Il malessere che attraversa le società avanzate è profondo ed esteso. Si percepisce la necessità di un cambiamento radicale. La svolta non è desiderata solo dai giovani; ora sono anche adulti e anziani ad avvertire che un grande rinnovamento è necessario. Scossa da molte crisi, la Chiesa cattolica ha voluto mettere al centro della propria attenzione i millenials, fermandosi e lasciandosene interrogare durante il Sinodo dei Vescovi sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Questo libro mostra come i frutti di quel confronto vadano oltre i confini ecclesiali e diano da pensare a credenti e non credenti di ogni età. Questioni di primo piano sono poste da una nuova prospettiva: economia, lavoro, sessualità, potere, reciprocità uomo-donna, preghiera, decisioni da prendere, comunità. Nei giovani papa Francesco ha indicato «l'adesso di Dio», la sua visita che scombussola e riapre la storia. Il nuovo irrompe, infatti, se lasciamo che la realtà ci smuova. C'è un soffio cui esporci, un respiro da ritrovare, come una seconda nascita. Tutto può davvero cambiare.
Nella nostra cultura il ‘timore’ non gode di buona fama: è visto come sintomo di disagio o come segno di inferiorità da superare. Anche il linguaggio della spiritualità cristiana tende a fare a meno di questa parola antica, che sembra collegata a un’immagine di Dio ‘fredda’, segnata da una trascendenza arcigna, distante dal Dio d’amore che ci salva in Gesù Cristo.
In questo libro, Benoît Standaert non solo restituisce al timore il posto che la tradizione sapienziale gli ha assegnato, ma va ancor più in profondità. Il timore, sottolinea, è una realtà preziosissima: come recita il titolo, che riprende un versetto del libro di Isaia, «il timore di Dio è il suo tesoro», esperienza di rara ricchezza per il credente.
Lontano da quella paura che non appartiene alla fede cristiana, il timore è la disposizione dello spirito che non si ritiene il principio ordinatore di ogni cosa, ma riconosce nell’Alterità di Dio la fonte inesauribile di una vita sempre nuova, diversa dagli schemi in cui fatalmente si tende a rinchiuderla. Il timore è lo spazio rispettoso tra i due termini dell’Alleanza: l’uomo e Dio. È la caratteristica di uno spirito sveglio, teso alla sapienza del vivere mai completamente posseduta.
Questo tema possente e ‘inattuale’ è affrontato da Standaert nella forma di una raccolta epistolare. Ventuno lettere, di diversa lunghezza, indirizzate a una giovane interlocutrice, l’adolescente Nathalie, che nel suo cammino di preparazione alla cresima diventa icona e simbolo di tutti coloro che si accostano all’iniziazione cristiana. Il tono colloquiale, sostenuto dalla forza di una scrittura appassionata, rende pienamente godibile questa «passeggiata attraverso trenta secoli di letteratura». Ogni lettera è l’occasione per un incontro nuovo sul tema del timore di Dio, non solo nel solco della Scrittura (dai Salmi a Isaia, dal Siracide al Deuteronomio, dal vangelo di Marco alla prima lettera di Giovanni), ma anche nell’esperienza di uomini e donne che hanno «distillato l’altissima qualità» del timore (da san Benedetto ai padri del deserto, dagli eremiti di Gaza alla mistica Giuliana di Norwich, da san Francesco ai dodici patriarchi), senza tralasciare gli stimoli che provengono dalla tradizione giudaica, dalla pratica musulmana, e perfino dalla dottrina zen.
Ogni pagina di questo libro è concepita come un ‘esercizio’, e l’opera intera come un‘allenamento’ da praticare su quel «cammino di felicità che si apre per colui che si applica al timore di Dio».
