Continuando il percorso iniziato con La terza Chiesa (2002), in cui richiamava l’attenzione sulla crescente importanza del sud del mondo all’interno della cristianità, Philip Jenkins ritorna sull’esperienza religiosa dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina per mettere a fuoco più da vicino il ‘nuovo volto’ del cristianesimo in quelli che ben presto saranno i più grandi Paesi cristiani del mondo.
Il punto di partenza è l’innegabile divaricazione tra il modo in cui leggono e vivono la Scrittura i cristiani del nord, dell’Occidente euro-americano, e i cristiani del sud. Mentre i primi scontano l’eccessiva familiarità con la tradizione religiosa nella quale sono cresciuti, i secondi si accostano alla Bibbia con la freschezza di chi non deve passare attraverso le ‘trappole culturali’ che rendono ovvio e meno vitale il messaggio cristiano. E spesso i comportamenti di questi nuovi credenti si rivelano sorprendentemente fedeli allo spirito del cristianesimo primitivo.
Antiche immagini trovano nuovi significati: pensiamo a temi biblici come il cibo, la carestia, l’acqua e la sete, il raccolto in una società contadina. Ma il senso di continuità va oltre le suggestioni letterarie o culturali. In un mondo segnato dalla fame, dalla povertà, dalle persecuzioni e dall’esilio, con forti esigenze di riscatto e promozione sociale (si pensi, ad esempio, alla condizione femminile), ma anche popolato da spiriti e magie, i testi biblici parlano con tutta la forza che sembrano avere smarrito nei Paesi più avanzati.
Pensiamo a cosa può dire il Libro di Rut in una società affamata, minacciata dalla guerra e dallo scompiglio sociale, come quella africana; o l’Apocalisse, con la forza del suo messaggio che, qualunque sia il male del mondo, Dio trionferà; la Lettera di Giacomo, quasi un ‘manuale’ per una società in cui si stanno cercando le ‘regole’ del vivere cristiano; o ancora, certi racconti di Gesù che si avvicina ai dimenticati da tutti, in un contesto di divisione in caste come quello indiano.
Questo sguardo, ingenuo ma insieme vivido ed esigente, non si pone certo come alternativa alla tradizione dell’Occidente. Il cristianesimo ha sempre espresso forme diverse di fede e di culto, che restituiscono tutta la ricchezza del suo messaggio. Ma le interpretazioni che provengono dal sud del mondo possono indicare nuove strade per raggiungere lo spirito originario con cui i libri della Bibbia furono scritti e aiutare noi occidentali a riscoprire quel senso di vicinanza della Scrittura alla nostra vita che sembriamo aver perso.
Philip Jenkins, storico delle religioni e professore emerito alla Pennsylvania State University, è autore di numerosi libri sui fenomeni religiosi nel mondo contemporaneo. In particolare ha pubblicato The Next Christendom: The Coming of Global Christianity (2002), best seller tra gli studi religiosi negli Stati Uniti, tradotto in italiano con grande successo nel 2004 (La terza Chiesa. Il cristianesimo nel XXI secolo).
Hanno più di 1500 anni eppure parlano agli uomini di oggi con una immediatezza e una profondità senza precedenti. Il ‘cuore inquieto’ con cui Agostino rilegge la propria vita alla luce della sua intensa esperienza di fede è anche il nostro cuore moderno alle prese con la domanda più antica del mondo: l’uomo è artefice della propria felicità? Leggere le Confessioni vuol dire confrontarsi con i temi più intimi, mettere a nudo le emozioni, le insoddisfazioni e i desideri che vivono nel nostro animo, e che da un classico della letteratura cristiana riportano al nostro mondo di europei moderni. Qual è il rapporto tra la bellezza e la verità? È possibile un’amicizia vera e duratura? Quanto è libera la volontà dell’uomo? Siamo schiavi del tempo o possiamo in qualche modo dominarlo? Come confrontarci con l’esperienza del male e del dolore? Agostino, nostro fratello, cerca risposte per sé e per noi.
