«Sorpreso sempre dalla presenza di Dio e sfidato costantemente dal dubbio sulla sua esistenza, la sua Parola è lampada per i miei passi, come dice il Salmo 118. Con questa luce guardo la realtà che mi circonda, ripenso ai giorni passati, vado incontro ai giorni futuri. La persona umana con le sue fatiche e le sue gioie, un po’ schiacciata da un tempo moderno che toglie il respiro e anche molto stimolata da orizzonti nuovi che si aprono con una velocità sconosciuta nel passato, mi colpisce, mi commuove, mi stimola. Guardo e ascolto, e mi lascio stupire da ciò che entra in me e anche da ciò che ne esce, quasi frutto di un seme che è entrato nel profondo della mia terra».
Un'opera di riferimento per lo studio della storia del XI secolo. IN PRIMA TRADUZIONE ITALIANA INTEGRALE. Il corpus delle opere di Pier Damiani (1007-1072) è del tutto eccezionale nel panorama della letteratura dell'XI secolo, sia per la quantità che per l'elegante qualità degli scritti. Essi rivestono un grande interesse prima di tutto per lo storico, in quanto sono ricchi di informazioni sull'Autore e sulla sua epoca. Nelle sue lettere, qui tradotte per la prima volta integralmente in italiano, affronta i temi più scottanti della sua epoca, in un momento di grandi rivolgimenti politici, economici, sociali e religiosi, mentre i tempi nuovi della civiltà Occidentale si affacciano con prepotenza. Nutrito di cultura letteraria e patristica eccezionale per il suo tempo, in questo gruppo di lettere affronta problemi teologici (l'onnipotenza di Dio), esegetici, di riforma monastica ed ecclesiale e di direzione spirituale (di rilievo le lettere alla imperatrice Agnese).
Prima traduzione italiana con testo critico greco a fronte. Basta scorrere l’indice del testo per intuirne l’originalità: 103 quesiti che spaziano dalla teologia all’astronomia, dalla filosofia alla teologia dogmatica, dall’esegesi biblica alla morale sessuale. Interrogativi sagaci, provocatori, talvolta sembrano oziosi, ma sempre attualissimi nella loro geniale eccentricità. Incuriosisce ulteriormente il fatto che a rispondere sia un monaco del VII secolo capace di argomentare con pari finezza speculativa su temi sacri e dubbi profani.
La vita monastica ha per sua stessa conformazione la continua necessità di rinnovare il proprio contatto con Dio. In un'epoca come l'attuale, così magnifica ma anche così complicata, il monachesimo e in particolare quello femminile benedettino che questo volume analizza, si dimostra come l'elemento profetico e unificante portatore dei fondamentali valori religiosi dell'uomo. Madre Monica Della Volpe si rivolge, in queste pagine, alle consorelle di Valserena in una sorta di dialogo materno nel quale tocca alcuni nodi particolari dell'argomento ed insegna l'autenticità del servizio a cui tutte loro sono chiamate. La vita comune, in particolare, deve essere spunto per una maturazione umana che tocca l'apice nell'incontro: incontro con la realtà del monastero e con gli insegnamenti della badessa che, infatti, non a caso diventa maestra di vita per novizie e consorelle.
E’ possibile vincere la tristezza, l’ira e la noia? Conoscere Dio è un obbiettivo alla nostra portata? E’ possibile sperimentare una pace duratura? Esistono amicizie che il tempo non riesce a distruggere? Possiamo tornare a stupirci delle meraviglie di questo mondo, come quando eravamo bambini? Il libro cerca di rispondere a queste domande, attingendo agli scritti di uno dei più importanti fondatori del monachesimo: san Cassiano.
In un mondo segnato dalla fretta e dalla superficialità, leggere pagine sulla contemplazione può essere un gesto controcorrente. E se sono pagine scritte da uno dei più celebri scrittori del Novecento, tale scelta sarà ripagata dalla scoperta di una profondità intellettuale di cui la piattezza di certa cultura contemporanea nemmeno sospetta l'esistenza. Mentre scriveva questi testi, Thomas Merton, il bohémien marxista diventato trappista, viveva ancora la scoperta della propria interiorità alla luce del mistero cristiano. E riversava in questo libro la ricchezza della propria meditazione sul senso della contemplazione: «La profonda, penetrante visione di una verità che ne abbraccia tutti gli elementi essenziali in un unico colpo d'occhio». A questo sono chiamati tutti i credenti: non solo frati, suore, preti o monaci, ma anche chi abita a Harlem o la casalinga presa dalle proprie faccende - sostiene il trappista americano. Contemplare vuol dire vedere Dio attraverso un'infinità carità che ci restituisce il dovere di un amore altrettanto infinito per ogni creatura. La contemplazione non è sinonimo di «raffinato estetismo spirituale» bensì la possibilità di «trovare Dio per vie ignote e impercettibili». In altre parole, resistere alla «bancarotta spirituale» dei tempi moderni. Leggere Thomas Merton, «un straordinario americano» secondo papa Francesco, vuol dire iniziare un viaggio verso la verità di Dio, il quale si nasconde (anche) dentro di noi.
