Figura demoniaca di maga barbara e crudele, Medea è uno dei personaggi più noti, estremi e coinvolgenti del teatro antico. Lucida e determinata nel compiere una vendetta atroce, l'assassinio dei figli, che la colpirà con violenza devastante, Medea appare perfettamente consapevole delle conseguenze del suo gesto estremo. Ma alla tensione emotiva ("capisco quali dolori dovrò sostenere, ma più forte dei miei propositi è la passione") si unisce un'assoluta autonomia intellettuale, fino ad allora sconosciuta in una donna nel mondo greco. Nella sua introduzione Vincenzo Di Benedetto mette in luce la modernità di questa tragedia e spiega la dura polemica dell'autore contro la società ateniese di quegli anni.
"Se il Novecento, secolo della crisi dell'io individuale e delle certezze della metafisica, a partire da Freud, è stato il secolo di Edipo, l'Ottocento, secolo del primato romantico e idealistico della libertà prometeica dell'individuo, è stato quello di Antigone. Da Hegel a Kierkegaard, da Hölderlin a Schlegel, a Goethe, in molti si sono interrogati sull'atto di insubordinazione di Antigone. Il conflitto irriducibile tra le ragioni del privato, del legame di sangue, della coscienza del singolo davanti alle ragioni del pubblico, del contratto sociale, dell'autorità è stato declinato innumerevoli volte e con infinite sfumature come conflitto tra ragioni del divino e ragioni dell'umano, tra ragioni del maschile e ragioni del femminile (ovvero del paterno e del materno, della pólis e dell'óikos), tra le istanze tassonomiche del razionale e le istanze entropiche dell'irrazionale, tra vizi e virtù dell'Occidente e vizi e virtù dell'Oriente, tra natura e cultura e via elencando. (...). La sepoltura di Polinice fa di Antigone una madre e una sposa morta e/o mancata, ma una sposa e una madre nel mondo capovolto dell'Ade. Il mondo che sopravvive, quello di Creonte (e di Ismene), è il mondo di una truce normalità riconquistata, di una cupa pace che si fa sul capro espiatorio, il mondo del potere che si nutre del sangue dei giovani, delle donne, dei deboli, talora ipocritamente impotente." (dall'introduzione di Giovanni Greco)
Giovenale nei cinque libri delle "Satire" (ritenute da Quintiliano il genere romano per eccellenza) lancia frecce infuocate contro i bersagli più disparati, di ogni ceto e di ogni sesso. Dipinge il quadro di una società romana senza speranza, persa nelle sue mollezze decadenti e corrotte. I rampolli debosciati dell'aristocrazia si abbandonano ai vizi, la plebe resta mansueta e imbelle e si accontenta di panem et circenses. Le donne emancipate vengono ridotte da Giovenale a ninfomani fuori controllo. Orientali, Graeculi, Egiziani occupano i gradini più bassi dell'umanità, restando di poco superiori alle bestie. Le "Satire" contengono, in nuce, i semi di una rabbia civile sopravvissuta fino ai nostri tempi. E, al contempo, restano uno dei grandi capolavori della lirica classica.
Con grazia, maestria e immaginazione fervente lo scultore Pigmalione, scontento della realtà imperfetta che lo circonda, plasma una donna tanto bella da prendere vita. Con gesto simile Publio Ovidio Nasone, poco prima d'essere costretto all'esilio, nei primi anni dell'era cristiana, scrive un poema di oltre dodicimila versi, in cui rielabora centinaia di miti, favole delicate e drammatici intrecci: storie inverosimili ma più vere del vero. È così che, nell'universo imprevedibile raccontato dal poeta, le pietre di Deucalione e Pirra si trasformano in uomini, fanciulle e semidei mutano, a volte, in minerali e uccelli, l'invidia di una dea determina la sorte dell'abile Aracne, la gelosia di Giunone prende corpo in una punizione esemplare. E ancora, i vascelli di Enea assumono la forma di ninfe marine. La statua di Pigmalione si anima al calore delle sue carezze. Il leggiadro Narciso si strugge d'amore per se stesso, fino a consumarsi e divenire un fiore. Eroi e sovrani, divinità e mostri inquietanti - ma anche esuli, combattenti e umile gente - sono i protagonisti dei quindici libri che compongono le Metamorfosi, opera dal respiro universale che spazia dall'origine del mondo agli anni mutevoli e lacerati della Roma imperiale. Tra dèi furiosi e innamorati, eroine appassionate, aiutanti magici e comprimari ignari, Ovidio mette in scena uno spettacolo grandioso e cangiante come la vita: a volte comico, a volte tragico, invariabilmente umano.
