Il moltiplicarsi di conflitti a cui assistiamo da tempo sembra sfociato in un tragico disordine globale. Una guerra in piena Europa e il drammatico riacutizzarsi della crisi in Medio Oriente hanno contribuito alla percezione che la realtà che ci circonda sia sempre più caotica e incontrollabile. Ma è mai esistito nella storia un momento di pace, ovvero di totale assenza di conflitti? E un «nuovo ordine mondiale» che porti benessere e stabilità è possibile o è solo un'evocazione con cui si cerca di placare l'ansia e la paura provocate dal pericolo di una possibile terza guerra mondiale? Manlio Graziano, esperto di geopolitica e professore a SciencesPo e alla Sorbona, esplora queste domande tracciando paralleli illuminanti tra l'attualità e alcuni momenti chiave della storia moderna. Dalla Guerra dei trent'anni conclusa con la pace di Westfalia, alle guerre napoleoniche suggellate dal Congresso di Vienna, fino alla Seconda guerra mondiale e al successivo bipolarismo garantito da Stati Uniti e Unione Sovietica, la «pace» non è stata altro che l'ordine imposto dalle potenze vincitrici agli sconfitti. Tra la fine del secolo scorso e l'inizio del ventunesimo secolo, tuttavia, la dissoluzione dell'Unione Sovietica, combinata all'ascesa della Cina e di altri paesi in via di sviluppo, ha spalancato le porte al multipolarismo: un sistema per sua natura instabile, caratterizzato dal costante slittamento dei rapporti di forza tra i vari attori internazionali. Gli Stati Uniti stanno oggi perdendo quel che resta della loro egemonia stabilizzatrice, e nessuno può sperare di prenderne il posto senza alimentare, estendere e approfondire il disordine che ormai dilaga sotto i nostri occhi. Il carattere caotico e conflittuale della politica mondiale è dunque destinato a durare. Solo con questa consapevolezza possiamo affrontare le sfide che ci attendono negli anni a venire.
L'intento di questo libro, scritto a più mani, è anche quello di offrire ulteriori contributi di riflessione per far comprendere meglio "la terza guerra mondiale a pezzetti", per uscire da un sistema di guerra e costruire una economia di pace. Vi si affrontano anche altri conflitti, di tipo economico, finanziario e in diversi luoghi della terra, in particolare il conflitto arabo-israeliano.
Viviamo un’epoca nella quale emergono tutti i nodi del modello dominante: la crisi climatica, la guerra, l'eclissi della democrazia, dell'uguaglianza e della giustizia. La speranza degli autori e dei curatori del volume è quella di offrire piste per uscire dalla guerra e costruire una economia di pace nonviolenta, attraverso una risposta globale, per liberare la mente e il pianeta, superando la retorica della sicurezza. La pace disarmata è il nuovo paradigma della politica. Esercitarsi a vedere il conflitto anche quando non fa rumore è il primo passo da intraprendere.
Di fronte alle difficoltà ricorrenti della storia del processo di integrazione, alle crisi che spesso si sono rivelate occasioni di salti di qualità, ci vogliono energie molteplici e plurali. Ma ci vuole soprattutto la coscienza di un'opinione pubblica informata, attiva, consapevole e determinata. Saremo noi cittadini, eventualmente, a forzare la nascita di un’Europa più rispondente alla sua missione. L'Europa, del resto, non è non è mai stata un dato di fatto, un presupposto, una ovvietà, perché il senso dell'integrazione europea è nell’essere un progetto per il futuro, l'immaginazione
di un percorso nuovo.
(dalla Prefazione di Guido Formigoni)
In questo libro, pubblicato nel 1921, Carl Schmitt mette a punto l'aspetto decisionistico del suo pensiero affrontando il nesso fra politica e diritto, fra eccezione e norma. La dittatura è infatti un istituto giuridico che mostra apertamente la sua origine politica, tanto come dittatura commissaria, in cui il dittatore ha come obiettivo la difesa extralegale di un ordinamento minacciato, quanto come dittatura sovrana, in cui il dittatore costruisce un ordine nuovo sulle macerie di un ordine distrutto. In questa seconda accezione, che equivale al potere costituente, si rivela il cuore del decisionismo. Muovendo dall'analisi della prassi dei commissari governativi fino al Settecento e della dittatura di Cromwell e del giacobinismo, Schmitt giunge a trattare il celebre articolo 48 della Costituzione di Weimar sullo stato d'emergenza, per accostarsi infine alla rivoluzione russa guidata da Lenin come a una dittatura sovrana. La presentazione di Carlo Galli contestualizza l'opera nella produzione dell'autore, mostrandone anche i tratti di tenace contemporaneità.