Una tesi molto fortunata negli studi sul monachesimo sostiene che il tratto rilevante di questo modo di vivere sia la varietà, talmente ricca da renderne impossibile una storia unitaria. Questo libro vuole dimostrare il contrario: la storia della vita monastica fra tarda antichità ed epoca carolingia è sostanzialmente uniforme. Il monaco vive sempre in ville tardoantiche trasformate in monasteri, è alle prese con la difficile pratica della moderazione ed è guidato dalla norma universale della divisione del lavoro. Il testo illustra la vita monastica, il suo spazio d’azione, la lingua d’uso, le regole e gli esercizi ma anche i rapporti con le gerarchie ecclesiastiche e col potere civile, dal momento che i monaci, al contrario degli asceti, con i quali vengono spesso confusi, non sono in fuga dal mondo.
Non si può vivere senza regola
Nonostante la tarda antichità, e in particolare il V-VI secolo, sia considerata l’epoca d’oro della legislazione monastica sotto forma di regole, la maggior parte dei primi monaci d’Occidente non vive “sotto una regola”. Lo si può dedurre dalla ricorrente volontà degli autori di questi testi di sottolineare la diversità del vivere monastico e al contempo di intensificare gli sforzi per definire, regolare e controllare in modo sicuro l’attività monastica. La Regola del Maestro, ad esempio, che dedica una lunga discussione iniziale al problema dei monaci girovaghi, sopravvive in soli tre manoscritti e non sembra essere così capillarmente diffusa e conosciuta nel continente europeo nel periodo qui preso in considerazione. In generale, i manoscritti contenenti regole monastiche sono una quantità minima, in modo particolare fra VIII e IX secolo.
Di questa anarchia c’è traccia nella Vita di Martino, dove la vita del santo è contrapposta a quella dei semianacoreti. La stessa critica si legge nei Dialoghi, dove Sulpicio dice di pregare incessantemente nella sua stanza mentre gli altri, gli ospiti, continuano a parlare. È pertanto quantomeno azzardato affermare che la vita secondo una regola sia un tratto comune dei monaci tardoantichi e altomedievali d’Occidente. Si noti poi che, nella biografi a dello stesso padre della sistematizzazione regolare, Benedetto di Aniane, pare essere del tutto accettabile che, ancora fra VIII e IX secolo, ci siano uomini straordinari che ignorino questa forma di vita. Ardone racconta infatti che lo stesso Benedetto, intrapresa una pratica ascetica particolarmente dura, entra in contatto con due uomini valorosi, Attilio e Nebridio, i quali non conoscevano la possibilità di vivere sottoposti al controllo di una regola; nonostante questo, è lo stesso Benedetto a cercarli, soprattutto ogniqualvolta sente sorgere la tentazione. Nebridio non conosce regola, ma Benedetto non esita a ricorrere al suo aiuto e ai suoi consigli quando si sente vacillare. Benedetto, pertanto, scopre quasi per caso la possibilità di una vita regularis e, nonostante cerchi di uniformarsi alla regola del primo Benedetto, non disdegna la compagnia di uomini considerati di straordinaria santità. Anche Colombano, nonostante sia un “legislatore”, si chiede perché avvengano atti di insubordinazione da parte di alcuni che, infiammati dal desiderio di una vita più perfetta, lasciano la comunità e il giogo dell’abate per il deserto.
La prima condanna dei monaci che lasciano illecitamente il monastero è però più antica e si legge negli atti del Concilio di Calcedonia del 451. Il canone 4 decreta che tutti i monaci devono restare nel luogo dove hanno fatto la loro rinuncia al mondo e da qui non possono allontanarsi se non su indicazione del vescovo sotto la cui giurisdizione cade il monastero. Il canone 23 aggiunge: coloro che agiscono di propria iniziativa e interferiscono con la politica episcopale aggirandosi liberamente in città saranno perseguiti. Tutto questo è ribadito dalle disposizioni spurie aggiunte ai canoni del Concilio di Nicea del 325: chi lascia il monastero e va a vivere in città o in un villaggio come un laico, non può continuare a portare l’abito monastico, poiché tale azione getterebbe discredito sul buon nome dei “veri” monaci. Se a farlo è una donna, poi, la sua reputazione è definitivamente compromessa (Concilio di Ippona del 393). Qualche decennio dopo, al fuggitivo viene negata la comunione e l’accesso alla comunità dei fedeli (Concilio di Arles del 443).
