"'Tutto ciò che resterà della mia vita è quello che ho scritto.' Qualcuno l'ha detto pensando a se stesso, però sono parole che si adattano anche a me. Ho sempre voluto scrivere. Alla fine della scuola media, andavo per i tredici anni, mio padre Ernesto mi regalò una macchina Underwood di seconda mano, dicendo: 'Vedi un po'se la sai usare'. Mia madre Giovanna mi mandò a una scuola di dattilografia. Ma dopo un paio di lezioni, chi la dirigeva le spiegò: 'Giampaolo ha imparato subito quanto gli serve. Non butti via i suoi soldi'. Ho cominciato a scrivere nell'estate del 1948 e da allora non ho più smesso. Nell'ottobre 2015 di anni ne ho compiuti ottanta. E ho deciso che potevo permettermi questo libro. Non oso definirlo un'autobiografia, parola pomposa. Allora dirò che è il racconto personale di un vecchio ragazzo destinato a fare il giornalista. Non venivo da una famiglia di intellettuali. Mio padre era operaio del telegrafo. Mia madre aveva cominciato a lavorare a dieci anni ed era stata così brava da aprire un negozio di mode. La mia nonna paterna, Caterina, era analfabeta. Rimasta vedova con sei bambini da crescere, aveva vissuto nella miseria più nera. Troverete qui le loro storie, insieme a quelle di mio nonno Giovanni Eusebio, un bracciante strapelato, e di uno zio paterno, Paolo, un muratore morto a New York in un cantiere. I miei antenati sono questi. E se esiste un aldilà, guarderanno stupiti questo figlio che si è guadagnato il pane scrivendo.'" (G. P.)
La storia delle battaglie tra Islam e Cristianesimo è una lunga scia di sangue, che visse la sua fase più acuta nei tre secoli circa in cui si concentrarono le crociate. La prima di queste imprese, ricche di epica quanto di meschinità e crudeltà, portò gli occidentali alla conquista di Gerusalemme nel 1099, grazie alle gesta di condottieri come Goffredo di Buglione e suo fratello Baldovino I. Ma meno di un secolo e una crociata dopo il Saladino recuperò la Città Santa all'Islam e sottrasse ai Franchi, come venivano chiamati in Oriente i cavalieri provenienti dall'Europa, gran parte delle loro terre. I crociati tentarono una reazione con alcuni dei più grandi condottieri dell'epoca, come Federico Barbarossa e Riccardo Cuor di Leone, ma nonostante gli sforzi i possedimenti cristiani si sarebbero progressivamente e irrimediabilmente erosi, fino a scomparire del tutto in Terrasanta. Dopo di allora, i cristiani si sarebbero dovuti preoccupare di fronteggiare l'avanzata musulmana nel cuore dell'Europa, andando incontro a nuove, devastanti disfatte come a Nicopoli e Varna.
C'è un fascino sinistro nella forma morbida di un sottomarino che scivola, elegante e silenzioso, sotto la superficie impenetrabile del mare e raggiunge inavvertito l'obiettivo con il suo carico di morte. Un fascino che ancora oggi conquista il grande pubblico e che alla fine della Seconda guerra mondiale spinse i vertici militari e politici delle potenze vincitrici a impadronirsi dei progetti top secret degli U-Boot tedeschi. Combinati con le più recenti tecnologie di cui disponevano gli Alleati, la bomba atomica e il radar, i sommergibili divennero gli strumenti con i quali affrontarsi in un lungo conflitto che, per fortuna, non venne mai combattuto: la guerra fredda. Durante quasi cinquant'anni, i mari e gli oceani di tutto il mondo si riempirono di sottomarini a propulsione atomica sempre più grandi. Imbarcavano armi micidiali, i giganteschi missili dotati di testate nucleari di una potenza tale da spazzare via la vita dall'intero pianeta. Erano gli strumenti invisibili della cosiddetta «deterrenza». Potevano rimanere per settimane sott'acqua senza riemergere, sfuggendo così ai radar. A modo loro garantirono quella che venne chiamata «la pace del terrore atomico». Guerra sotto il mare ripercorre la storia di quel cinquantennio attraverso le vicende delle flotte subacque sovietiche e statunitensi e racconta la nascita e l'evoluzione di questi mostri degli abissi. Ne descrive le trasformazioni e le strategie d'impiego. Spiega come lo sviluppo delle tecnologie abbia imposto la crescita delle loro dimensioni e quanto sia stata importante la guerra di spie nella corsa per la superiorità ingegneristica. Certamente il conflitto rimase sul piano ideologico, ma delle vittime ci furono comunque e furono numerose. Molti sottomarini atomici di ambedue gli schieramenti affondarono per guasti, leggerezze, errori di manovra, imprevidenza e sottovalutazione del pericolo. Come gli americani Thresher e Scorpion, scomparsi nell'Atlantico negli anni Sessanta, e il russo Kursk, affondato nel Mare di Barents nel 2000, ultima vittima di un conflitto mai dichiarato e mai combattuto, terminato quasi un decennio prima. Alcuni sottomarini di quegli anni navigano ancora. Ma l'arco della storia narrata da Sergio Valzania ha visto di recente le marine tedesca e italiana collaborare allo sviluppo e alla realizzazione di mezzi meno costosi e ingombranti, che hanno abbandonato la propulsione atomica a favore di un sistema più ecologico. Sono le unità della classe Todaro che oggi combattono nel Mediterraneo una guerra di intelligence contro gli scafisti, armi potenzialmente letali che dimostrano la straordinaria ricchezza delle loro possibilità d'impiego.
