In questo fondamentale studio - definito dal «Times Literary Supplement» «impressionante per la padronanza dell'argomento e l'originalità delle tesi» - Christopher Dawson sostiene che i cosiddetti «Secoli Bui», il periodo storico che va dal IV all'XI secolo, non furono affatto uno sterile preludio all'energia creativa sprigionatasi dopo l'anno Mille. Al contrario, l'Alto Medioevo andrebbe descritto come un'età di rinascita perché fu allora che la complessa interazione tra l'Impero romano, la Chiesa cristiana, la tradizione classica e le società barbariche determinò la genesi di un'unitaria e vitale cultura europea. Scrivendo nel 1932, nel pieno di una profonda crisi europea - insieme culturale, politica, morale ed economica - nella quale le forze nazionalistiche sembravano aver vinto la battaglia delle idee, Dawson sosteneva che «se la nostra civiltà vuole sopravvivere è necessario che sviluppi una coscienza europea comune e la consapevolezza di una unità storica e organica». Dawson aveva chiaro che quell'unità richiedeva però soluzioni ben diverse da quelle imposte dai movimenti politici al potere e dalle teorie economiche che andavano per la maggiore. Era necessario - allora come oggi, verrebbe da dire - che l'Europa riscoprisse le proprie radici cristiane e con esse - e come loro conseguenza - l'aspirazione all'universalismo, contro ogni nazionalismo e ogni protezionismo.
Che cosa lega Caporetto a Baghdad? Apparentemente poco o nulla, in realtà molto. Questo libro racchiude le cronache, i pensieri, i confronti tra gli eventi bellici avvenuti nel 1914-18 e le situazioni, le problematiche incontrate da un inviato nelle guerre contemporanee. Ci sono le visite ai vecchi campi di battaglia in Francia, Belgio, Germania, sulle Alpi, ma anche i continui rimandi ai conflitti tra Israele e il mondo arabo, assieme agli scenari siriano, iracheno, afghano, libico degli ultimi anni e soprattutto agli episodi salienti delle recenti sfide lanciate dal "Califfato". Si mette in luce quanto rilevanti siano tutt'ora in Medio Oriente i confini disegnati dalle potenze coloniali dopo la Prima guerra mondiale e l'importanza odierna dei gruppi, ideologie e movimenti che vorrebbero abbatterli per sempre. Una proposta di riflessione sulla guerra, le sue dinamiche, le sue conseguenze, per un pubblico europeo che in generale la vorrebbe rifuggire, ma ne è inevitabilmente circondato, se non coinvolto direttamente.
Apparso a Parigi nel 1935, questo libro è stato tra i primi che abbia detto alcune essenziali verità su Stalin. E le ha dette così presto, e con tale nettezza, che la sua presenza ha accompagnato come un'ombra gli ultimi vent'anni di vita del capo sovietico. Le ha dette, inoltre, per bocca di uno storico che era stato segretario della Terza Internazionale, uno dei fondatori del Partito Comunista Francese e infine amico e compagno di Simone Weil nelle lotte del sindacalismo rivoluzionario in Francia.
Teodolinda, regina dei Longobardi, era gloriosissima già per i suoi contemporanei. Le pagine che le dedica Paolo Diacono la circondano di un fascino sconosciuto alle altre regine di quel popolo. A Monza, città cui è particolarmente legata la sua memoria, poco mancò, in passato, che venisse considerata una santa. D'altro canto, Teodolinda non fu solo «la regina che convertì i Longobardi al cattolicesimo» con la collaborazione di papa Gregorio Magno. Teodolinda era sì cattolica, ma scismatica, tranne, forse, verso la fine della sua vita; per questo motivo, la sua collaborazione con il Papa si svolse sostanzialmente sul piano politico. Il carteggio tra lei e il Pontefice, riportato in appendice, rivela un rapporto estremamente complesso, legato anche al ruolo della donna nell'antica cultura germanica. Ma Teodolinda non fu solo questo. Svolse un ruolo politico attivo, prima a fianco del marito Agilulfo, poi da sola quando, in qualità di reggente, governò il Regno longobardo per alcuni anni, dialogando con le maggiori personalità del suo tempo e godendo di prestigio internazionale.
I generali di Hitler che guidarono la Wehrmacht durante la seconda guerra mondiale furono nel loro insieme probabilmente i migliori comandanti che una forza combattente abbia mai avuto. Ma, nonostante le indubbie capacità, non riuscirono a evitare la sconfitta della Germania. Questo libro racconta la storia di più di centoventi di loro, tra feldmarescialli e generali dell'esercito, della Marina, dell'Aeronautica e delle Waffen SS. La vita, le battaglie, le vittorie, le sconfitte, i crimini, la prigionia e la morte di uomini che diedero tutto per la patria ma che si dannarono per obbedire a Hitler. Un testo completo di mappe delle campagne militari, delle descrizioni delle uniformi, dei gradi e delle onorificenze e dell'elenco dei 1149 generali che prestarono servizio nelle forze armate tedesche durante il nazismo.