Benoît Standaert (1945), monaco benedettino dell’abbazia belga di Zevenkerken (Brugge), è uno tra i più innovativi e pensosi esperti di spiritualità biblica. È autore di diversi volumi tradotti in italiano, tra cui: Il Vangelo di Marco (Roma 1984); Pregare il padre nostro (con O. Clement, Magnano Vercellese 1988); Le tre colonne del mondo. Vademecum per il pellegrino del XXI secolo (Magnano Vercellese 1999); Lo spirito dell’apostolo. Quando il mistero ha un’anima (con C.M. Martini e G. Danneels, Milano 2002); Come si fa a pregare? Alla scuola dei salmi, con parole e oltre ogni parola (Vita e Pensiero, Milano 2002).
«Dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio»: dagli inizi della civiltà cristiana questa frase ha significato la rivoluzione più importante nella storia delle istituzioni, ma anche la più difficile da realizzare. Ancora oggi parlare di Stato laico e di libertà della Chiesa, e tradurre in pratica tali concetti, significa muoversi su un terreno ricco di insidie e di contraddizioni. Per affrontare questi temi attualissimi, Ombretta Fumagalli Carulli sceglie la via del discepolo medievale che, mettendosi ‘sulle spalle del gigante’, vede meglio e più lontano. In questo caso ‘il gigante’ è l’autorevole tradizione giuridica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore con i suoi prestigiosi maestri: Vincenzo del Giudice, Orio Giacchi, Giuseppe Dossetti. Così, dopo avere ricordato l’apporto della dottrina canonistica, sono tre le piste di ricerca proposte: l’emergere dell’idea laica nella storia europea, la posizione dello Stato italiano, le nuove frontiere dell’Europa. Alla nascita e alla storia dello Stato laico, dal Medioevo alla Rivoluzione francese, è dedicato il primo capitolo. Sulla base delle categorie storico-giuridiche così costruite, viene poi focalizzato il rapporto tra Stato italiano e fenomeno religioso. Dopo brevi cenni sui modelli di Stato - liberale e fascista - precedenti l’età democratica, sono affrontati i problemi che laicità e libertà pongono allo Stato democratico. A causa delle ambiguità presenti nelle nostre leggi e della lentezza dell’iter parlamentare, a produrre diritto è spesso la Corte costituzionale. A essa perciò è riservato ampio spazio, in particolare rispetto all’emersione della libertà religiosa istituzionale a fianco di quella individuale e collettiva. Nel terzo capitolo l’orizzonte si amplia dall’Italia all’Europa, completando il quadro dei problemi e le prospettive di ulteriori evoluzioni. Dalla CSCE, oggi OSCE, alla Costituzione europea viene analizzato il consolidamento della libertà religiosa istituzionale e il ruolo delle religioni nella costruzione dell’Europa unita.
Il risultato è uno studio importante, che illumina la grammatica e le sintassi giuridiche e istituzionali di un tema controverso e affascinante, e «riprende le fila di un lungo discorso» per svilupparne le conseguenze, sia attuali sia rivolte al futuro che è per noi oggi l’Europa.
Ombretta Fumagalli Carulli si è laureata in Giurisprudenza all'Università Cattolica del Sacro Cuore nel 1966. Dal 1975 è titolare di cattedra universitaria (Diritto canonico e Diritto ecclesiastico) prima all’Università di Ferrara, poi all’Università Cattolica di Milano, dove insegna tuttora. Eletta al Consiglio Superiore della Magistratura, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, dal 1993 più volte fa parte del Governo italiano. Dal 2003, nominata da Giovanni Paolo II, fa parte dell’Accademia Pontificia delle Scienze Sociali. Visiting professor in diverse Università europee e membro di società scientifiche e di comitati di riviste giuridiche, è autrice di numerose pubblicazioni in diritto canonico, storia della Chiesa, ordinamento giudiziario, procedura penale, diritto costituzionale italiano, diritto ecclesiastico, diritto di famiglia, magistero sociale della Chiesa, diritto processuale civile. Segnaliamo: Intelletto e volontà nel consenso matrimoniale in diritto canonico (Vita e Pensiero, Milano 1974); I fondamenti religiosi dell'Assolutismo in Bossuet (Milano 1975); Il matrimonio canonico dopo il Concilio (Milano 1978); Società civile e società religiosa di fronte al Concordato (Vita e Pensiero, Milano 1980); Giustizia inquieta (Milano 1990); Il Governo della Chiesa universale e i diritti della persona (Vita e Pensiero, Milano 2002).