Siamo in grado di vincere la sfida climatica? La transizione ecologica è possibile? L'intelligenza artificiale ucciderà il lavoro? Il voto col portafoglio può cambiare il mondo? Il paradigma economico può essere riformato? Una trasformazione della politica in Italia è attuabile? E i social media alimentano il dibattito o lo avvelenano? Sono tutte domande per le quali non esiste una risposta giusta, se non quella di rimetterci in gioco, di tornare a fare della democrazia non un diritto acquisito, ma una conquista quotidiana. Un sistema sociale ed economico che produce povertà, insostenibilità ambientale e diseguaglianze sociali minaccia l'essenza stessa della nostra democrazia. Inutile aspettare Godot e invocare sovrani illuminati, mani invisibili o soluzioni dall'alto. La felicità esiste ma è un esercizio faticoso. L'impegno alla partecipazione, alla cittadinanza attiva, alla costruzione di relazioni e comunità è la via da percorrere per ottenere soddisfazione e ricchezza di significato della nostra vita e anche la soluzione a molti dei maggiori problemi odierni. Come dipanando un ideale filo di Arianna, Leonardo Becchetti ci suggerisce una strada per un nuovo paradigma economico nel quale diventare padroni e non vittime delle incredibili potenzialità dei nostri giorni.
Settant'anni fa, il 19 agosto 1954, moriva Alcide De Gasperi, il più grande statista dell'Italia repubblicana, che seppe ottenere la riammissione dignitosa dell'Italia nel consesso delle nazioni dopo i disastri e le umiliazioni della guerra e coinvolgere le diverse forze politiche nella straordinaria stagione ricostruttiva del dopoguerra. De Gasperi, che amava definirsi servus inutilis, era animato da una profonda fede che lo sostenne nei lunghi anni della sofferenza, sotto il regime fascista, e ne ispirò l'agire politico, alimentando uno sguardo positivo sulla storia e la capacità di impegnarsi per il bene comune. Il volume mette in luce i princìpi che sono sempre stati sua fonte di ispirazione, gli insegnamenti morali, culturali e politici che ha lasciato in eredità, l'impegno da Presidente del Consiglio per costruire un'Italia libera e solidale, che mettesse al centro la dignità della persona umana e attuasse la giustizia sociale, in un contesto di pace. Di qui l'impegno per costruire un ordine internazionale giusto, che favorisse la concordia e l'amicizia tra i popoli, in particolare quelli europei. De Gasperi fu un vero uomo e un vero cristiano che visse la politica come servizio al bene comune. Per questo è l'unico padre della Repubblica realmente rispettato da tutti e il suo esempio ha ancora tanto da dire alla politica e alla società di oggi.
Nel 1964 Norberto Bobbio decide di dedicare le sue lezioni di filosofia del diritto al tema della guerra e della pace. Un tema - non nuovo nella riflessione dei giuristi e dei politologi ma poco frequentato nei corsi universitari - che a Bobbio pare meritevole di essere trattato, non solo perché adatto a una ricostruzione storica e teorica di ampio respiro ma soprattutto perché reso urgente dal pericolo della guerra atomica, nel pieno della crisi dei missili di Cuba. Il libro espone e discute le varie teorie con cui nella storia si è tentato di giustificare la guerra e le diverse correnti pacifiste che hanno cercato di superarla, di ciascuna mettendo in luce gli argomenti, le incongruenze, i punti di forza e gli elementi di debolezza. Qui Bobbio avanza la sua celebre tesi circa l'impossibilità di giustificare la guerra in un'epoca in cui l'uso di armi così potenti rischia di mettere in questione la stessa sopravvivenza del genere umano. Un testo destinato a diventare imprescindibile rispetto a un dibattito contemporaneo spesso non all'altezza della drammaticità dei tempi che viviamo.
