Opera di Nikodim P. Kondakov, "L'iconografia della Madre di Dio" è un vero e proprio documento della storia del pensiero russo pre-rivoluzionario sull'arte sacra. Con una prospettiva positivista, e con un'ampiezza di orizzonti impressionante, Kondakov ci racconta la storia del culto mariano e delle sue testimonianze figurative tra Oriente e Occidente nel primo millennio della storia cristiana. Tra le righe del testo possiamo però leggere la storia dell'impero degli Zar che - inconsapevole di quanto lo avrebbe atteso solo pochi anni più tardi - cerca e definisce la propria identità culturale e la propria missione storica. La presente edizione vuole pertanto presentare al lettore contemporaneo il pensiero del grande Kondakov, dandogli nel contempo gli strumenti per comprendere la cultura che lo ha fatto nascere.
Il volume è il primo di una trilogia sull'Italia repubblicana dal 1946 a oggi, che ha l'obiettivo di riflettere su alcuni dei principali nodi della sua storia. Gli approcci interdisciplinari e lo stile narrativo di scrittura sono pensati anche per i cittadini che abbiano interesse verso la storia, il presente e il futuro della democrazia italiana. Questo primo volume abbraccia i cruciali vent'anni d'avvio dell'esperienza storica della Repubblica, dal 1946 al 1966. Si indagano i nodi della transizione, i passaggi istituzionali, gli scenari internazionali, le relazioni di genere, le rivoluzioni nei costumi e nei consumi e il ruolo della musica nella dimensione di massa. Furono tutti elementi originari capaci di caratterizzare, indirizzare e anche condizionare l'intero percorso repubblicano.
Nonostante la sua importanza, la categoria di "delegittimazione" non ha ancora ricevuto una specifica attenzione da parte della storiografia internazionale, per quanto venga sempre più spesso utilizzata dal linguaggio politico, giornalistico e talvolta anche in ambito scientifico. Ritenuta parte di processi più generali o sottomessa ad altri fenomeni, quali le crisi politiche o le transizioni di regime, la delegittimazione non ha ancora trovato uno spazio autonomo nelle ricerche degli storici. Da un punto di vista interpretativo, il nucleo concettuale del problema rimane quello affrontato da Carl Schmitt nei suoi saggi degli anni Venti. Ma Schmitt scriveva e teorizzava dopo la grande guerra, negli anni del bolscevismo e del nascente nazismo. Come è possibile che in democrazia la figura dell'avversario come hostis resti ancora centrale? Per la prima volta una serie di ricerche contribuisce a fare chiarezza su un tema centrale non solo per la comprensione della storia d'Italia nella seconda metà del Novecento, ma anche sulla crisi del modello democratico in corso nell'Unione Europea.
La crisi degli anni Novanta ha segnato una profonda cesura tra la storia e le memorie del Paese, al punto da offuscare il racconto di tutta la vicenda repubblicana, a partire dal suo momento fondativo. Guardando agli anni dell'età costituente, possiamo ripercorrere quei passaggi (culture politiche e istituzionali, esperienze e orizzonti di aspettativa) che nel 1946 permisero il "miracolo" della nascita della Repubblica e la costruzione della democrazia italiana: in questo contesto il referendum istituzionale del 2-3 giugno fu il punto di svolta che chiuse la transizione dopo la fine della dittatura fascista. Se all'indomani del conflitto bellico si riproposero le fratture del Paese sul piano sociale ed economico (Nord e Sud, città e campagna, contadini e proprietari, operai e ceti medi), la consultazione popolare rappresentò l'effettivo "momento repubblicano" nella storia dell'Italia unita e nel suo accesso al novero delle democrazie europee.
Nelle società contemporanee, la parola "popolo" sembra più che mai rappresentare il fondamentale termine di riferimento del discorso politico-istituzionale. Nessun attore politico appare, infatti, disposto a rinunciare alla pretesa di parlare "del" popolo e "per il" popolo, giacché è proprio la volontà di quest'ultimo ad attribuire legittimità a decisioni cruciali su confini, costituzioni, regimi e politiche pubbliche. Ma chi è il popolo che rappresenta la fonte ultima dell'autorità politica e quali sono le forme attraverso le quali fa sentire la sua voce? Il percorso di approfondimento storiografico qui proposto vuole dare una risposta a queste domande, addentrandosi in un campo ideologico e discorsivo complesso, nel quale continuano a riproporsi gli elementi costitutivi delle democrazie contemporanee.
Dal controllo dei culti patronali ai riti di affiliazione fino alla promozione di un'immagine sacralizzata del capomafia: le organizzazioni criminali attingono spesso al repertorio devozionale cattolico. Il controllo dell'immaginario devoto consacra il ruolo dei boss come depositari di valori tradizionali, promuove un'immagine del capomafia che si fonda su un presunto rapporto privilegiato con il sacro, dimostra il suo potere sul territorio. Ma all'indomani della stagione dello stragismo mafioso, con la visita di Giovanni Paolo II in Sicilia nel maggio del 1993 e con l'assassinio di don Puglisi nel settembre dello stesso anno, la Chiesa cattolica ha intrapreso un'opera di riconquista e di risemantizzazione dello spazio devozionale che si è intrecciata con la formazione di modelli e riti di carattere civile. Questi i temi al centro del volume che nell'ultima parte si apre a scenari di comparazione attraverso l'avvio di un'analisi dei rapporti tra pratiche religiose e malavita organizzata nelle realtà messicana, russa e statunitense.