Talvolta si coltiva un'immagine della preghiera come astrazione dal mondo che consente di entrare nei cieli rarefatti della mistica e incontrarvi l'insondabile mistero divino. Le cose, almeno per la preghiera cristiana, non stanno così: i salmi, che ne sono il modello, lo dimostrano con suggestiva sovrabbondanza. Questi centocinquanta componimenti poetici ci parlano di uno stare ?davanti a Dio' fatto dei molteplici toni e colori dell'esperienza umana, di quella terra con cui sono impastati i figli di Adamo. I registri che risuonano nei salmi sono infatti quelli della lode, del ringraziamento, della benedizione, ma insieme anche quelli della domanda smarrita, dell'invocazione e perfino dell'invettiva. I salmi ci insegnano a superare il mutismo dei nostri sentimenti nel colloquio con Dio, offrendoci una sorta di lessico e di grammatica della preghiera. La verità dell'esperienza umana, con tutte le sue durezze e i suoi interrogativi senza risposta, non viene mai dissimulata attraverso quella prospettiva spiritualizzante o edificante che sempre fa tornare i conti della vita. Nello stesso tempo, i salmi attestano che questi molti modi di stare davanti a Dio sono accomunati da una radicale, e talvolta nuda, fiducia in lui. La tensione così disegnata è all'origine del fascino che queste preghiere tutt'oggi continuano a esercitare. Bruno Maggioni nei suoi rapidi commenti al libro dei salmi mostra di essere in piena sintonia con lo spirito che li anima. Questi sobri suggerimenti di lettura conducono fino alla soglia del salmo. Tocca al lettore varcarla.
Che rapporto hanno i giovani con la fede? Quali sono le loro credenze e i loro atteggiamenti nei confronti della religione? Come hanno vissuto l'esperienza dell'Iniziazione cristiana, quali ricordi hanno del 'catechismo'? Sappiamo che molti di loro, dopo la Cresima, si allontanano dalla Chiesa: quali ne sono i motivi? E quali esperienze e cammini possono portare a un riavvicinamento? A queste e ad altre domande hanno risposto centocinquanta giovani, ragazze e ragazzi tra i diciotto e i ventinove anni, tutti battezzati, residenti in piccole e grandi località del Nord, Centro e Sud di Italia, con diverso titolo di studio. Cinquanta tra coloro che si sono dichiarati credenti nella prima fase della ricerca, promossa dall'ente fondatore dell'Università Cattolica Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, sono stati di nuovo intervistati e hanno raccontato - per la prima volta nel nostro Paese con tale estensione e profondità di indagine - la loro esperienza di fede e il loro vissuto religioso, rivelando un interessante spaccato di questa intima dimensione della vita, delle sue luci e delle sue ombre.
Partendo da uno studio del ruolo metaforico dell'architettura nel giudaismo ellenistico De Luca analizza le principali tematiche filosofiche che emergono dall'immagine del Dio architetto descritto da Filone. Prefazione David T. Runia.