Come ricordare lo Sterminio e i Lager senza confinarli nella memoria soltanto?
Come collocarli dentro una storia che, pur trascorsa, interroga il presente e ogni futuro possibile?
Queste pagine guardano a uno dei crimini maggiori della storia europea proponendosi la questione di comunicarla per le generazioni a venire; cercano di collocare l’insieme di quegli eventi, a tutta prima “incredibili”, nei suoi contesti, soprattutto quotidiani di quegli anni Trenta e Quaranta del ’900 nei quali davvero l’inferno poté “ridere” in terra d’Europa – il titolo è da Bonhoeffer – perché in precedenza, nel Reich nazista tedesco e nell’Italia del regime fascista, la vita quotidiana, i mondi vitali del giorno per giorno e tutte le relazioni sociali erano state invase da ideologie e visioni del mondo in cui ciascuna diversità era indicata come colpa e ogni diverso parere si considerava come reato. L’itinerario del libro ricostruisce contesti e parallelismi, interpreta in sede storica per mettere in evidenza i meccanismi banali e la perversione quotidiana di quelle visioni, ricostruisce, anche nel mondo dei media (dalla radio alle sperimentazioni della “radiovisione”) e in quelli della burocrazia amministrativa, i percorsi di una discesa agli inferi.
Nessuna città ha un nome così evocativo: appena lo pronunci l'Oriente t'assale. Samarcanda è la struggente forza della fantasia mossa da una realtà lontana e avvolta nelle nubi di sabbia del deserto. Samarcanda è il destino: è l'estrema tra le Alessandrie fondate dal re macedone; è la città delle fortezze e dei sepolcri; è il nodo carovaniero sulla Via della Seta; è la sede del Gur-Emir, tempio e santuario, centro del mondo dalla cupola color turchese sotto la quale il grande Tamerlano dorme per sempre. Oggi è sintetizzata dai tre alfabeti - il cirillico, il latino e l'arabo: specchio della lotta tra chi ancora guarda alla vecchia colonizzatrice che ha legato l'Uzbekistan all'Europa, chi intende lottare per l'islamizzazione, e chi vorrebbe giocare sino in fondo la carta dell'occidentalizzazione. Un libro che è un viaggio nel luogo dove mito, suggestione e fantasia sono forze più trascinanti della stessa storia.
La storia di un mito può essere ancora più interessante della storia che il mito racconta... Soprattutto se la storia è quella leggendaria dei Templari…
Nell’anno 1099 i crociati venuti dall’Occidente conquistano Gerusalemme e fondano un regno cristiano nella Città Santa. Pochi anni dopo il re di Gerusalemme patrocina la formazione di una milizia religiosa, un corpo di combattenti che dovranno difendere i pellegrini in viaggio verso i luoghi santi. E sposta il quartier generale di questo corpo scelto presso il luogo più carismatico di Gerusalemme: le rovine del Tempio del Signore, quello edificato duemila anni prima da re Salomone con l’aiuto del leggendario architetto fenicio Hiram.
Circonfuso da un’aura di leggenda sin dalle sue origini, l’ordine dei Templari conosce un’espansione incredibile che lo porta a diventare una vastissima multinazionale finalizzata alla difesa della Terrasanta. I Templari non sono soltanto gloriosi combattenti, sono anche abilissimi banchieri che gestiscono la tesoreria di vari regni cristiani. Il loro successo incrementa la leggenda che li circonda, e quando nel 1307 il re di Francia Filippo IV detto il Bello li accuserà di eresia con l’aiuto dell’Inquisizione, la storia si tingerà di toni oscuri.
Sciolto da papa Clemente V nel 1312, l’ordine dei Templari non avrebbe mai smesso di affascinare il mondo e di vivere nella leggenda postuma, rinnovandosi nei secoli in forme diverse, fino alle pagine de Il codice da Vinci di Dan Brown. Ma cosa ha permesso a questo mito di non estinguersi, anzi di trarre forza dal trascorrere del tempo accrescendosi di dettagli nuovi?