E oggi la sua ‘voce’ ha una nuova opportunità, frutto di un’iniziativa che ha riscosso un meritato successo: la lettura quasi integrale delle Confessioni da parte di grandi ‘voci’ di oggi, attori come Glauco Mauri, Alessandro Preziosi e altri.
Il CD con le registrazioni di queste letture, tenutesi nell’Università Cattolica di Milano da gennaio a marzo 2006, è unito a un volume che raccoglie i commenti ai testi agostiniani dei più grandi specialisti in materia, seguendo un modello di accostamento ai classici che restituisce ai testi fondamentali della nostra tradizione culturale una nuova vita, nell’emozione della lettura e nella comprensione dei contenuti.
Esercizio per infermi è un breve manuale in 38 capitoli del teatino Lorenzo Scupoli (1529-1610), più noto per il Combattimento spirituale (Venezia 1589), che ha conosciuto una notevole fortuna editoriale ed è stato più volte ristampato anche in anni recenti. Rifacendosi alle medioevali artes moriendi, questo libretto si offre come guida in grado di offrire suggerimenti concreti (in particolare al sacerdote) su come comportarsi con le persone che stanno per morire. Dal punto di vista filologico, la presente edizione si basa su un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Napoli finora mai preso in considerazione. Questo testo infatti, vulgato col titolo Modo di consolare ed aiutare gli infermi a ben morire, non è mai stato stampato singolarmente nel corso dei secoli, ma sempre come opera minore dello Scupoli.
Paola Barni (1971) si è laureata in Lettere moderne presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Lavora a Milano come insegnante e collabora con varie case editrici. Tra le sue pubblicazioni, anche due raccolte poetiche.
Dalla natia Polonia alla ‘irraggiungibile’ Russia, la figura di Karol Wojtyla ha segnato la svolta verificatasi nei Paesi dell’Europa centro-orientale con la caduta del muro di Berlino. Il proseguimento della sperimentata Ostpolitik. Il nuovo ruolo del Papa, slavo e mitteleuropeo, con i suoi rapporti diretti con popoli e governanti. I viaggi pastorali, sempre più numerosi a partire dal 1989, nei Paesi che sostanziano la ‘variabile orientale dell’identità europea’. Sono questi fattori che hanno contribuito, nei nuovi Stati nati dalla frantumazione dell’Impero sovietico, all’affermarsi di una maggiore tutela della libertà religiosa e con essa di tutte le altre libertà che caratterizzano gli ordinamenti giuridici dei Paesi democratici.
Questo volume, attraverso l’analisi delle relazioni tra Stato e Chiesa cattolica in alcuni tra i Paesi più significativi dell’ex blocco sovietico (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Federazione Russa), si interroga sul ruolo e sul significato delle istituzioni ecclesiastiche e della Chiesa di Giovanni Paolo II nel processo di democratizzazione di un’area geopolitica di importanza strategica per il futuro dell’Europa. L’opera è completata da un’ampia e dettagliata raccolta dei più significativi documenti legislativi sul tema della libertà religiosa e della condizione giuridica delle Chiese (Costituzioni, Concordati, Leggi sulla libertà religiosa e sulla condizione delle confessioni religiose ecc.) nei Paesi dell’Europa centro-orientale.
Antonio G. Chizzoniti è professore associato di Diritto ecclesiastico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza). Tra le sue più recenti pubblicazioni: Le certificazioni confessionali nell’ordinamento giuridico (Vita e Pensiero, Milano 2000), Chiese, associazioni, comunità religiose e organizzazioni non confessionali nell’Unione europea (Vita e Pensiero, Milano 2002), Le carte della Chiesa. Archivi e biblioteche nella normativa pattizia (Bologna 2003).
Dai modesti esordi nei villaggi della Galilea all’inarrestabile espansione in tutto l’Impero romano, la storia del cristianesimo è attraversata da un sottile, ma resistente filo conduttore: i cristiani vissero come cittadini di due mondi, immersi nelle realtà caduche dell’esistenza e al contempo rivolti con lo sguardo all’eterno.
