Per molti anni abbiamo sentito parlare di "declino dell'industria" e di "primato dei servizi", come se le uniche risorse in grado di garantire un futuro all'Italia fossero offerte dalla finanza, dall'hi-tech, dal turismo o dalla genialità di qualche stilista: un Paese di moda, banche e grand hotel. Addio fabbriche, addio "anima meccanica" che ci aveva accompagnato negli anni del boom economico. Adesso, però, nel ciclone della più profonda crisi economica internazionale del dopoguerra, ci si accorge con sorpresa che, nonostante tutto, il punto di forza della nostra economia resta proprio la manifattura. Antonio Calabrò racconta che l'Italia rimane un grande Paese industriale, il secondo d'Europa. E in un viaggio alla scoperta della parte più vitale dell'imprenditoria italiana, mette in luce dati, fatti e personaggi, spiegando come considerare con occhi nuovi un settore della nostra economia che tanto spesso è stato sottovalutato. L'industria media e medio-grande, protagonista del cosiddetto "quarto capitalismo", è un esercito di 4600 aziende all'avanguardia sul piano dell'innovazione, in grado di conquistare la leadership su tutti i mercati internazionali. Si tratta di imprese che creano occupazione e sviluppo, cardine di un tessuto produttivo diffuso di centinaia di migliaia di piccole aziende, dinamiche, spesso finanziariamente solide, aperte al mondo che cambia.
Perché?
Nulla di scientifico, nulla di impegnativo, in queste poche pagine. Solo il tentativo di rispondere con semplicità alle domande dei semplici: «Ma come è potuto capitare?». All’altra domanda: «E adesso che cosa fare?» la risposta è incerta, ma la intuiamo: «Fare il contrario di quel che si è fatto sino ad ora». Regole dove c’era sregolatezza. Redistribuzione a rovescio, a carico di chi ha profittato. Solo che noi “piccoli” non abbiamo gli strumenti per attuarla. Gli strumenti li hanno i politici: i quali – è stato detto – «sanno benissimo che cosa andrebbe fatto; ma non sanno come fare a farsi rieleggere qualora lo facessero». Allora?
Elvio Fassone nato a Torino nel 1938, ha svolto il compito di magistrato a Pinerolo ed a Torino, dove ha rivestito l’incarico di consigliere della Corte d’Appello, e poi di presidente della Corte d’Assise. È stato membro del Consiglio superiore della magistratura negli anni 1990-1994. È stato eletto al Senato della Repubblica nel 1996 e nel 2001. Ivi ha fatto parte della Commissione Giustizia e, dal 2001 al 2006, è stato vice-presidente della Giunta per le immunità parlamentari. È autore di circa 90 pubblicazioni in materia processual-penale e penitenziaria, edite da Il Mulino, CEDAM, Giuffrè ed altre editrici. Ha collaborato e collabora con le principali riviste specializzate del settore.
Fino a pochi anni fa, gli italiani erano un popolo di risparmiatori. Oggi non più. Il primo colpo è arrivato, grazie alla implicita delle banche, con l'insolvenza dei bond argentini, le bancarotte di Cirio Parmalat, l'agonia di Alitalia, che hanno "tosato" decine di migliaia di famiglie, un'altra botta l'hanno data i tassi d'interesse, che per un certo periodo hanno fatto schizzare in alto le rate dei mutui. In un panorama segnato dall'inflazione, i una pressione fiscale in costante salita, dall'aumento delle tariffe, l'affondo finale arrivato con il grande crac dell'autunno '08, quando tanti lavoratori sono stati licenziati o cassintegrati e molti investimenti "sicuri" si sono praticamente azzerati, Ma un conto è parlare di finanza e di economia in termini astratti: il Pil che sale e scende, i tassi che rimbalzano su e giù in un balletto indecifrabile. Altra cosa è vedere come l'economia e la finanza incidano sulle nostre vite. Tutto questo ce lo racconta Luigi Furini, con un viaggio-inchiesta tra gli italiani ormai strozzati dai debiti. Perché - ci fa capire Furini - questa crisi ci sta toccando tutti e di certo non bastano gli inviti all'ottimismo, i salvataggi miliardari delle grandi banche e dei banchieri (gli stessi che ci hanno portato lino a questo punto) o le sparate demagogiche a rimetterci in carreggiata.