«L'antica sapienza racchiusa nelle opere letterarie romane e greche, e parimenti i più illustri insegnamenti dei popoli antichi devono essere ritenuti quasi aurora annunziatrice del Vangelo, che il Figlio di Dio, “arbitro e maestro della grazia e della scienza, luce e guida del genere umano” ha annunciato su questa terra». Sono le parole dell’incipit della Veterum Sapientia, che invitano a guardare al passato, al depositum d’un patrimonio culturale davvero unico, con l’occhio di colui che vuol affrontare l’oggi ma con la ricchezza di tutto ciò che l’ha preceduto e con l’esperienza acquisita nel frattempo.
Il 50° della Veterum Sapientia (1962-2012) ha offerto un banco di prova per raccogliere il testimone ricevuto e per rilanciare l’attenzione sulla missio che i promotori della cultura classica sono chiamati a svolgere. Da qui l’articolazione degli studi in quattro sezioni: a) l’evento di una Costituzione; b) gli orizzonti interculturali sollecitati dalla lingua latina; c) le sfide nell’attualità; d) il ruolo dell’Accademia “Vivarium Novum”.
Quali prospettive possono scaturire da tutto questo percorso? Il convegno ha permesso di cogliere segnali incoraggianti: non sono poche le istituzioni
accademiche e gli agenti culturali che curano la promozione delle lingue classiche e la diffusione della cultura che in esse s’è espressa.
Tra i promotori della cultura classica emergono in particolare la Santa Sede e il Pontificium Institutum Altioris Latinitatis. La prima è l’unica istituzione al mondo che adopera il latino come lingua ufficiale per la pubblicazione dei suoi documenti. Attraverso la rete capillare delle sue strutture educative, può preparare operatori culturali in grado di conoscere, apprezzare e valorizzare la lingua latina. Per questo
ha dato vita all’Institutum cui compete la responsabilità di adempiere i compiti affidati dalla Veterum Sapientia, soprattutto in ordine alla formazione di professori competenti e appassionati delle lingue classiche e di specialisti che possano mettere le loro abilità nelle istituzioni ecclesiali che custodiscono il patrimonio culturale espresso in lingua latina.
La promozione del latino passa attraverso un’adeguata didattica delle lingue classiche. Anche in questo campo si scorge con nitidezza la diffusione del
cosiddetto “metodo natura”, che ha intelligentemente recuperato l’antica “via degli umanisti” attualizzandola con i risultati migliori della glottologia contemporanea.
Senza contrapposizioni con il metodo filologico affermatosi negli ultimi centocinquanta anni, le nuove metodologie potranno attirare un numero sempre crescente di discenti e abilitarli alla lettura personale e meditata del patrimonio espressosi in lingua latina.
Perché studiare il latino e il greco? La risposta è di fondamentale importanza: per poter leggere l’immenso patrimonio di testi che si è espresso in queste lingue ed entrare spiritualmente in dialogo con i cittadini d’una respublica litterarum che, nel caso del latino, ha adoperato questa lingua stupenda per meditare sulle questioni che stanno a cuore agli uomini d’ogni generazione e latitudine. Si tratta d’una
paideia che eleva e ingentilisce l’anima. E il mondo d’oggi ne ha bisogno perché il futuro delle prossime generazioni passa anche attraverso l’antica e sempre nuova humanitas.
Siamo, nella narrazione sinuosa di Ovidio, alla generazione immediatamente precedente quella della guerra di Troia. Dominati dal canto di Orfeo che ha perso Euridice, i Libri X-XII raccontano alcune tra le storie più belle di tutta l'opera, nella quale si fondono ora epica e storia mitica del mondo. E Orfeo stesso che si presenta agli Inferi reclamando la sposa uccisa dal morso di un serpente e che poi la perde per essersi voltato a guardarla mentre la conduce fuori dall'Averno. Fugge allora in luoghi remoti consolandosi col canto e narrando la storia di Ganimede. Da questa nasce quella di Giacinto, e poi quella di Pigmalione, che a sua volta fa emergere quella di Venere e Adone. E quando Orfeo viene fatto a pezzi dalle Baccanti, subito viene evocato Mida, e poi Esione, e quindi Peleo e Teti, i genitori di Achille. Allora prende il via la fondazione di Troia, e il racconto dell'immane guerra. In mezzo, ecco però la storia delicata e dolente di Ceice e Alcione: dell'uomo che, per consultare l'oracolo, s'imbarca, incontra una furibonda tempesta, annega; e della sposa che - avvisata da Morfeo nelle vesti del marito - vuole raggiungere il corpo di lui nel mare e si getta saltando dal molo.