«Portiamo questo tesoro in vasi di coccio, affinché appaia che la straordinaria sua forza proviene da Dio e non da noi». Questa affermazione di san Paolo, nella seconda lettera ai Corinti, non allude solo a una condizione personale, ma parla di tutti: vaso di coccio è ogni cristiano e l'intera comunità dei credenti. Il vaso di terracotta è casalingo, umile, fragile, di utilizzo quotidiano. Non è un oggetto prezioso da esibire all'ammirazione di tutti. Fuori di metafora: Dio non si serve solo dei santi, ma anche (e soprattutto) di uomini comuni, fragili, di poca fede, com'erano i discepoli, e come siamo noi. Questa meraviglia di Dio non cessa di stupire. Se il vaso fosse prezioso, attirerebbe l'attenzione su di sé; nella sua umiltà, invece, rimanda altrove. La sua debolezza è la sua trasparenza. La potenza del Vangelo si fa presente nell'inadeguatezza per rendere chiaro a tutti che la sua efficacia viene da Dio, non dagli uomini, né dai loro strumenti. È alla luce di questa metafora che Bruno Maggioni rilegge la concezione della Chiesa nel Nuovo Testamento. Certo, non con la pretesa di un ritorno alla comunità delle origini: sarebbe un'illusione, e neppure coerente con il Vangelo. La Chiesa, infatti, cammina nella storia. E proprio per questo motivo deve continuamente confrontarsi con la sua origine, vigilando perché le sue scelte siano sempre attualizzazione del Vangelo. Nella consapevolezza che il suo compito non è attrarre su di sé lo sguardo degli uomini, ma rinviarlo sempre al Dio di Gesù.
Parlare d'amore oggi è fin troppo facile. La parola è abusata fino al logoramento, e per lo più risuona nel suo significato 'romantico': il sentimento di fusione con l'essere amato, l'appagamento di un desiderio di realizzazione che, a ben vedere, rimanda infine all'atteggiamento narcisistico sempre più diffuso. Si può superare questa accezione emotiva e superficiale dell'amore e parlarne da un'altra prospettiva? E si può, partendo da un'esperienza più autentica di amore umano, rivelare un nuovo e più profondo significato della parola Dio? Tomás Halík ne è convinto e si dedica all'impresa in questo saggio acuto, di godibilissima scrittura, ricco di riferimenti letterari e filosofi-ci, aperto ai fermenti più vivi della cultura laica. E incontra subito sant'Agostino, cui è attribuita la frase che ha scelto come titolo: Amo: volo ut sis, «Amo: voglio che tu sia». Perfetta sintesi, egli dice, del vero significato della parola amore, in controtendenza rispetto al sentire comune: facendo propria questa frase, l'io non si limita a prendere coscienza dell'esistenza dell'altro, ma la accoglie come componente fondamentale che arricchisce la sua vita, che impedisce al suo mondo di diventare terribilmente vuoto e grigio. Il vero amore umano chiede dunque di cambiare prospettiva, di avere il coraggio di dimentica-re se stessi in forza degli altri. Proprio per questo l'amore è un tema profondamente religioso, capace allo stesso tempo di parlare alle coscienze odierne per le quali il discorso cristiano suona come una lingua sconosciuta o dimenticata da tempo. Perché il Dio amore, lungi dall'essere il Dio banale stigmatizzato da Nietzsche, è un Dio che invita tutti, credenti e non credenti - 'residenti' e 'cercatori', come preferisce definirli Halík - alla magnifica danza dell'amore «in cui si fondono cielo e terra, grazia e natura, divino e umano, la Trinità divina e le tre virtù attraverso le quali entriamo danzando nell'eternità».
Talvolta si coltiva un’immagine della preghiera come astrazione dal mondo che consente di entrare nei cieli rarefatti della mistica e incontrarvi l’insondabile mistero divino. Le cose, almeno per la preghiera cristiana, non stanno così: i salmi, che ne sono il modello, lo dimostrano con suggestiva sovrabbondanza. Questi centocinquanta componimenti poetici ci parlano di uno stare ‘davanti a Dio’ fatto dei molteplici toni e colori dell’esperienza umana, di quella terra con cui sono impastati i figli di Adamo. I registri che risuonano nei salmi sono infatti quelli della lode, del ringraziamento, della benedizione, ma insieme anche quelli della domanda smarrita, dell’invocazione e perfino dell’invettiva. Essi ci insegnano a superare il mutismo dei nostri sentimenti nel colloquio con Dio, offrendoci una sorta di lessico e di grammatica della preghiera. La verità dell’esperienza umana, con tutte le sue durezze e i suoi interrogativi senza risposta, non viene mai dissimulata attraverso quella prospettiva spiritualizzante o edificante che sempre fa tornare i conti della vita. Nello stesso tempo, i salmi attestano che questi molti modi di stare davanti a Dio sono accomunati da una radicale, e talvolta nuda, fiducia in lui. La tensione così disegnata è all’origine del fascino che queste preghiere tutt’oggi continuano a esercitare. Bruno Maggioni nei suoi rapidi commenti al libro dei salmi mostra di essere in piena sintonia con lo spirito che li anima. Questi sobri suggerimenti di lettura conducono fino alla soglia del salmo. Tocca al lettore varcarla.