Dopo il 1989, con il superamento del mondo diviso in blocchi, ci si aspettava il trionfo della democrazia. E invece assistiamo al trionfo di un capitalismo in pieno delirio di onnipotenza, cui fa da contraltare la ritirata dello stato democratico: graduale distruzione del welfare, abbandono delle lotte per i diritti, crescita esponenziale delle diseguaglianze. A un secolo dalle guerre mondiali, l'attacco scatenato da Putin il 24 febbraio 2022 sembra aver riportato il mondo sull'orlo di un nuovo conflitto globale. E altre tragedie si stanno consumando intorno al nodo irrisolto tra Israele e Palestina. Poco o nulla del contesto odierno, tuttavia, ha a che vedere con il mondo del passato; e non si possono interpretare gli eventi odierni appellandosi a vecchie categorie. L'invasione dell'Ucraina, ad esempio, va considerata come una conseguenza della globalizzazione fuori controllo e si inserisce nel filone delle 'nuove guerre', che vedono protagonisti - insieme alle forze armate tradizionali - mercenari, terroristi, mafiosi e nelle quali la logica privatistica del mercato si fa gioco delle ideologie. Il tempo è quasi scaduto: le democrazie devono riprendere terreno sul 'capitalismo di sangue', consapevoli del fatto che una guerra globale renderebbe inutile il capitalismo stesso.
«Con l'attentato del 7 ottobre, Hamas ha voluto disumanizzare il nemico. Se decapiti i bambini, vuoi costringere Israele a una rappresaglia così dura da provocare la rivolta delle masse arabe.» È quanto ha detto Giorgia Meloni a Bruno Vespa in un lungo colloquio sull'Italia di oggi, «un'Italia nel mondo, perché ho scoperto che qualunque cosa accada in qualunque posto riguarda anche noi». Questo libro si apre con il racconto delle settimane immediatamente successive al massacro compiuto dai terroristi palestinesi in Israele, ai confini con la Striscia di Gaza, con atrocità persino più agghiaccianti delle orribili pagine dell'Olocausto. E spiega perché si è arrivati a un punto cieco, ripercorrendo settantacinque anni di occasioni perdute, dal 1948 a oggi. Se Hamas (e non è il solo) vuole cancellare Israele, Putin continua a voler cancellare l'Ucraina, con una guerra che ha fatto ormai centinaia di migliaia di morti e di cui non si vede la fine. I colloqui dell'autore con Volodymyr Zelenskyi e con gli ultimi due ambasciatori russi a Roma chiariscono i dettagli di posizioni inconciliabili. Vespa narra ottant'anni di storia italiana intrisi di odio e rancore. Nel nostro paese la guerra civile non finì il 25 aprile 1945 ma nel giugno 1949, perché per tre anni dopo il silenzio delle armi ci fu una spietata caccia al fascista, a quelli che si erano macchiati di sangue e a quelli che non c'entravano niente, fino alla pulizia etnica di Tito e alle tragiche vicende dell'esodo giuliano-dalmata. Ferite non rimarginate, se è ancora impossibile celebrare messe condivise e si premiano partigiani eroici in guerra ma colpevoli di stragi nefandissime, compiute per puro odio o sentimento di vendetta. Esemplare il racconto di Anna Vescovi, che ha voluto stringere la mano all'assassino di suo padre settantacinque anni dopo il delitto, e l'ha visto sparire alla pubblicazione del suo libro di memorie. La parte di attualità si apre con due capitoli dedicati a Silvio Berlusconi. Il primo ricostruisce un trentennio di vita italiana attraverso gli incontri dell'autore con il Cavaliere. Nel secondo parlano tutti insieme i suoi cinque figli e, per la prima volta, Marta Fascina, la compagna inseparabile degli ultimi anni. Seguono le conversazioni con tutti i leader politici. Giorgia Meloni e il suo tentativo di liberare una nazione bloccata da corporazioni e interessi particolari, e di giocare un ruolo centrale in Europa. Matteo Salvini, diviso tra grandi opere pubbliche e incessante lotta all'immigrazione clandestina. Antonio Tajani e il rilancio di Forza Italia nel solco e nel ricordo di Berlusconi. Giuseppe Conte e il suo gioco a sinistra in concorrenza con Elly Schlein, che descrive a Vespa la sua nuova idea di Partito democratico. Matteo Renzi e Carlo Calenda, ormai arrivati alla scissione definitiva. Storia e storie di ieri e di oggi, unite in un incalzante racconto in presa diretta.
