fa premio sull'essere. L'autore poi esamina come tale paradigma comportamentale si riverberi in 5 fondamentali "settori" dell'esistenza: la famiglia, la strada, la religione, politica, la guerra.