Se, infatti, da un lato, si radicò molto presto la convinzione che la loro vera patria non era di questo mondo, dall’altro essi professarono un credo unitario capace di influenzare fortemente la società e di regolare l’esistenza del singolo.
Fissate le coordinate spazio-temporali entro le quali si sviluppò e si diffuse il cristianesimo, Markschies delinea i tratti salienti della religiosità individuale, nei momenti cruciali dell’esistenza come nella normalità della vita quotidiana, e di quella comunitaria, scandita dalla celebrazione eucaristica e dall’esercizio della carità. Ne emergono le ragioni per cui la nuova religione seppe conquistarsi un numero rilevante di seguaci: la semplicità della sua dogmatica, il coerente monoteismo, la certezza del legame con Dio assicurata dai sacramenti.
L’annuncio di Gesù riduceva e spiegava così la complessità della vita e schiudeva all’uomo un orizzonte ultraterreno, un ‘di più’ che non si esaurisce nelle alterne vicende della storia.
Christoph Markschies ha studiato teologia evangelica, filologia classica e filosofia a Marburgo, Gerusalemme, Monaco e Tubinga. Dal 1994 al 2000 ha insegnato come ordinario di Storia della Chiesa all’Università di Jena. Dal 2000 è professore di Teologia storica (Cristianesimo antico) all’Università di Heidelberg e membro ordinario dell’Accademia delle Scienze di Berlino; tra le sue principali pubblicazioni: “Valentinus Gnosticus?” (Tübingen 1992), “Arbeitsbuch Kirchengeschichte” (Tübingen 1995), “Ambrosius von Mailand und die Trinitätstheologie” (Tübingen 1995), “Alta Trinità Beata. Gesammelte Studien zur altkirchlichen Trinitätstheologie” (Tübingen 2000), “Die Gnosis” (München 2001).
Marco ha scritto il più antico dei quattro vangeli che, in forza della sua essenzialità, è anche il più adatto per quanti cominciano ad accostarsi al Nuovo Testamento. Il racconto di Marco si snoda verso un duplice esito: la rivelazione del mistero di Gesù e la manifestazione di ciò che si trova nel cuore dell'uomo. La figura di Gesù tratteggiata dal primo evangelista è quella inaudita del Messia che instaura il regno di Dio attraverso l'estrema debolezza della croce. E di fronte alla morte del Figlio di Dio il cuore dell'uomo non può sottrarsi alla scelta tra fede e incredulità. Guidano il lettore in questo affascinante percorso l'introduzione e il commento del biblista Bruno Maggioni, acuto interprete della dimensione esistenziale del messaggio evangelico.
Questo volume si propone di presentare la figura del Nazianzeno «vista dall’interno»: le situazioni e gli eventi attraverso ai quali egli passò sono inquadrati nella storia documentaria, ma sono anche esaminati con particolare attenzione, come furono da lui percepiti: la biografia è ricca solo quando è radicata nell’autobiografia. Le confidenze di Gregorio vengono pertanto approfondite nelle loro radici e le sfumature vagliate quali testimonianze della sua arte ed umanità. È questo il messaggio che costituisce il suo valore ed il suo significato di «classico»: illuminò con felice penetrazione i suoi drammi personali, ritrasse i suoi smarrimenti ed i suoi aneliti, osservò gli uomini che lo circondavano: tutto colse con l’acutezza che solo la superiorità dell’ingegno e l’eccellenza dell’arte forniscono. La sua attualità è così diventata anche la nostra, in nome della perennità della natura umana, e la sua esperienza si riflette a chiarificazione di chi viene in contatto con lui.