Bruno Maggioni è nato nel 1932 a Rovellasca (Como) e dal 1955 è sacerdote della diocesi di Como. Ha studiato teologia e scienze bibliche all’Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Biblico di Roma. È docente di Esegesi del Nuovo Testamento alla Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale di Milano e di Introduzione alla teologia presso l’Università Cattolica. È autore di numerose pubblicazioni, tra cui: "Il vangelo di Giovanni" (Assisi 1985); "Il racconto di Marco" (Assisi 1985); "Il racconto di Matteo" (Assisi 1986); "Uomo e società nella Bibbia" (Milano 1991); "La vita nelle prime comunità cristiane" (Roma 1991); "Le parabole evangeliche" (Vita e Pensiero, Milano 1992); "I racconti evangelici della Passione" (Assisi 1994); "Padre nostro" (Vita e Pensiero, Milano 1995); "La pazienza del contadino" (Vita e Pensiero, Milano 1996); "La brocca dimenticata" (Vita e Pensiero, Milano 1999); "Davanti a Dio. I salmi 1-75" (Vita e Pensiero, Milano 2001).
Talvolta si coltiva un’immagine della preghiera come astrazione dal mondo che consente di entrare nei cieli rarefatti della mistica e incontrarvi l’insondabile mistero divino. Le cose, almeno per la preghiera cristiana, non stanno così: i salmi, che ne sono il modello, lo dimostrano con suggestiva sovrabbondanza. Questi centocinquanta componimenti poetici ci parlano di uno stare ‘davanti a Dio’ fatto dei molteplici toni e colori dell’esperienza umana, di quella terra con cui sono impastati i figli di Adamo. I registri che risuonano nei salmi sono infatti quelli della lode, del ringraziamento, della benedizione, ma insieme anche quelli della domanda smarrita, dell’invocazione e perfino dell’invettiva. Essi ci insegnano a superare il mutismo dei nostri sentimenti nel colloquio con Dio, offrendoci una sorta di lessico e di grammatica della preghiera. La verità dell’esperienza umana, con tutte le sue durezze e i suoi interrogativi senza risposta, non viene mai dissimulata attraverso quella prospettiva spiritualizzante o edificante che sempre fa tornare i conti della vita. Nello stesso tempo, i salmi attestano che questi molti modi di stare davanti a Dio sono accomunati da una radicale, e talvolta nuda, fiducia in Lui. La tensione così disegnata è all’origine del fascino che queste preghiere tutt’oggi continuano a esercitare. Bruno Maggioni nei suoi rapidi commenti alla prima parte del libro dei salmi (è in programma un secondo volume a completamento per il 2002) mostra di essere in piena sintonia con lo spirito che li anima. Questi sobri suggerimenti di lettura conducono fino alla soglia del salmo. Tocca al lettore varcarla.