Chi l’ha detto che in cucina si elaborano solo ricette?
Nelle storie raccontate in questo libro la cucina è al centro di un gioco di cultura e di potere.
Maestro Martino, Bartolomeo Scappi, François Vatel: tre cuochi – dell’Umanesimo, del Rinascimento e del Barocco – capaci di fare la storia del loro tempo, e non solo per la squisita sapienza delle loro preparazioni...
Maestro Martino è cuoco al servizio del cardinale e condottiero Ludovico Trevisan. Vive in prima persona la grande rivoluzione culturale dell’Umanesimo e, involontariamente, ne diventa uno dei protagonisti. Il suo libro di ricette, tradotto in latino ed edito dall’umanista Platina, diventa la base della rivalutazione del buon cibo e della buona cucina, dopo secoli di condanna al girone della golosità.
Bartolomeo Scappi è il secondo maestro. Cuoco di tre cardinali e di due papi, dovrà vedersela col furore ascetico e controriformatore del suo ultimo datore di lavoro, il papa santo Pio V, che abolirà il carnevale e introdurrà a Roma leggi feroci contro le prostitute, gli adulteri e il lusso. All’apice della carriera dovrà rinunciare a cucinare dato che il suo padrone è un austero digiunatore, ma avrà così il tempo di scrivere il più importante libro di cucina della sua epoca.
François Vatel è il terzo celebre cuoco, nonché l’interprete – tragico – della nouvelle cuisine di Luigi XIV. Per Luigi II di Borbone, l’Alessandro Magno di Francia, vincitore a 22 anni delle invincibili armate spagnole, organizza un grande ricevimento al castello di Chantilly – ospite d’eccezione Luigi XIV – di cui però non vedrà la fine. Muore suicida, apparentemente per un’assurda mancanza di... pesce.
Percorrendo le vite di questi tre celebri cuochi attraverso Umanesimo, Rinascimento e Barocco, scopriamo la cucina, il gusto, le ricette del tempo, ma anche i raffinati giochi di potere che presero vita, come accade ancora oggi, sulle tavole di allora.
La vittoria ha mille padri ma la sconfitta è orfana. Di certo non in Italia, dove è figlia legittima di uomini che hanno fatto la storia col sangue di altri uomini. Loro malgrado.
«La guerra è una cosa troppo seria per farla fare ai militari». Per non farla fare solo ai militari i politici dell’Italia unita ci hanno messo di loro, riuscendo a realizzare un perverso mix che ha portato a una lunga teoria di eclatanti sconfitte. A Custoza si perde una battaglia già vinta perché La Marmora e Cialdini conducono una guerra privata. A Lissa l’inesperto ammiraglio Persano e i suoi vice neppure si parlano, e i sogni di gloria vanno a picco assieme alle navi e ai marinai. A Caporetto Badoglio, pur sapendo che gli austro-tedeschi stanno per attaccare, se ne va a dormire. L’attacco alla Grecia soddisfa solo le manie di grandezza di Ciano e Mussolini e si incanala subito verso un clamoroso disastro che fa sogghignare mezza Europa. Una tragedia che è la prova generale della campagna di Russia…
Ma le sconfitte non hanno pesato solo sul piano militare. Spesso sono state l’occasione per scatenare psicodrammi assurdi o ancora più ridicole cacce a capri espiatori di comodo, rivelando tutta la fragilità della nostra identità nazionale, come accaduto con il disastro di Adua e la caduta di Crispi. In altri casi hanno prodotto una presa di coscienza e uno scatto di orgoglio che ha mutato, in meglio, la storia successiva.
Cinque battaglie, cinque sconfitte che hanno contribuito a ‘formare’ l’Italia.
«Alla fine del mese di ottobre 1915, lo sterminio dei cristiani di Mardin sembrava essere concluso. Tuttavia un centinaio di persone vivevano ancora: erano vecchi, donne anziane, infermi. Il turco Bedreddin fu preso da zelo: “Spazzateli via, e che non ne rimanga nemmeno uno”. Con questi cento sopravvissuti fece un convoglio che, deportato nel deserto, sparì per sempre».
Mardin è una delle tante città dell’impero ottomano dove, durante la prima guerra mondiale, si è consumata la strage degli armeni e dei cristiani. Una violenza che ha segnato in profondità quelle regioni e che non è cessata: sono passati cento anni e la persecuzione in Medio Oriente continua.
