Scavalcando i confini convenzionali fra filosofia, storia, letteratura e scienze sociali, Martha Nussbaum guida il lettore-paziente a un dialogo interattivo con i principali esponenti delle filosofie ellenistiche, convinta che mai come nell'Epicureismo, nello Scetticismo e nello Stoicismo si sia arrivati a porre le basi di una terapia cognitiva dei mali dell'anima mediante una filosofia capace di illuminare, attraverso l'esercizio della logica e della ragione, temi impellenti e quotidiani come la paura della morte, l'amore e la sessualità, la collera e l'aggressività.
Mito politico e categoria pratica, "Monarchia universalis" costituisce uno dei concetti politici cardine dell'età moderna, declinando sì dopo la pace di Westfalia, ma scomparendo solo nel Settecento. Fino ad allora le maggiori potenze avevano cercato di rappresentarsi come la monarchia universale per legittimare una propria superiorità sulle altre e un proprio specifico diritto a definire il buon ordine collettivo europeo. Lungi dall'essere un'affermazione retorica, la pretesa di poter agire come monarchia universale da parte di Spagna, Francia, Impero (e pure Inghilterra) aveva una rilevanza effettuale di grande peso e proprio per questo su di essa si appuntò a lungo l'attenzione dei teorici politici e dei polemisti, sia per definirne meglio le caratteristiche, sia per negarle alle potenze concorrenti. Il libro ricostruisce tale intricato e affascinante dibattito, mettendo in luce altresì la specificità della politica d'antico regime rispetto a quella della modernità per il suo strutturale legame teorico con l'etica - poiché essere "Monarchia universale" significa farsi carico non dell'ordine ma del buon ordine - e permette di ripensare il sistema delle 'relazioni internazionali' del tempo e insieme la genealogia della nostra cultura storica e politica da una prospettiva fino ad ora ingiustamente trascurata.
"Nella cultura contemporanea, di fronte alla vastità e alla molteplicità degli interrogativi posti dalle scienze biomediche, affiora con crescente insistenza l'esigenza di guide sicure e di maestri affidabili. Appare, pertanto, urgente che la bioetica rifletta sulle radici ontologiche e antropologiche delle norme che devono orientare scelte di così decisiva importanza. [...] il vostro Congresso si è soffermato ad esaminare i criteri fondativi della bioetica in un confronto esigente ed aperto tra esponenti di diverse correnti di pensiero, sviluppando non solo gli aspetti di carattere storico, ma anche e soprattutto le problematiche filosofiche, etiche e religiose, nella convinzione che l'albero della riflessione etica, per conservare la sua vitalità e dare frutti, deve porre saldamente le radici nella verità ontologica dell'essere umano, creato ad immagine e somiglianza di Dio e redento da Cristo. [...] In dieci anni di vita, il vostro Centro di Bioetica è diventato palestra di confronto e di dialogo tra cultori delle scienze biomediche, operatori sanitari, giuristi, filosofi e teologi. Ringrazio con voi il Signore per tutto questo. Lo ringrazio altresì perché la vostra benemerita istituzione ha saputo offrire apporti significativi alla difesa della piena dignità dell'essere umano dal momento della fecondazione fino alla sua morte naturale, difendendo il diritto alla vita di ogni individuo, anche se infermo o portatore di handicap."
I territori della mistica si presentano talmente ampi e indeterminati da apparire a prima vista refrattari a qualunque tentativo di ricostruzione sistematica. Con la sua "Storia della mistica occidentale" Kurt Ruh offre la prima sintesi complessiva di questo singolare ambito di conoscenza del divino, strettamente connesso alla teologia, alla spiritualità e alla letteratura. L’esperienza di Dio propria dei mistici avviene nel rapimento, nella visione, nell’estasi d’amore. Posto di fronte a misteri ineffabili, il mistico avverte l’urgenza di comunicare quanto ha vissuto, consegnandolo a un testo scritto. Nasce così una tradizione di esuberante ricchezza, anche letteraria, qui documentata con analisi puntigliosa e forza ordinativa. Questo secondo volume dell’opera di Ruh presenta una vena particolarmente ricca della religiosità medievale, fatta dell’umile apporto di "mulieres religiosae" per lo più poco note, la cui esperienza mistica tuttavia consente una più piena comprensione dei libri di confessioni e di visioni in lingua volgare scritti da grandi figure, quali Beatrice di Nazareth, Hadewijch, Matilde di Magdeburgo, Margherita Porete. Il volume è inoltre dedicato alla mistica francescana, che si richiamava alla vita evangelica con un radicalismo inedito. Essa assunse veste letteraria nell’interpretazione della personalità straordinaria di Francesco ad opera dei suoi seguaci, in particolare nelle prime due generazioni dell’ordine. Ruh descrive qui la parabola iniziale percorsa da questo movimento che, se in origine aveva trovato un’espressione regionale nell’agiografia concentrata sul santo di Assisi, divenne poi letteratura di portata europea grazie all’impulso di Bonaventura, col suo innesto della grande tradizione patristica e della teologia monastica.
