L'uso commemorativo e celebrativo delle iscrizioni in lingua italiana si è imposto nel corso dell'Ottocento sulla tradizione umanistica delle epigrafi latine. Il secolo borghese ha coltivato l'impiego sociale dell'epigrafia attraverso le lapidi sepolcrali e da un certo momento in poi ne ha indirizzato l'utilizzo in senso politico e patriottico con le scritture esposte nelle città. Che questo modello, proveniente dalla Francia rivoluzionaria e napoleonica, abbia contribuito nel tempo dell'Italia unita alla travagliata costruzione dell'identità nazionale è facile da documentare. Ma prima ancora, negli anni della lotta per la definizione stessa della patria, la dettatura, la raccolta e la pubblicazione di interi volumi di epigrafi italiane, da parte di autori noti e meno noti della nostra letteratura, hanno alimentato e sostenuto il processo risorgimentale in una misura che merita considerazione.
Il volume "Guido da Verona e il suo archivio. Interpretazioni e riletture" raccoglie gli atti del convegno organizzato nel 2009 dal Centro Apice all'Università degli Studi di Milano, in occasione della donazione allo stesso Centro dell'archivio dello scrittore. Quello milanese è stato il primo convegno dedicato a Guido da Verona (1881-1939), un autore "commerciale" e trasgressivo che, con tirature record, ha saputo intercettare e soddisfare il gusto dei suoi contemporanei, ma che non è riuscito a ottenere quella malleveria critica che consente l'accesso al pantheon letterario. Delle preziose testimonianze d'archivio si sono valsi tutti gli studiosi che hanno contribuito al volume, apportandovi le proprie competenze e i loro specifici interessi di ricerca. La figura e l'opera di Guido da Verona vengono così inquadrate dai punti di vista storico-letterario (intervento di Enrico Tiozzo), archivistico (Raffaella Gobbo), editoriale (Ada Gigli Marchetti), nei suoi rapporti con il cinema (Raffaele De Berti), letterario (Paolo Giovannetti, Bruno Pischedda, Mauro Novelli), linguistico (Giuseppe Sergio, Silvia Morgana).
Le metafore urbane e i luoghi della città in Platone analizzati con almeno due novità esegetiche. La prima riguarda la metaforica della polis, tanto nel senso di luogo del conflitto politico quanto in quello di spazio urbano. La seconda riguarda l'analisi dell'urbanistica delle Leggi, l'"inizio forte e totale del pensiero utopico".
La complessità e l'affascinante ambiguità del Vico di Juan Donoso Cortés, indiscusso protagonista del pensiero e della cultura spagnola della prima metà dell'Ottocento, hanno costituito i presupposti fondamentali per uno studio tanto traduttologico quanto storico-politico, nonché culturale, del saggio "Filosofia della storia. Giambattista Vico", ed è in questa direzione che si è inteso realizzare il lavoro proposto, al fine di offrire, partendo proprio dalla traduzione del testo, un'accurata analisi del Marchese di Valdegamas e di come egli abbia sollecitato la cultura spagnola sua contemporanea ad una maggiore attenzione verso il filosofo napoletano e i suoi studi sulla filosofia della storia, studi che consentiranno di definire l'importante funzione assolta dalla filosofia quale unica scienza capace di intendere la natura ultima delle cose.
Il volume, progettato dallo storico romano Luigi Fiorani (1938-2009), nasce dallo studio della documentazione di quegli anni, ma soprattutto dall'osservazione diretta delle strade di Roma, ancora piene di richiami all'umanità sofferente degli anni Trenta e di riferimenti al conforto che le donne e gli uomini di quel periodo cercarono nella Chiesa nonostante la non rara complicità di quest'ultima col potere ufficiale.