Serie terza - Anno cinquantaduesimo - settembre / ottobre 2018
Hanno scritto in questo numero:
M.C. Bartolomei / L. Battaglia / V. Bellavite / P. Boschini / A. Bosi / F. Castelli
M. Crimella / C. Danani / De La Mora / U.G.G. Derungs / G. Gasparini
F. Geremia / L. Infanti / G.M. Lambertini / P. Lattanzi / P. Marin / L. Nason
G. Nicolini / E. Pace / P. Pistis / S. Platone / F. Valletti / E. Zaramella
Se è la prudenza ad agire, chi più di lei è artefice di quanto esiste? (Sapienza 8,6)
Imparate, inesperti, la prudenza e voi stolti, fatevi assennati. (Proverbi 8,5)
Io, la sapienza, abito con la prudenza e possiedo scienza e riflessione. Mia è l'intelligenza, mia è la potenza. (Proverbi 8, 12-14)
Il quaderno si propone di indagare la polivalenza di un gesto quotidianamente compiuto in maniera irriflessa, mediante contributi che ne mettano in luce senso e determinazioni. Rispetto al vedere vi è, o si suppone ci sia, un coinvolgimento più profondo tra soggetti che “si toccano”, e ciò vale per entrambi gli estremi, dalla carezza delicata al contatto violento. In generale ad essere in gioco è il tema della distanza e del confine nella relazione con l’altro, di cui il toccare è espressione emblematica, nella necessaria distinzione tra un toccare che “cosifica” l’altro in una relazione di potere e subordinazione, e un toccare che stabilisce una relazione nel rispetto della “giusta distanza”, mai definita o definibile a priori, ma diveniente nello strutturarsi stesso della relazione personale.
Il quaderno si propone di sviluppare il rapporto tra le dimensioni del mangiare e del pensare. Si vive alimentando anima e corpo; e una molteplicità di metafore e modi di dire indica come le due dimensioni siano tra loro collegate (ad esempio, fame di conoscenza o di informazioni, sete di sapere, divorare un libro, fare indigestione di dati, avere la nausea di leggere o di scrivere, non essere mai sazi di racconti, masticare una lingua straniera, digerire-assimilare-metabolizzare alcuni concetti, bersi una storia, paragoni gustosi, parole dolci o amare, risposte acide, riflessioni insipide, storielle appetitose o particolari piccanti). Dall’agri-coltura al campo della cultura si tratta di preparare le condizioni, seminare, far crescere e raccogliere i prodotti di cui vive l’uomo. I frutti del lavoro e del pensiero devono essere ulteriormente elaborati per essere poi offerti in pasto ai lettori. Cucinare è come scrivere e mangiare è come leggere. La cucina e il pensiero raffinato, corretto, seguono delle ricette, perché ogni passaggio deve essere compiuto in un modo preciso e non ogni accostamento è opportuno. Gli abbinamenti tra cibi sono come nessi sintattici e grammaticali. Mentre l’animale si alimenta, l’uomo mangia e pensa il cibo che mangia. La preparazione del cibo è espressione di chi cucina, è come un discorso. E il pasto è qualcosa di più della somma delle portate. È un’arte.
Oggi l'identità è un problema; Giorgio Gaber l'avrebbe messa fra le cose di destra, come il bagno nella vasca, o di sinistra, come la doccia? Certo può essere un momento di carica emotiva violenta, in reazione alla perdita di certezze, che è dissoluzione delle strutture culturali. Ma non esiste una cultura "chiusa"; storicamente ogni cultura si incontra con altre; in più viviamo in una società aperta, fatta di vari gruppi, ciascuno dei quali produce identità, senza bisogno di radicalizzazioni. I movimenti "autoctoni" fanno dell'identità una bandiera da usare dalla parte del manico. A di là di battute nostrane, parlare di identità significa mettere in discussione molti paradossi del nostro tempo, dal
versante individuale della coscienza, alla rimozione di quello sociale della cultura, attraverso una vera e propria "apocalissi culturale". Così il termine di identità è diventato un "tabù" perché evoca distruzione e violenza; noi facciamo finta di non sapere "chi siamo" e ignoriamo "da dove veniamo", mentre qualcuno profetizza "dove andiamo", alla ricerca di una improbabile, totale palingenesi. Papà Freud avrebbe trovato abbondante materia di studio. Il problema resta la "domanda di senso" fondamentale sull'uomo e il suo destino; è questo il discrimine dell'identità, attraverso cui ciascuno entra in una "visione del mondo", che fonda un "sistema di valori", dove il campo dell'identità si apre e, con esso, l'istanza morale. Ovviamente non si tratta di una questione individuale e ciò rappresenta un altro momento di crisi per la modernità. L'identità personale continua ad avere senso solo all'interno di una comunità che dà senso, riconoscendo il singolo e mettendo in gioco la sua capacità e responsabilità. Il fenomeno oggi va sotto il nome di "intercultura": ogni cultura è già in sé "interculturale", sempre aperta al confronto con la realtà storica che la circonda e all'ibridazione con altre letture del mondo.