La prima battaglia documentabile deve essere avvenuta attorno al 1350 a.C. e riguarda un certo Abdi-Heba, piccolo monarca di una località che gli egizi chiamano Urushalim, sulle colline oltre il deserto al di là del Mar Rosso; il re probabilmente viene circondato da qualche popolo cananeo e chiede aiuto al faraone, implorando: "Sono come una nave nel mezzo del mare!". È la prima volta che viene scritto, ma la sindrome da accerchiamento si ripeterà ancora e ancora, molte volte nel corso dei secoli, sulle colline di Yerushalàim, Jerusalem, Al Quds "la santa". La prima conquista documentata della città è quella di re Davide, mille anni prima dell'era volgare, e da lì in poi non passerà secolo, spesso neppure decennio, senza che qualcuno abbia combattuto attorno alle mura della città. Verrà Hazael, re di Aram, Sennacherib l'assiro e Nabucodònosor il babilonese; verrà Tolomeo, poi Antioco, i maccabei e Ircano; verranno i parti e Erode, Tito e poi Adriano; verrà il califfo Umar, poi gli abbasidi e a seguire i fatimidi; verranno i selgiuchidi e i crociati, Saladino e Federico II, i damasceni, i mongoli e i mamelucchi; verranno gli ottomani e poi gli inglesi del generale Allenby con i primi carri armati; fino a giungere ai giorni nostri e agli scontri sanguinosi tra israeliani e palestinesi. Sullo sfondo di tutto ciò c'è la città che il salmista chiama "città della pace", il simbolo sfortunato di troppi interessi e di infinite contese, la città "d'oro, di rame e di luce" cantata in una celebre canzone.
Un confronto serrato sul valore della conoscenza e della storia tra due maestri del nostro tempo. "La lotta contro la storia evenemenziale ha cambiato tutto. Sappiamo ora che l'evento non è creato dalla storia ma dallo storico. Da una parte, lo storico crea l'evento. Dall'altra parte sappiamo ora che esiste un evento nuovo. Le tecniche di produzione degli eventi sono profondamente cambiate da oltre mezzo secolo. Col giornalismo, ma soprattutto con la televisione, la produzione dell'evento è del tutto nuova. Esiste un evento nuovo per il quale servono nuovi modi di fare storia." (Jacques Le Goff). "Noi poniamo all'oggetto dei nostri studi le domande che il presente pone a noi. È per questo che esiste una storia degli avvenimenti storici: ogni periodo li vede in maniera differente, perché si modifica l'orizzonte di riflessione" (Jean-Pierre Vernant).
Nel diritto l'interpretazione segue regole ben definite e implica operazioni che riflettono la cultura dell'interprete. È un vero e proprio «processo ermeneutico» in cui vi è ampio margine di libertà e di discrezionalità anche se l'interprete si deve uniformare ai canoni stabiliti dalla «comunità ermeneutica», dal legislatore e dalla tradizione. Per l'interprete è fondamentale poi attenersi ai valori della Costituzione, della Carta europea dei diritti fondamentali e della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti umani. A partire da questo contesto, l'autore affronta temi essenziali per la formazione culturale del giurista e, in senso ampio, del cittadino (identità e dignità umana, solidarietà, diritto naturale e storia, law and economics, il rischio d'impresa...).
