La questione di Dio, apparentemente non centrale nelle analisi di Edmund Husserl, si mostra, in realtà, come l'immancabile punto d'arrivo di numerose sue indagini sul "senso" dell'umano, sui legami intersoggettivi resi possibili dall'entropatia, sui conseguenti vincoli comunitari di carattere etico e sulle produzioni culturali, dalla filosofia alle scienze e alla teologia. In un serrato colloquio con i filosofi dell'Età Moderna, Cartesio e Leibniz, ma anche, alla lontana, con quelli del Medioevo, Agostino e Tommaso, la ricerca sul divino assume un'importanza sempre più palese soprattutto nei manoscritti del fenomenologo. La curatrice segue qui lo svolgimento di questo argomento, traducendo e commentando alcuni testi husserliani relativi al Dio dei filosofi, al Dio dei teologi e al Dio della fede, che culminano con una profonda meditazione sulla preghiera.
Nel 1941 Karl Löwith è costretto a lasciare il Giappone per gli Stati Uniti dove arriva anche grazie all'aiuto del teologo e filosofo politico Reinhold Niebuhr, uno dei maggiori protagonisti del panorama intellettuale americano del '900. È proprio in quegli anni, a contatto con la cultura e il cristianesimo americani che Löwith pubblica Significato e fine della storia. Il volume, edito nel 1949 in inglese con il titolo Meaning in History, uscì contemporaneamente ad un'opera di contenuto analogo di Niebuhr, Faith and History. Il tema di ambedue è il senso della storia e il significato della secolarizzazione moderna. Entrambi riflettevano sul rilievo o meno del cristianesimo nel mondo post-bellico. Due culture, quella americana e quella tedesca, si misuravano e gli autori, che si conoscevano personalmente, recensirono l'opera l'uno dell'altro. Il volume ricostruisce il dibattito tra di loro, interessante per contestualizzare anche il periodo "americano" di Löwith e pubblica, nell'appendice, il breve epistolario e i testi che segnano il loro confronto.
Il volume si apre con un'agile indagine sulla vita di Thomas More e di altri umanisti come Erasmo da Rotterdam, Lutero e Pico della Mirandola. Lo studio sull'Utopia evidenzia poi gli aspetti sociali, politici e religiosi del tempo tra l'Umanesimo e il Rinascimento. In particolare il diritto penale, che echeggia, tre secoli prima, le conquiste sociali di Beccaria e Verri; poi la monarchia parlamentare contro l'assolutismo regio, le guerre (soltanto di difesa), la colonizzazione, i beni in comune, il lavoro per tutti comprese le donne, la solidarietà con le altre nazioni, il matrimonio, il divorzio, l'eugenetica, l'eutanasia, l'educazione continua e controllata dallo Stato, la sicurezza senile, gli ospedali, il pluralismo religioso, l'ecologia, tutte cose attuali per la nostra civiltà.
“Per quanto pubblicato più di sessant’anni fa (ma pensato ed elaborato già da diversi decenni) “Il diritto internazionale e il problema della pace” non ha perso nulla in completezza di informazione, immediatezza e freschezza espositiva e lucidità di argomentazione. Quando venne per la prima volta dato alle stampe, questo libro apparve a molti come testo agile sì, gradevole certamente, ma essenzialmente destinato alla scuola e meritevole quindi di essere letto e meditato soltanto da studenti di giurisprudenza. Mai giudizio fu più grossolano di questo. I lettori più attenti, infatti, non esitarono a ritenerlo e ben a ragione un piccolo capolavoro: una di quelle opere che si possono anche scrivere in pochi giorni, ma che richiedono anni di letture e di studio per essere pensate e successivamente redatte” (dalla Prefazione di Francesco D’Agostino).
Se il pensiero di Cornelio Fabro gode di ampia notorietà per i fondamentali contributi sul problema dell'essere e della conoscenza, sulla libertà e sull'ateismo, nonché per gli studi su Tommaso e su Kierkegaard, non altrettanto si può dire per i temi giuridico-politici. Nondimeno sotto questo versante la ricerca vede emergere una messe di testi di notevole interesse. Vi si palesa un itinerario sensibile alla proiezione civile della filosofia ed attento alle questioni di più viva attualità, dove si prolunga la consapevolezza dell'indagine filosofica come questione del fondamento e del compimento. Questo libro, mediante un'analisi che attraversa l'intero arco degli scritti fabriani, ne pone a tema organicamente gli sviluppi filosofici in campo giuridico-politico. Vi emerge un impegno teoretico autenticamente libero, tale da offrire sollecitazioni intellettuali senza confini. Come questione della razionalità della responsabilità e della responsabilità della razionalità.