Oggi si viaggia molto, annullando però l'esperienza della "strada" nella velocità. Anche perciò ci è parso utile riflettere su tale dimensione, che si allaccia a quella della "via". Percorrere una via implica una strada, un sentiero, una pista, una traccia da seguire, sulle rocce o sul mare o nel bosco o in un deserto o nella neve. A sua volta, l'aprire una via crea una forma di strada. Né la strada è un provvisorio passaggio da una casa o località all'altra, per ritrovare la "stanzialità", che sarebbe la "norma". È invece condizione di possibilità del vivere umano. Il mondo è umanizzato non meno dalle strade che dalle case: infatti le guerre distruggono prima di tutto le strade e i ponti. Guai se non "abitassimo" anche le strade, e se non vivessimo anche le case come tende mobili e crocicchi di incontro. La strada ha suggerito molte metafore (farsi strada, trovare la propria strada, essere su una cattiva strada, ecc.) ed è all'origine del termine "metodo". Non basta essere arrivati a un certo punto. Va precisato il metodo, la strada seguita, così che anche altri ci possano poi arrivare, e noi stessi ci possiamo arrivare di nuovo. Strada dice un aspetto essenziale della nostra ragione e della organizzazione ragionevole dell'esperienza. "Via" ci rinvia all'etica, quando si parli di "retta via". Se il moralismo impone rigide prescrizioni, il rigore morale chiede di seguire con rettitudine la via individuata in coscienza come giusta, anche se non rettilinea: vie tortuose, anche interrotte (gli Holzwege, di cui parla Heidegger), possono condurre a scoprire nel bosco radure, a raggiungere luoghi inesplorati dell'esperienza umana. Ci auguriamo che il presente quaderno, nella varietà degli aspetti considerati, possa offrire ai lettori luci sui loro personali percorsi.
La proposta del tema è basata su di una analisi compiuta in redazione sotto l'ottica particolare dello spirituale, pensando cioè all'evangelica parabola del "lievito", di cui è parso alla redazione che la nostra storia, sia civile quanto ecclesiale, abbia sempre più urgente bisogno, proprio per acquisire una nuova capacità di superare o di rompere la morsa negativa che sembra serrare al collo l'attualità. L'attenzione si è rivolta ad azioni, poste in essere con la pretesa curativa da autorità istituzionali, come comandi, imposizioni, atti di forza pur di diversa legittimazione. Con uno sguardo di altro respiro e ispirazione, e nell'intento consueto di offrire soprattutto elementi per rilanciare la comprensione e l'attualizzazione di talune parole esprimenti una significativa modalità di farsi coscienti interpreti della costitutiva realtà interiore umana, la riflessione si è sviluppata intorno a due pericopi evangeliche daMatteo. La prima positiva, forse la più nota e già citata, del "lievito buono", messo dalla donna nella pasta, e la seconda negativa, riferita polemicamente al "lievito dei farisei e dei sadducei", da cui Gesù dice di guardarsi. La prospettiva con cui si è pensato di articolare il quaderno non riguarda perciò solo l'ambito religioso-ecclesiale istituzionale, anche se da questo parte, ma la qualità del vivere e delle relazioni, l'ambiente culturale in genere, e cioè civile, sociale, economico, politico.