Novant'anni fa, il 1° febbraio 1927, s'insediava a Roma, nell'Aula IV del Palazzo di Giustizia, il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, un organo composto da magistrati e giudici in camicia nera reclutati tra gli squadristi. Mussolini, dopo il discorso del 3 gennaio 1925 e l'introduzione delle «leggi fascistissime» - che avevano soppresso la libertà di stampa, di associazione e il diritto allo sciopero -, mostrava il suo vero volto, quello di un dittatore disposto ormai a tutto. Per i nemici del regime, ma anche per i semplici cittadini che osavano criticarlo, non c'era più spazio per il dissenso. Anzi, non c'era più spazio per la libertà. Agli imputati, condotti di fronte alla corte e rinchiusi in un gabbione, non rimaneva che attendere il verdetto: d'altra parte, come potevano difendersi se l'istruttoria era segreta? Fino al luglio 1943 la magistratura, sottoposta agli ordini del duce, processerà migliaia di oppositori politici (tra loro, Antonio Gramsci, Umberto Terracini, Altiero Spinelli, Sandro Pertini, solo per citarne alcuni) e persone comuni, accusate di spionaggio, contrabbando valutario, mercato nero... Le condanne a morte, mediante fucilazione alla schiena, saranno un'ottantina. Eppure, la storia del Tribunale speciale dello Stato è rimasta sostanzialmente sconosciuta. Poco studiata. Persino l'imponente biografia mussoliniana di Renzo De Felice, punto di riferimento irrinunciabile per chiunque si occupi del Ventennio, gli dedica meno di due pagine. Il libro di Mimmo Franzinelli, basato su fonti d'archivio sinora inesplorate, riempie questo «vuoto», e lo fa documentando attività e funzioni del Tribunale, svelando l'intreccio tra persecutori e perseguitati, raccontando i segreti, assai poco commendevoli, della magistratura di regime: gli scandali su cui fu imposto il silenzio, le ruberie dei giudici, la corruzione degli avvocati, le sentenze palesemente truccate, la terribile situazione in cui vennero a trovarsi le donne, vittime di una giustizia ferocemente maschilista (il solo essere figlia, sorella o moglie di un sovversivo comportava l'arresto, senza riscontri oggettivi di reato). Ma Franzinelli dedica pagine efficaci, ricche di dettagli e informazioni, anche ad altri aspetti, non meno inquietanti, dell'intera vicenda, come il potenziamento del Tribunale speciale durante la seconda guerra mondiale e, soprattutto, il colpo di spugna che dopo il 1945 «perdonerà» quasi tutti i responsabili. In nome della continuità dello Stato, si doveva archiviare (e dimenticare) un passato troppo scomodo.
Tra i tanti tipi di sogno, per secoli ve n'è stato uno che tutti gli uomini hanno equamente condiviso: il senso della scoperta e del superamento dei limiti geografici, sfidati spingendo imbarcazioni in acque ignote, studiando venti e correnti, superando deserti e montagne. Uno spirito che oggi non possiamo più coltivare dato che quasi tutto è stato esplorato, cartografato, mappato. Permeato dalla sottile nostalgia e dalla fascinazione per quello stupore ormai perduto, il volume rivisita le grandi memorie di viaggio, da quelle celeberrime di Marco Polo a quelle, meno note ma avvincenti, del monaco buddista cinese che nel 600 d.C. intraprese un viaggio verso l'India, oppure del più grande viaggiatore musulmano che attorno al 1300 d.C. si avventurò in Africa, India e Cina - per poi dedicarsi agli esploratori più "occidentali". Tutti tasselli di un racconto unitario, dove la terra si fa poco a poco più piccola e dove la conoscenza pare progressivamente chiudersi in spazi sempre più stretti. Ma nessuna storia del libro finisce con una resa: se è vero che la scoperta ci è sempre più negata, è vero che le possibilità della fantasia sono ancora infinite.
Nel nostro tempo sentiamo parlare dei pirati che infestano alcune coste dell'Oceano Indiano e la nostra memoria si rivolge facilmente alla pirateria classica in età moderna. Questo libro risale ben più indietro nella storia e racconta la prima lotta documentata tra uno Stato e i banditi del mare: i pirati contro Roma. La fine della Repubblica coincise per Roma con un incremento dello sforzo per il controllo delle coste del Mediterraneo. Si trattava non solo di confrontarsi con una perenne e storica piccola interferenza di navi di poco conto, ma di domare un nuovo e virulento fenomeno: sulle coste desolate dell'Anatolia, in Cilicia, nasce una pirateria fatta non di individui ma di popoli interi, con città, porti e arsenali. Questa insidia si combinò alle altre difficoltà dello Stato romano, per diventare nel I secolo avanti Cristo un fattore determinante nelle carriere di uomini come Pompeo e Cesare, che si misurarono contro i predoni del mare senza esclusione di colpi, con cinismo e con grande attenzione alla comunicazione nei confronti dell'opinione pubblica in patria. A partire da una rigorosa disamina storiografica, l'opera racconta i viaggi, le navi e i tesori dei pirati del Mediterraneo, accompagnando a quest'analisi il racconto degli sforzi del Senato romano per eliminare gli irriducibili predoni della Cilicia.
II cofanetto riunisce i due studi di Michael Pitassi dedicati alle flotte di Roma e alle navi da guerra di Roma. In queste due opere vengono esaminati tutti gli aspetti dell'affermazione marittima romana, ripercorrendo le vicende belliche, l'utilizzo strategico e gli aspetti tecnici della navigazione, nell'ampio arco di secoli tra le guerre puniche e la fine dell'Impero.