Questa lunga lista di divieti prova quanto il monaco fuggitivo sia diffuso nella società tardoantica e medievale, sia a Oriente che a Occidente, e solo il meccanismo di razionalizzazione normativa consente di individuare, sanzionare e perseguire colui che non lo accetta, definendo il suo agire come deviante. Si noti il fronte comune fra potere civile e potere religioso sancito a Calcedonia: confinato nel suo monastero e sottomesso al vescovo, il monaco non deve turbare l’ordine e pertanto ogni atto di insubordinazione può essere rubricato come sedizione. La città mondana gli è interdetta.
L’uomo che viene cercato da Dio è colui che vive la sua storia, che sperimenta la sua libertà segnata dal peccato. E’ l’uomo trovato da Dio e che viene in aiuto, che sperimenta tutto l’amore con cui, da sempre, è amato da Dio.
Il presente volume vuole illustrare, attraverso l’opera di Andrè Louf, come questa debolezza dell’uomo è riconducibile alle parole dell’Apostolo: “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10)
La ricerca del silenzio, del tempo per la meditazione e la preghiera, sta diventando – nelle nostre vite rumorose e veloci – sempre più centrale. Il monaco benedettino John Main è stato tra i primi a prendere consapevolezza di questa necessità, comune a laici e religiosi, e alla preghiera e alla meditazione ha dedicato la sua esistenza, dando vita a un centro di spiritualità. Il successo fu così grande che le comunità si diffusero in tutto il mondo e si formarono numerosi gruppi di meditatori in contatto tra di loro e con i monaci di Montreal, dove tutto ebbe inizio.
Dal monastero canadese – grazie anche al lavoro di Laurence Freeman, successore di Main – è nata la World Community for Christian Meditation (WCCM) che è diventata un Monastero senza mura con membri in più di cento nazioni. In questo libro, oltre al racconto dell’esperienza di Main, sono raccolte le sue riflessioni sui temi della fede, della vita spirituale, della preghiera e dell’ascolto della Parola di Dio.
La solitudine dell’eremo, contiene la corrispondenza intercorsa tra Thomas Merton ed i diversi interlocutori, soprattutto Anselmo Giabbani, in riferimento all’idea e al desiderio del monaco trappista di un suo possibile “transitus” dall’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza alla Congregazione Camaldolese.
La corrispondenza si estende per un periodo di circa quattro anni (settembre 1952 – marzo 1956) per un totale di 36 lettere. La domanda centrale alla quale Merton cerca di dare una risposta, interpellando diversi personaggi ecclesiastici e del mondo monastico di quell’epoca, riguarda il desiderio di passaggio ad un ordine più “contemplativo” di quello in cui si trova.
I dubbi, i desideri, le delusioni, i tentativi di trovare una soluzione, i sogni e le varie risposte di coloro che cercano di aiutare l’animo tormentato di Merton convergono verso una soluzione diversa dal desiderio nascente del monaco dell’Abbazia del Gethsemani.
La corrispondenza oltre ad essere uno spaccato della ricerca interiore di Merton, è una fonte di notizie interessanti sul come si viveva la realtà dell’essere monaco negli anni precedenti al Concilio Vaticano II e sono, in alcuni momenti, preludio alle discussioni seguenti che animarono i Padri Conciliari intorno agli argomenti della vita religiosa, del sacerdozio, della vita monastica. E’ l’inizio di una riflessione che porterà il mono monastico ad un nuovo approccio alle tradizioni affascinanti della vita di solitudine.
Il contributo dell'ordine benedettino alla cultura e all'arte europee tra passato e futuro.
“Chi è quel giovane? Sento che ha bisogno di me”: così ha ini- zio un’intensa vicenda di paternità spirituale nella Romania del travagliato dopoguerra. In queste pagine viene esplicitato il senso profondo del ruolo che il padre spirituale svolge nella trasmissione della fede, anche in tempi e in situazioni in cui tutto sembra perduto. La vita spirituale si può solo ricevere da un padre, cioè da qualcuno che già la possiede e che accetta di farsi docile strumento dello Spirito santo. Dall’appassionato intreccio di ricordi personali e di elementi fondanti della tradizione ortodossa si di- schiude un vero e proprio testamento spirituale che padre Ioann il Forestiero, luminosa figura di starec, lasciò ai suoi discepoli prima dell’ultimo esilio in Siberia.