Questo libro è il tentativo di capire e interpretare la crisi economico-finanziaria che si sta dipanando sotto i nostri occhi: la più sconvolgente da diversi decenni perché si tratta anche di una crisi politica, istituzionale e culturale. È venuta meno l'intelaiatura di regole, controlli e azioni di governo che in un'economia di mercato fa da necessario complemento alla ricerca del tornaconto da parte degli individui e delle imprese. Ma soprattutto si è accorciato l'orizzonte temporale dei mercati, dei governi, della comunicazione, delle imprese, delle stesse famiglie, dei nostri atteggiamenti mentali. È in questa "veduta corta", in questa incapacità di andare oltre il calcolo di breve periodo e di guardare il futuro lungo che sta la radice più profonda della crisi in atto, sostiene Tommaso Padoa-Schioppa nella sua lunga e ricca conversazione con Beda Romano.
La crisi finanziaria, innescata dalle insolvenze nei mutui subprime dell'estate 2007, rappresenta la prima crisi globale nella storia del sistema economico internazionale. È una crisi profonda: di fronte alla più grave recessione del secondo dopoguerra, non si sono ancora individuati efficaci interventi di policy per correggere i più gravi squilibri di sistema e ripristinare la fiducia degli operatori. Ciò che colpisce non è tanto la magnitudo delle forze destabilizzanti, quanto il repentino stravolgimento del sistema di regole faticosamente sedimentato negli ultimi venti anni. Le interpretazioni della crisi oscillano fra due polarità: la riduzione degli attuali squilibri a una fase ciclica particolarmente severa ma "normale"; una rottura di sistema di portata così radicale da segnare la fine degli attuali assetti economici. Queste due polarità sfociano in opposte ricette. La prima ritiene sufficiente qualche aggiustamento per facilitare una rapida ripresa ciclica e il ritorno alla situazione preesistente; la seconda sostiene invece la necessità di un più invasivo ruolo dello stato e il ripristino di una regolamentazione direttiva. La tesi di questo libro è intermedia: la stabilità e l'efficienza dei mercati richiedono una regolamentazione più stringente sia degli intermediari che dei mercati, con un contenuto innalzamento dei livelli di standardizzazione dei prodotti finanziari; ma tale regolamentazione non deve essere distorsiva né bloccare le innovazioni finanziarie.
Franklin Delano Roosevelt traghettò una nazione prostrata dalla crisi verso una ripresa economica, politica e sociale di così vasto respiro da durare per i trent'anni successivi. Grazie a lui gli Stati Uniti del dopoguerra poggiavano su forti valori democratici ed egualitari, incarnazione di una società di ceto medio dove il boom dei salari aveva elevato decine di milioni di americani dalla povertà a una vita agiata, livellando il reddito medio degli individui a scapito della concentrazione dei capitali. Poi le cose sono precipitate sempre più in fretta lungo un crinale scosceso fatto di crescenti disuguaglianze e di strisciante corruzione politica: "Durante gli anni Settanta, la destra radicale ha assunto il controllo del Partito repubblicano, incoraggiato le imprese a sferrare un attacco contro il movimento sindacale, ridotto drasticamente il potere contrattuale dei lavoratori, abbassato le aliquote fiscali applicate ai redditi elevati". I risultati disastrosi sono sotto gli occhi di tutti. Oggi, sostiene Krugman, il tempo è maturo per un'altra grande era di riforme, per un altro New Deal. Cosa dovrebbe fare la nuova maggioranza? Nell'interesse della nazione, dovrebbe attuare un programma imprescindibilmente progressista, che promuova l'espansione della rete di sicurezza sociale e riduca la disuguaglianza.