Il cattolicesimo liberale e il liberalismo di cultura laica si sono variamente intrecciati nella storia dell'Italia contemporanea, sperimentando il dissenso teoretico ma anche una profonda comunanza di valori morali. Il volume ripercorre la complessità di questa relazione, intellettuale e religiosa oltreché politica, attraverso la lunga amicizia fra Stefano Jacini e Benedetto Croce, che ne costituisce uno dei momenti più intensi e significativi nella prima metà del Novecento. Esponente del Partito Popolare e della Democrazia Cristiana, Jacini si impegnò ad approfondire culturalmente il rapporto fra cattolicesimo e libertà dall'esperienza modernistica del "Rinnovamento" agli studi sulla politica ecclesiastica del Risorgimento, nati dal confronto con la grande storiografia crociana durante il fascismo. Fu proprio la "religione della liberta", teorizzata da Croce in chiave laica e immanentistica, il riferimento dialettico al quale Jacini contrappose il cattolicesimo liberale ottocentesco come antecedente e fondamento di quello antifascista.
"Qui risplendono a luce piena il senso, la forza e la vocazione e, per così dire, la virtù di quella che abbiamo chiamato la bimba Speranza. È la fonte di vita, perché è lei che costantemente disabitua. È il germe. Di ogni nascita spirituale. È la fonte e la sorgente di grazia, perché è lei che costantemente toglie di dosso il rivestimento mortale dell'abitudine. Non per niente è Teologale. Perché è la principessa bambina delle Teologali. [...] Non per niente cammina in mezzo alle sue due sorelle maggiori, e loro le danno la mano. Ma non le danno la mano nel senso che si potrebbe pensare. Dal momento che è piccola, si potrebbe pensare che abbia bisogno delle altre. Per camminare. Invece, sono le altre che hanno bisogno di lei. E che sono ben felici di darle la mano. Per camminare. Perché senza di lei la Fede si sarebbe abituata al mondo, e senza di lei la Carità si sarebbe abituata al povero. E così senza di lei la Fede e senza di lei la Carità, ciascuna a suo modo, si sarebbero abituate anche a Dio." (Ch. Péguy)
Il mondo dell'esperienza è tutto ciò che esiste oppure al di là di esso c'è un'altra realtà? In termini più puntuali: il mondo dell'esperienza ha in sé la propria ragion d'essere oppure no? Ecco un problema - al tempo stesso semplicissimo nella sua enunciazione e di sommo rilievo sotto il profilo esistenziale - di fronte al quale la scienza sperimentale è per sua natura impotente e che quindi potrà essere affrontato ed eventualmente risolto soltanto dalla filosofia: la quale, sia che propenda per il primo o per il secondo corno del dilemma, si configura in ogni caso come un trascendimento razionale dell'esperienza nel suo insieme e quindi come una metafisica. La domanda metafisica è insomma quella che concerne l'Assoluto: ci si chiede se esso coincida o no con la totalità dell'esperienza. Il coincidere delle due dimensioni corrisponde al significato assunto nel lessico filosofico della modernità dal termine immanenza; il divaricarsi delle medesime si identifica con quella che, sempre modernamente, è stata chiamata trascendenza. Naturalmente per la sua pars construens l'autore non muove un solo passo senza giovarsi di un dialogo continuo con i massimi interpreti, classici e contemporanei, della trascendenza metafisica da lui difesa.
"Ho visto il male e ho cercato di trovarne le cause". Così scrive Rousseau a Charles Bordes riferendosi al suo Discorso sulle scienze e sulle arti. In questa ricerca, che prende le distanze dal dogma cristiano così come da tutti gli altri precedenti tentativi di risolvere il problema, Rousseau ha impegnato l'intera sua riflessione e si può dire, senza esagerare, che intorno a essa si dispone, come un filo rosso, tutta la biografia intellettuale del ginevrino. Non solo la filosofia ne viene coinvolta, ma l'esistenza stessa di Jean-Jacques, e stanno a dimostrarlo gli scritti autobiografici, dalle Confessioni ai Dialoghi alle Fantasticherie del camminatore solitario.
Questo libro cerca di seguire, nell'intero arco della produzione di Rousseau, il dipanarsi di un tema sul quale nel Settecenti si è intessuto un fitto e articolato confronto, che ha trovato un importante punto di condensazione in occasione del terremoto di Lisbona, tragicamente abbattutosi sulla città il giorni di Ognissanti del 1755. Da tale confronto provengono interrogativi che ancora provocano e stimolano non solo la filosofia, ma chiunque abbia interesse a chiarificare il senso ultimo della sua esistenza.
Considerato a ragione uno dei filosofi più rilevanti del Novecento, Franz Rosenzweig ha assunto un rilievo fondamentale nel pensiero ebraico, contribuendo a ridisegnare la fisionomia identitaria del popolo ebraico, dopo l'orrore di Auschwitz.