Kurt Ruh ha insegnato Filologia tedesca all’Università di Würzburg. È stato coeditore del "Verfasserlexicon" della letteratura tedesca medievale. Il primo volume della "Storia della mistica occidentale" ("Le basi patristiche e la teologia monastica del XII secolo") è stato pubblicato da Vita e Pensiero nel 1995. Sono previsti a completamento dell’opera altri due volumi.
"La violenza nel matrimonio in diritto canonico" - volume pubblicato per la prima volta da Vita e Pensiero nell'ormai lontano 1943 - costituisce l'opera più nota e di maggior respiro dedicata al Diritto della Chiesa da Giuseppe Dossetti, a quel tempo libero docente della materia nella Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si era formato alla scuola di Vincenzo Del Giudice dopo essersi laureato all'Università di Bologna con la guida di Cesare Magni. La sua riedizione è stata suggerita sia dalla volontà di rendere omaggio alla memoria dell'Autore, realizzando un suo espresso desiderio, sia da considerazioni di carattere propriamente scientifico. Infatti l'indagine di Dossetti mantiene intatta la sua validità come altissima lezione di metodo per la singolare capacità dell'allora giovane Autore di utilizzare e valorizzare le acquisizioni delle più diverse discipline giuridiche ai fini di un disegno di ricerca assolutamente armonico e coerente. E, nonostante la rilevante evoluzione dottrinale e disciplinare intervenuta nei decenni successivi alla sua prima pubblicazione, i risultati in essa conseguiti presentano ancora notevole interesse per chi debba misurarsi, come studioso o come operatore, con la legislazione canonica vigente in materia di vizi del consenso matrimoniale.
Marco ha scritto il più antico dei quattro vangeli che, in forza della sua essenzialità, è anche il più adatto per quanti cominciano ad accostarsi al Nuovo Testamento. Il racconto di Marco si snoda verso un duplice esito: la rivelazione del mistero di Gesù e la manifestazione di ciò che si trova nel cuore dell'uomo. La figura di Gesù tratteggiata dal primo evangelista è quella inaudita del Messia che instaura il regno di Dio attraverso l'estrema debolezza della croce. E di fronte alla morte del Figlio di Dio il cuore dell'uomo non può sottrarsi alla scelta tra fede e incredulità. Guidano il lettore in questo affascinante percorso l'introduzione e il commento del biblista Bruno Maggioni, acuto interprete della dimensione esistenziale del messaggio evangelico.
I temi qui trattati riguardano l'influsso che il linguaggio religioso esercita sulla comunicazione umana. La questione viene esaminata nei tre ambiti della preghiera, orale o a stampa, in dialetto o in lingua; dell'oratoria sacra, dal Cinquecento all'Ottocento; e delle relazioni estatiche, sotto le forme dell'autobiografia, del diario e della trascrizione in diretta dalla dizione orale. Il confronto tra preghiera, predicazione e dettame mistico chiarifica le caratteristiche del discorso religioso cristiano. Esso trova fondamento e norma nell'incarnazione del Verbo di Dio dentro la caducità e molteplicità delle lingue umane; perciò, ogni enunciato che abbia Dio quale termine od oggetto deve conformarsi al discorso che Dio ha usato per comunicare se stesso all'uomo. In particolare, i saggi di Giovanni Pozzi scandagliano il singolare rapporto dialettico tra oralità e scrittura che connota i diversi modi in cui la lingua cristiana si esprime. Tale dinamismo pertiene alla natura stessa della nostra tradizione religiosa, a partire dal suo documento d'origine, la Bibbia, che è scrittura generata da parole e insieme generatrice di parole.
