Ilario di Poitiers è stato anche poeta. Suo è il Liber hymnorum, primo innario cristiano in lingua latina. Ilario lo compone negli ultimi anni di vita, e in esso riversa tutta la sua sensibilità culturale, molto arricchitasi negli anni di esilio in Oriente: validamente vi coniuga l'intelligenza della fede nicena e della polemica con gli ariani, la familiarità con la pagina biblica e l'evidente formazione retorica della scuola tradizionale. Così echi classici, citazioni scritturistiche, dichiarazioni conciliari si miscelano, accanto a veri neologismi linguistici; il Liber appare difatti segnato da una netta scelta di originalità e da una qualità poetica complessa, non oscurata dalla frammentarietà della tradizione. Questo volume si offre quale studio complessivo del Liber hymnorum, a un secolo dalla sua ultima edizione commentata. La struttura è in tre parti: introduzione, testo critico con traduzione e commento. Nell'introduzione è descritto il contesto storico-religioso, oltre che la pregressa innografia cristiana; vi si presentano poi le fonti e i criteri per la nuova edizione, una dettagliata analisi metrica, i temi teologici del Liber e le ipotesi di una sua resa liturgica. Il commento affronta, procedendo ad verbum, le questioni filologiche, di lingua e stile, di contenuto. E' così valorizzata una produzione poetica tanto singolare e significativa, prima del suo genere in Occidente.
Per le chiese cattoliche costruite tra la metà del Cinquecento e la metà del Novecento l'ispiratore era facile da individuare: il Concilio di Trento, anche se quel Concilio non aveva mai affrontato esplicitamente il tema dell'architettura. Fu San Carlo, con le sue Istruzioni, a orientare per secoli l'architettura religiosa nello spirito del Concilio tridentino. Per le chiese costruite nella seconda metà del Novecento la risposta è altrettanto facile: l'ispiratore è il Concilio Vaticano II. Da allora il tema dell'architettura delle chiese è stato ripreso da vari punti di vista. Per trasformare i sintetici motivi ispiratori del Concilio e i numerosi frammenti direttivi sparsi nei documenti post-conciliari in linee guida per i progettisti, alcune conferenze episcopali, specialmente in Europa, America e Australia, a più riprese, hanno pubblicato diversi documenti organici. Giancarlo Santi, in questo volume, ha ritenuto utile raccoglierli e tradurli in italiano, proponendone così anche una lettura complessiva.
Questo libro indaga le ragioni storiche che sostanziano la rappresentazione della passione e della crocefissione di Cristo nel Medioevo, a partire dall’epoca constantiniana sino alla spiritualità francescana. In linea con il magistero di Mario Apollonio, il saggio di Carla Bino propone una lettura del teatro passionista medievale come «drama», ossia come azione che accade in presenza, stabilisce relazioni e diviene esperienza. Lo studio prende in esame diverse modalità della rappresentazione connettendo l’arte figurativa, la letteratura poetica e meditativa, le cerimonie liturgiche sino alle prime forme drammatiche, analizzandone la funzione sullo sfondo del pensiero teologico e della spiritualità coevi. In questo quadro i diversi significati che la passione di Cristo assume nel corso dei secoli sono letti in rapporto al mutamento tanto dell’iconografia quanto della drammaturgia passionista, il cui ordine sembra influenzato dalle tecniche proprie della meditazione e rimanda da un lato alla funzione memorativa delle immagini e del rito, dall’altro al significato stesso della rappresentazione intesa come ripresentazione qui ed ora della realtà del sacrificio di Dio. Ne emerge la centralità della «drammaturgia delle lacrime» che, nel corso del XII secolo, esprime una sorta di rapporto parentale del fedele con Cristo mediato dalla presenza, del tutto nuova, della figura di Maria sulla scena del Golgota, cui sono connessi i mutamenti dello schema narrativo della passione sino alle prime forme di dramma passionista. Grazie al concetto di sequela proprio del francescanesimo il processo di rivoluzione drammaturgica si compie nel segno di un’identificazione mimetica che, insieme al senso profondo della storia, pone le basi per il realismo antispettacolare proprio del ‘teatro della misericordia’ dei laici, il quale, già in nuce nei riti e nelle pratiche devote delle confraternite del primo Trecento, fiorirà compiutamente solo verso la fine del secolo.
Carla Bino insegna Istituzioni di teatro e spettacolo e Teoriche del teatro all’Università Cattolica di Brescia. Laureata in letteratura greca con Diego Lanza con una tesi sulla drammaturgia di Aristofane, si è diplomata in drammaturgia con Renata Molinari. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia dello spettacolo sotto la guida di Siro Ferrone, Sara Mamone e Stefano Mazzoni, occupandosi della scenotecnica buontalentiana. Da anni si interessa alla drammaturgia laudistica tardo medievale e al teatro di Passione. È direttore artistico, insieme a Claudio Bernardi, di «Crucifixus-Festival di primavera», rassegna dedicata al teatro sacro. È autrice, con Roberto Tagliani, di Con le braccia in croce, la Regola e l’Officio della quaresima dei disciplini di Breno (Breno 2000, 2004) ed è curatrice, con Manuele Gragnolati, del numero monografico Il corpo passionato («Comunicazioni Sociali» 2003) e, con Claudio Bernardi, del volume Il corpo glorioso (Pisa 2006).