Le sue riflessioni infatti risultano anche determinanti per la riflessione sul senso della storia a cui è stata consegnata una promessa eterna, sul significato dell'alterità come sfida dialogica e interreligiosa, sulla dimensione della formazione delle nuove generazioni, quale necessario supporto all'umanesimo europeo. Inoltre tali elementi, lungi dall'essere situati soltanto all'interno dell'ebraismo contemporaneo, sono in grado di offrire notevoli provocazioni alla filosofia occidentale, estenuata da logiche cognitive, svuotar da riferimenti valoriali e gettata su derive nichiliste
Il filo comune che lega i saggi raccolti nel presente volume può essere colto in quel passo della Metafisica di Aristotele in cui si discute il significato del termine «identità (tautótes)»: «è evidente che l’identità è una certa unità o dell’essere di più cose o dell’essere di una sola, presa, però, come se fosse una pluralità. Quando si dice, ad esempio, che una cosa è identica a se stessa, essa è presa come se fosse due» (V, 9, 1018 a 7 – 9). Tesi che troviamo ribadita anche nel Commento alla Metafisica di Aristotele di s. Tommaso, dove appunto leggiamo che «tutti i significati (modi) per cui alcune cose si chiamano uno per sé si riconducono a due» (n. 911). È così che, in Agostino, il dubbio, nella sua funzione riflessiva, è visto procedere in modo inquisitivo: nella forma di quell’alternativa contraddittoria da cui la verità emerge come potenza affermativa. E, non diversamente, è intesa la ricerca della verità, tanto in Cartesio (come l’affermazione di ciò che è assolutamente indubitabile, la cui negazione non può essere altro che falsa), quanto in Vico (come metodo che procura l’identificazione di un fatto proprio nella misura in cui esso è inquisito). In Croce, infine, la concezione dell’errore è situata sullo sfondo della tesi idealistica per cui il farsi della realtà, in quanto processo spirituale, è quell’unità strutturale al cui interno si aprono distinzioni e opposizioni.
Giuseppe D’Acunto, dopo aver insegnato a contratto presso la Facoltà di Filosofia dell’Università «La Sapienza» di Roma, è attualmente docente di Filosofia del linguaggio presso la Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Pontificio «Regina Apostolorum» di Roma. Ha pubblicato i seguenti volumi: La parola nuova. Momenti della riflessione filosofica sulla parola nel Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; La prosa del senso. La dinamica della significazione in Merleau-Ponty, IF Press, Roma 2006; L’etica della parola. La riflessione sul linguaggio di Paul Ricoeur, ETS, Pisa 2009; Il problema del testo fra linguistica ed ermeneutica, Lithos, Roma 2009; L’istanza del soggetto parlante. Il problema linguistico dell’enunciazione, Lithos, Roma 2010; Tomismo esistenziale: Fabro, Gilson, Maritain, IF Press, Roma 2011. Di recente, ha curato: L. Scaravelli, Scritti su Cartesio, Franco Angeli, Milano 2007; E. Hoffmann, Antitesi e partecipazione in Platone, Studium, Roma 2010.
La fenomenologia, teorizzata da Husserl alla fine dell ºOttocento, rappresenta una corrente fondamentale nella filosofia contemporanea. Nel corso dei decenni si √® progressivamente diffusa in tutti i continenti, influenzando discipline non filosofiche: dapprima la psicologia e la psichiatria, per poi coinvolgere il teatro, la letteratura, l ºarchitettura, la medicina, le scienze infermieristiche, la psicologia sociale, l ºecologia.
Il volume propone un ºintroduzione alla fenomenologia intesa come analisi riflessiva. Essa viene affrontata non in senso storico, attraverso la presentazione di temi o autori appartenenti a questo filone teoretico, ma come metodo applicabile a qualsiasi ambito di esperienza, sia diretta che indiretta. L ºautore distingue due stili filosofici: l ºargomentazione, prevalente nella filosofia analitica contemporanea, e l ºanalisi riflessiva che, a suo giudizio, √® propria della fenomenologia. Scopo di questo lavoro √® familiarizzare con il metodo fenomenologico e quindi migliorare le proprie abilit√† riflessive e teoretiche.
Il testo, gi√† tradotto in diverse lingue e qui presentato per la prima volta in traduzione italiana, ha un intento pedagogico ‚Äì ogni capitolo si conclude con degli esercizi ‚Äì ma non √® orientato limitatamente ad un pubblico di studenti, bens√¨ a chiunque voglia imparare ad analizzare e a riflettere. La prima met√† del lavoro presenta gli strumenti del metodo fenomenologico mentre i capitoli finali si concentrano su alcuni ambiti particolari dell ºesperienza quali il credere, il valutare ed il volere.
Lester Embree √® William F. Dietrich Eminent Scholar in Philosophy presso la Florida Atlantic University. Ha studiato presso la New School for Social Research con Dorion Cairns e Aron Gurwitsch, discepoli di Edmund Husserl. Ha insegnato presso la Northern Illinois University (1969-1974) e la Duquesne University (1974-1990). Autore di oltre 200 pubblicazioni, ha diretto per vent ºanni il Center for Advanced Research in Phenomenology e curato la Encyclopedia of Phenomenology (Kluwer 1997). √à fondatore della Organization of Phenomenological Organizations (OPO), che raccoglie 160 organizzazioni filosofiche di ispirazione fenomenologica.