Bruno Maggioni è nato nel 1932 a Rovellasca (Como) e dal 1955 è sacerdote della diocesi di Como. Ha studiato teologia e scienze bibliche all’Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Biblico di Roma. è docente di Esegesi del Nuovo Testamento alla Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale di Milano e di Introduzione alla teologia presso l’Università Cattolica. è autore di numerose pubblicazioni, tra cui: Il vangelo di Giovanni (Assisi 1985); Il racconto di Marco (Assisi 1985); Il racconto di Matteo (Assisi 1986); Uomo e società nella Bibbia (Milano 1991); La vita nelle prime comunità cristiane (Roma 1991); Le parabole evangeliche (Vita e Pensiero, Milano 1992); I racconti evangelici della Passione (Assisi 1994); Padre nostro (Vita e Pensiero, Milano 1995); La pazienza del contadino (Vita e Pensiero, Milano 1996); La brocca dimenticata (Vita e Pensiero, Milano 1999); Davanti a Dio. I salmi 76-150 (Vita e Pensiero, Milano 2002).
Finalmente come Dio! Come Dio? Finalmente?
Essere come Dio è tentazione antica come la consapevolezza di essere uomo: sentimento variamente articolato che l'uomo non possa aspirare a nulla di meno e che a nessun altro spetti giudicare ciò che è bene o male. È dunque paradossale l'entusiasmo irresponsabile per la 'morte di Dio': Nietzsche aveva ben detto che non c'era di che entusiasmarsi a buon mercato. In ogni caso, se Dio è morto, essere come Dio diviene problematico; anche essere al suo posto, perché lì la morte ormai incombe. Il nostro non sembra esser più il tempo dell'ebbrezza su nessuno dei due fronti, piuttosto il tempo del disinganno, magari risentito, dell'uomo che ha provato ad essere come Dio e che stenta ad essere dignitosamente uomo. Tempo di fragilità dolorosa dell'uomo che, tuttavia non rinuncia all'arroganza con cui, dopo aver detto "penso quindi sono", dice "sono quindi voglio e posso" mosso da aspirazioni di sempre più piccolo cabotaggio. Ci chiediamo se, per qualificare la propria identità, l'uomo non possa far altro che muovere i suoi passi ripetendosi ossessivamente: penso quindi sono, mi sento quindi… Sono… Finalmente… Come Dio. Forse dovrebbe riconoscersi nello sguardo di un compagno di strada, ritrovarsi nella confidenza della sua voce. Forse un Dio amante dell'uomo, che per essere con l'uomo non si sottrae nemmeno alla morte, sarebbe un buon compagno di strada per un diverso incedere alla scoperta della sua dignità.
"La mia anima ha sete di Dio - del Dio vivente - quando verrò, e vedrò il volto di Dio?" (Sal 42-43). Questa domanda apre il secondo libro del Salterio (Sal 42-72) e lo caratterizza in profondo nel segno di "libro degli esilii" dove il problema di chi prega non è più soprattutto e soltanto ?esterno', costituito dagli avversari del giusto, ma piuttosto personale e interiore, focalizzato dal rapporto - diventato sempre più difficile e impegnativo - tra Dio e l'orante, che ne è l'anima più viva e più vera, lungo tutti i suoi diversi tornanti. Su questo tema le voci di esperti biblisti offrono una sorta di ?piccola grammatica della preghiera' di chi fatica a trovare la relazione con Dio, non ne coglie le tracce nella propria vita, se ne sente distante, talvolta come abbandonato. Muovendo dalla coppia dei salmi iniziali "Tristezza dell'anima e sete di Dio" (Sal 42-43, R. Vignolo), "Quando Dio si dimentica di noi" (Sal 44, F. Dalla Vecchia) -, viene valorizzato il luminoso esito finale del percorso, raggiunto nel Sal 72, espressione della migliore speranza messianica degli afflitti e dei miseri ("Il regno del Messia", G. Barbiero). Tra l'inizio e la fine del secondo libro dei Salmi, spiccano tre tappe del cammino, centrate su "Sapienza di vita e speranza in Dio" (Sal 49, P. Bovati), sulla sete di Dio (Sal 63: "Il tuo amore vale più della vita", L. Invernizzi) e infine sul Sal 68 ("Una casa dona Dio ai solitari", M.I. Angelini), un salmo di speciale importanza per la tradizione monastica.