Anche oggi, a pochi chilometri da Mardin, oltre la frontiera turca, in Siria e in Iraq, si combatte con una crudeltà senza misura. Di nuovo, come allora, si assiste a deportazioni, massacri, sgozzamenti, rapimenti, vendita di donne e di bambini. Molti si chiedono: da dove viene tanta ferocia? Dal profondo di una religione, l’islam, o da una storia di convivenza difficile? Oggi, come ieri, si consuma una pagina della ‘morte’ dei cristiani d’Oriente.
Dai presagi del primo conflitto mondiale alle scosse di assestamento della guerra fredda, il Novecento è stato forse il secolo più sanguinoso della storia. Eppure, grazie alle innovazioni tecnologiche e ai progressi scientifici il tenore di vita di buona parte dell'umanità era notevolmente migliorato e l'economia sembrava aver imboccato la via della crescita costante e inarrestabile. C'erano tutte le premesse perché si potesse auspicare una diffusione della pace e della democrazia in un mondo "globalizzato". Come spiegare l'incredibile portata e intensità delle ondate di violenza che hanno messo a ferro e fuoco i cinque continenti, trasformando gli ultimi cento anni in una tragica stagione di massacri, genocidi e innumerevoli conflitti etnici e religiosi che si protraggono, con immutata ferocia, anche nel Terzo millennio? Questo studio è una riscrittura dell'età contemporanea in cui l'autore ricerca le radici dei conflitti e delle esplosioni d'odio che hanno sconvolto il ventesimo secolo, fino a individuare alcuni tratti comuni a tutte le guerre del Novecento. "La guerra del mondo narrata in queste pagine conclude Ferguson - si ostina a non finire: finché gli esseri umani si prefiggeranno la distruzione dei propri simili, finché temeremo, e nel contempo desidereremo, di vedere devastate le nostre metropoli, questa guerra è destinata a continuare, abbattendo le frontiere della cronologia."
Lorenzo de' Medici, detto il Magnifico (1449-92), è uno dei personaggi più rappresentativi della storia italiana. Nessun intellettuale, infatti, ebbe nelle proprie mani altrettanto potere e nessun uomo di governo fu così consapevole della propria cultura. Buon politico e mediocre banchiere, ottimo poeta e scadente stratega, Lorenzo diede prova in più occasioni di coraggio fisico e destrezza, ma ebbe anche un raffinato gusto per l'arte, e fu padrone di Firenze senza mai mostrarlo apertamente. Ricco, elegante, colto, sciupafemmine e ambiguo, capace di slanci generosi e, se necessario, di una buona dose di crudeltà, egli impersona pregi e difetti di un'età irripetibile. In questo libro, Giulio Busi segue Lorenzo nella sfera privata, negli amori e nelle amicizie, e lo accompagna nella sua ascesa alla ribalta della politica italiana e internazionale: la Firenze di Leonardo e del giovane Michelangelo, la Milano opulenta degli Sforza, la Roma degli intrighi pontifici, la Napoli florida di Ferrante d'Aragona, la Venezia dei traffici e dei sospetti. Attorno a Lorenzo, intanto, si muove la scena concitata del Quattrocento italiano. Tutti lo ammirano, alcuni lo odiano, qualcuno cerca di ucciderlo. Nel duomo di Firenze, nell'aprile 1478, i pugnali dei congiurati massacrano suo fratello Giuliano. Lui sfugge d'un soffio alla morte, e subito si abbandona a una vendetta implacabile. Uscirà dalla tormenta più forte, più solo, più Magnifico che mai.
La politica religiosa di Costantino e dei suoi successori, destinata a mutare per molti aspetti gli equilibri politico-sociali dell'Impero, ha costituito un punto di svolta fondamentale anche nella concezione dello spazio e nella sua sacralizzazione, contribuendo a trasformare e a definire la topografia antica attraverso una nuova rete di luoghi santi. Tale operazione ha avuto un importante risvolto ideologico e teologico-politico, spesso enfatizzato dalle fonti coeve e rintracciabile con diverse declinazioni in testi anche posteriori, in cui la memoria costantiniana diventa paradigma di riferimento per la costruzione di un'immagine imperiale cristiana. Basiliche, palazzi, santuari e, di contro, fori, templi, curie, diventano il linguaggio "visibile" attraverso cui è possibile leggere i segni tangibili di trasformazioni, conversioni e permanenze, su cui proiettare rimandi simbolici. Attraverso il contributo di studiosi di provenienza internazionale e di formazione e ambiti disciplinari differenti, il tema dello spazio sacro in età costantiniana è qui indagato da molteplici punti di vista, da quello storico-letterario, a quello archeologico, epigrafico, storico-artistico, e relativi a differenti zone geografiche e cronologiche: dai luoghi classici di Roma e dell'Occidente cristiano alla costruzione della Terra Santa e dell'Impero bizantino, dai discorsi agiografici alle leggende di fondazione, dalla tradizione copta a quella della Rus' dei secoli XI-XIII.