Agli inizi dell’età moderna la Congregazione del Sant’Uffizio, da cui in Italia dipendevano i tribunali dell’Inquisizione, ebbe un ruolo preminente fra le organizzazioni create dalla Chiesa cattolica per riformare se stessa e contrastare la diffusione del protestantesimo. Tuttavia, malgrado l’abbondanza degli studi su Riforma e Controriforma e l’interesse attuale per questo periodo, l’Inquisizione romana spesso appare descritta a tinte fosche come esempio di arbitrarietà e orrori giudiziari, oppure prudentemente semplificata con generici accenni. Tale, dunque, il controverso oggetto dell’indagine svolta da John Tedeschi in questi saggi, frutto di una lunga attività di ricerca, condotta con rigore critico e precisione filologica. Proprio l’analisi scrupolosa di documenti originali, spesso inediti, e l’osservazione comparata del funzionamento dell’Inquisizione romana e della contemporanea giustizia secolare delineano un quadro ben diverso da quello tradizionalmente recepito, evidenziando i limiti di interpretazioni schematiche ormai sedimentate nell’immaginario collettivo. Procedendo sulla via del «restauro filologico» Tedeschi chiarisce equivoci e manipolazioni della terminologia inquisitoria (per esempio «abbruciare» letto al posto di «abiurare», «carcere perpetuo» anacronisticamente interpretato come carcere a vita) e indica alcuni fattori che possono aver contribuito al loro perpetuarsi. Si scopre così non solo la relativa mitezza delle pene comminate dall’Inquisizione romana, ma anche l’inaspettata modernità delle sue procedure. In esse, infatti, si ritrovano, seppure in forma embrionale, metodi e consuetudini che assai più tardi avrebbero fatto la loro comparsa nel diritto penale: la limitazione del ricorso alla pena di morte, la presenza di un «pubblico difensore», l’utilizzo di quelle che oggi definiremmo perizie, il diritto di appello a una corte di grado superiore, la prassi della libertà condizionata e persino degli arresti domiciliari. Così «se di giustizia in senso etico non si può parlare, si deve riconoscere che la giustizia in senso legale, nel contesto giurisprudenziale dell’Europa dell’inizio dell’età moderna, fu realmente erogata dall’Inquisizione romana». Questa la tesi sostenuta e argomentata da Tedeschi con una rigorosa operazione storiografica. Lontano dalla provocazione come da intenti apologetici, il suo lavoro, considerato tra le opere fondamentali sull’argomento, offre un contributo determinante alla revisione della «leggenda nera» dell’Inquisizione, che tanto pesantemente ha condizionato l’immagine del rapporto tra Chiesa e mondo moderno.
John Tedeschi è nato a Modena nel 1931 ed è emigrato negli Stati Uniti all’età di otto anni. Sin dai tempi dei suoi studi all’Università di Harvard, la sua attenzione si è concentrata sulla Riforma protestante italiana nel Cinquecento e sulle procedure dell’Inquisizione romana. È stato professore associato alle Università di Chicago, dell’Illinois a Chicago e del Wisconsin. Per quasi due decenni ha lavorato presso la Newberry Library, dove ha fondato il Center for Renaissance Studies. Ha ricoperto la carica di presidente della Society for Reformation Research (1971) e della Sixteenth Century Studies Conference (1987) e ha fatto parte del comitato esecutivo della Renaissance Society of America (1971-1996), nonché dei comitati scientifici di numerose pubblicazioni, tra cui il recentemente completato Index des livres interdits.
"Pinocchio", il libro più diffuso e tradotto nel mondo dopo la Bibbia e il Corano, è stato sottoposto nel corso di un secolo a interpretazioni numerosissime e molto diverse, da quelle pedagogiche e letterarie a quelle storico-politiche, semiologiche, psicoanalitiche ed esoteriche. Questo saggio cerca di dimostrare che è possibile rileggere oggi in modo innovativo il capolavoro di Collodi, facendone risaltare il carattere archetipico e insieme di grande attualità. L'esplorazione avviene con un approccio inconsueto e un metodo originale, ai bordi tra scienze sociali e critica letteraria, e sviluppa una continua attenzione al testo e alla sua sotterranea valenza simbolica e poetica. Singolare è la prospettiva interpretativa, che sottolinea l'ipotesi di Pinocchio come campione della velocità, con i significati e le implicazioni del suo continuo correre e saltare. Quattro gli argomenti fondamentali affrontati: il tempo, visto tra l'altro nei rimandi tra passato, presente e futuro; lo spazio e il territorio; il denaro, esaminato nella sua relazione con la fame e con il lavoro; la morte e la salvezza, con il richiamo ai temi della violenza, dei valori e delle virtù. Dopo un raffronto tra "Pinocchio" e "Il piccolo principe di Saint-Exupéry", il saggio si conclude ponendo in evidenza gli elementi lirici del racconto collodiano e ne indica in Pinocchio stesso, sorprendentemente, il polo poetico fondamentale.