La crisi globale pone sfide inedite all'Europa e richiede un convinto rilancio del processo di integrazione. Il volume guarda all'economia europea da una duplice prospettiva: la prima parte ripercorre le principali tappe dell'integrazione e delinea le caratteristiche e il funzionamento del modello economico e sociale europeo; la seconda ricostruisce l'intreccio dei fattori che hanno portato alla grave crisi internazionale e ne valuta l'impatto sul futuro dell'integrazione. Nel nuovo scenario mondiale, è solo attraverso la definizione di una politica economica adeguata al suo rango di potenza globale che l'Europa potrà rilanciare la crescita all'interno e affrontare le sfide che l'attendono.
L'autrice, con questo volume, apre una finestra sul mondo dell'interpretariato e ne dischiude i meccanismi in gioco durante l'esercizio della professione. Descrive la figura dell'interprete e le mansioni che gli vengono richieste; nello stesso tempo il lettore ha la possibilità di mettere alla prova le sue capacità espressive e di comprendere e approfondire le doti necessarie nella fase di interpretazione simultanea.
Negli anni della Grande Crisi, John Maynard Keynes si spinge a imma gi nare, per il denaro e il capitalismo, un futuro molto diverso da quello che tutti prevedono. In quel futuro - che è oggi - e nel pieno di un'altra crisi, Guido Rossi dimostra che le con getture di Keynes erano meno ar dite di quanto siano sempre parse.
Autore:
Pignatta Valerio
Laureato in scienze politiche e storia, naturopata e giornalista pubblicista, è redattore e collaboratore di diverse riviste e case editrici per cui cura, come direttore editoriale, anche collane di libri sulle medicine non convenzionali. Appassionato cultore di storia dei movimenti spirituali libertari, si sta interessando sempre più alla "decrescita" e collabora con iniziative culturali legate a tale movimento. Socio fondatore del Movimento per la decrescita felice, pratica attivamente la sobrietà, difende l'autoproduzione e auspica un mercato che riscopra e valorizzi anche lo scambio di beni e servizi.
Target:
Per tutti. Ambiente cattolico e laico.
Contenuti:
In un passato anche recente molti preannunciarono che il sistema economico e il modello di sviluppo del mondo occidentale sarebbero presto entrati in collasso. Avevano ragione. Oggi sono molto chiari i limiti si questo sistema impostato sullo sfruttamento irresponsabile delle risorse naturali e sull'unico valore del guadagno a tutti i costi. Il pianeta si sta esaurendo e si sta avviando pericolosamente a diventare - se non lo è già - un'enorme discarica a cielo aperto abitata da fantasmi programmati per lavorare a basso costo e approfittare fino all'ultimo di ogni risorsa ancora disponibile. Nonostante gli annunci di catastrofi imminenti siano ormai all'ordine del giorno, una reazione positiva - che pur esiste - stenta a decollare. Forse manca una vera coscienza di quello che sta accadendo e di quello che potrebbe e dovrebbe essere fatto. In questo libro, l'Autore riporta prima di tutto una sintesi dei movimenti sociali e politici che hanno fatto crescere la responsabilità sociale e ambientale per poi far conoscere esperienze di vita di persone che si sono date come ideale quello della "decrescita", cioè di una crescita su altre basi. Compone un quadro suggestivo che stimola il lettore a riflettere su se stesso e a capire che anche lui può cambiare, recuperando, tra l'altro, cose spesso sacrificate sull'altare del progresso come l'incontro con la natura, con il tempo, con gli altri, con la vita e tutte le sue espressioni.
«Durante tutto il decennio (1919-1929) .... salari, stipendi e prezzi erano rimasti tutti relativamente stabili, in ogni caso non avevano subito un apprezzabile aumento. Di conseguenza ... i profitti erano aumentati. Tali profitti sostenevano le spese dei ricchi e inoltre alimentavano, almeno in parte, le speranze che erano dietro al boom del mercato azionario. Soprattutto essi incoraggiavano un livello molto elevato di investimenti in beni capitali. ... Quindi tutto ciò che interrompeva il flusso degli investimenti poteva causare dei guai ... perché non ci si sarebbe potuto aspettare automaticamente una compensazione mediante un incremento delle spese di consumo».