Francesco Trisoglio, già titolare della cattedra di Storia Bizantina e di quella di Storia della civiltà e della tradizione classica presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino, ha pubblicato, in Italia ed all’estero, un centinaio di saggi e volumi sui classici greci (i tragici) e latini (Cicerone epistolografo, Virgilio, Orazio, Ovidio, Plinio il Giovane), su Filone d’Alessandria, sui Padri della Chiesa greci (Melitone di Sardi, Eusebio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo, Palladio di Elenopoli) e latini (Cipriano, Ambrogio, Gaudenzio da Brescia, Girolamo) e sugli scrittori bizantini (gli storici e Procopio di Cesarea), soffermandosi particolarmente su Plinio, Gregorio, Procopio e sul Christus Patiens. Il suo interesse precipuo verte sull’arte, sulla personalità e sul messaggio che i singoli scrittori hanno trasmesso.
Chiesa e mondo feudale nei secoli X-XII vuole essere soltanto un titolo d'insieme entro il quale l'apporto specifico di studiosi particolarmente qualificati ha tentato di inquadrare tutta la complessa problematica che riguarda il confronto della Chiesa e delle sue strutture, consolidate nell'età carolingia, con ogni forma di potere esercitato in parte dalla Chiesa stessa e in parte dalle signorie laiche in una società in profonda trasformazione. Studiosi di diverse discipline hanno illustrato le molteplici manifestazioni della presenza della Chiesa nel mondo di allora. Ne è risultata una immagine di Chiesa e società ancorata su base documentaria assai più solida, atta a favorire una migliore comprensione di fenomeni che si collocano in momenti nodali nello sviluppo della civiltà europea.
C'è stato un periodo della storia europea in cui il rapporto tra l'islam e la cristianità non si è configurato come l'opposizione di due nemici irriducibili. Infatti, dall'VIII al XIII secolo si realizzò un incontro che, insieme ad aspri conflitti politici e religiosi, diede origine ad ampi e variegati scambi culturali nelle scienze, nella filosofia, nell'arte e nella letteratura: basti pensare all'influsso islamico sulla Sicilia nell'alto Medioevo; a quella singolare sintesi di civiltà che per sette secoli caratterizzò la Spagna musulmana fino alla Reconquista spagnola; e, infine, alle radici arabe della poesia provenzale. Questa feconda stagione culturale viene rievocata da Anawati con la maestria di chi sa sedimentare in una sintesi chiara ed equilibrata le ricerche di tutta una vita dedicata al dialogo islamo-cristiano. E proprio in tale sintesi si può cogliere l'attuazione di un dialogo autentico tra religioni e culture diverse, quello cioè che non elude gli aspetti di insuperabile differenza, ma insieme rileva i tesori delle rispettive tradizioni. Lo studio della storia è prodigo di preziosi ammaestramenti quando lo si affronta con oggettività e senza pregiudizi, come in questo saggio che si ispira agli auspici del Concilio Vaticano II: "Se nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare la mutua comprensione".
La definizione del genere letterario agiografico ha sempre costituito un problema storiograficamente controverso, in ragione del carattere peculiare di queste fonti - che un'autorevole tradizione pone alla stessa altezza della proclamazione della Parola - e della complessità della loro redazione, che trasforma un accadimento storico - la sequenza del martirio - in un evento teologico - la perfetta imitazione di Cristo condotta sino a una piena comunione con Lui -, evento che trova quale luogo di celebrazione la liturgia. Il Martyrium Polycarpi può ben essere assunto quale archetipo di questa funzione ecclesiale: nel documento princeps dell'agiografia cristiana, I'eredità della riflessione tardogiudaica sulla morte violenta del giusto che nell'apocalittica trova la sua più alta espressione - viene elaborata in un contesto squisitamente cristologico, attraverso un processo in cui la figura del martire si dissolve nel simbolo della croce. La stessa 'coordinata agiografica' del testo, che situa la morte del vescovo smirneo in un giorno di 'grande sabato', deve allora essere letta non già come una mera indicazione cronologica, ma piuttosto come una cifra ermeneutica che perfeziona il rapporto di partecipazione tanto del martire a Cristo quanto del martirio alla Pasqua. La pregnanza del sabato nella Bibbia, non meno che nell'elaborazione teologica, paleocristiana, comporta un arricchimento di questa dinamica: nella direzione di un'escatologia che individua nello stesso 'giorno del Signore'...