Trentatré anni fa, si apriva la Seconda Repubblica. Eravamo tutti lì a festeggiare la fine, insieme al sistema proporzionale, di un lungo periodo di politica asfittica e corrotta. Credevamo di entrare in una nuova era di modernità e dinamismo, ma le cose non sono andate come speravamo. In questi trent'anni tutti gli indicatori economici, sociali, culturali italiani sono peggiorati rispetto ai grandi paesi europei. Il numero di cittadini che votano e partecipano alla vita politica si è ridotto drasticamente. Nessuna riforma incisiva è stata varata. I salari reali italiani hanno perso il due per cento contro un aumento superiore al trenta per cento in Francia e Germania. Abbiamo letteralmente buttato trent'anni - lo dicono i numeri e le tendenze, che non sono né di destra, né di sinistra - e continuiamo a perdere tempo in una battaglia tribale che nulla ha a che vedere con il senso più alto della politica. In questo vuoto ultradecennale di governo, i protagonisti del dibattito pubblico hanno preso la forma di "poteri storti": l'occupazione della Rai e dei giornali, la scomparsa della forza di rappresentanza dei sindacati e di Confindustria, le influenti signorie locali dei governatori regionali, l'ego smisurato di leader politici che si circondano di circoli magici e guardano al loro particolare più che al bene dell'Italia. La Seconda Repubblica ha mostrato tutti i suoi limiti, ora è tempo di un nuovo Patto per riformare il paese, che non potrà essere un lavoro di parte, ma un percorso unificante nello spirito repubblicano dettato dalla Costituzione. Nella nostra Carta, c'è tutto quello che occorre per uscire dall'impasse italiana - identità nazionale, diritti civili, doveri civici, strumenti per aggiornare l'ordinamento dello stato -, tocca a noi, ora, avere il coraggio di cambiare.
Gli autori ricostruiscono il contesto, i contenuti, il lascito e le possibilità di rilancio del più coraggioso tentativo di reinventare il fragile Stato italiano secondo il modello delle scienze aziendali: separazione tra indirizzo (politico) e attuazione (amministrativa), autonomia e responsabilità della dirigenza, contabilità economica analitica per centri di costo, reingegnerizzazione digitale e uso dei big data, "privatizzazione" del rapporto di lavoro, normali relazioni sindacali fondate sul "buon datore di lavoro".
Giorgio La Pira, uomo di ardente fede, profeta di pace, politico, è stato un mistico prestato alla politica e di cui il 9 gennaio 2024 ricorrono i 120 anni dalla nascita a Pozzallo, nel sud della Sicilia. Nel luglio 1918 papa Francesco ha concesso l'autorizzazione alla Congregazione delle cause dei santi per promulgare il decreto sulle sue virtù eroiche di servo di Dio. I testi pubblicati in queste pagine tracciano idealmente il percorso umano, religioso e politico di Giorgio La Pira, uomo di eccezionale cultura e di profonda vita spirituale, che fu membro dell'Assemblea costituente, deputato nella prima Legislatura, sottosegretario al ministero del Lavoro e sindaco di Firenze. In un XXI secolo dominato dalle guerre - anche in Europa - i suoi interrogativi e le sue prospettive assumono un interesse nuovo. La freschezza e la forza della sua testimonianza sono un'utile bussola per tutti noi che abbiamo bisogno di orientamento per la nostra vita personale e di cittadini. Con testi di La Pira e contributi di: Patrizia Giunti (presidente Fondazione Giorgio La Pira), Giovanni Spinoso e Claudio Turrini, Padre Gianni Festa, Piero Meucci e Mario Primicerio, Andrea Riccardi, Agostino Giovagnoli.