Il libro propone la prima traduzione italiana integrale de 'Il seguito dell'Illiade di Omero' di Quinto Smirne.
La fine del IV secolo dell'era cristiana vede, nella penisola italica, profonde trasformazioni della sensibilità letteraria e religiosa. Nel cuore di un impero d'Occidente ormai prossimo alla fine, dove convivono gli idiomi germanici da un lato (lo stesso generale Stilicone, l'uomo allora più potente, era di origini barbare) e la religione cristiana dall'altro, Claudiano, nato in terra greca, legge i classici della letteratura latina e se ne innamora. Decide che farà rivivere l'incanto dei versi di Virgilio e di Ovidio, e ci lascia, incompiuto, un poemetto mitologico di una grazia e di una levità artistica senza pari, dedicato a un mito antichissimo, che ha ispirato poeti e pittori di ogni epoca: canta il rapimento della bella Proserpina, dea della primavera, preda del signore dei morti. Il dio dell'Ade, Plutone, non sa resistere al fascino fresco e leggiadro della ragazza, proprio come il poeta che, destinato a vivere in un mondo ormai al tramonto, soggiace alla malia dell'età dell'oro della romanità, regalando ai posteri un poema raffinato ed elusivo: il più degno epilogo della grande poesia latina.
Ennio, Plauto, Terenzio, Catullo, Lucrezio, Virgilio, Orazio, Ovidio, Seneca nella storia della letteratura latina.
Di Lucio Anneo seneca
A cura di Lucio Coco
Questo libro si compone di due parti speculari. Ai cinque capitoli dove sono raccolti i pensieri di Seneca sul tema della lettura ne seguono altri cinque dove sono raccolti i pensieri di scrittori cristiani che, ispirandosi ai testi di Seneca, hanno detto cose affini sull’atto del leggere, aggiungendo oppure interpretando o semplicemente variando qualcosa del suo pensiero e delle sue istruzioni. La continuità che questi autori stabiliscono con gli scritti senecani rappresenta un momento maturo dell’assimilazione delle tesi del filosofo latino nella riflessione morale cristiana: essi tuttavia non rinunciano al dato dell’originalità delle loro osservazioni e considerazioni per mostrare altre vie e nuovi punti di vista per approcciarsi con profitto alla lettura e promuovere un maggiore progresso morale e spirituale.
L'autore
Lucio Anneo Seneca (Cordoba, 4 a.C. - Roma, 65), è stato un filosofo, poeta, politico e drammaturgo romano.
Il curatore
Lucio Coco vive a Verbania e all’attività di docente affianca il lavoro di ricerca sulla tradizione patristica. Per le Edizioni San Paolo ha curato la pubblicazione di importanti Padri della Chiesa e collabora alla collana di Testi Patristici dell’editrice Città Nuova. È curatore della collana dei Pensieri di papa Benedetto XVI per la Libreria Editrice Vaticana ed è inoltre autore di saggi mirati all’approfondimento spirituale e alla conoscenza di sé.
Il testo originale del "Peri phyton" è perduto, e il trattato che leggiamo in greco, edito per la prima volta nei "Geoponica" (1539), e incluso in tutte le edizioni del "Corpus Aristotelicum", a partire dalla seconda edizione di Basilea (1539), è la retroversione greca (anonima) condotta sulla traduzione latina, condotta a sua volta su una traduzione araba di una traduzione siriaca. Il Medioevo latino attribuisce quasi unanimemente il trattato ad Aristotele. Il trattato ha un carattere peculiare nell'ambito della botanica antica, in quanto affronta temi discussi principalmente in ambito biologico e filosofico: se la pianta sia un essere vivente, quale tipo di "anima" abbia, se sia capace di percepire, se i sessi siano in essa distinti, e in genere quali caratteristiche tipiche della fisiologia animale sia possibile riconoscere anche nella pianta. Esso ha costituito nel Medioevo e nel Rinascimento una delle fonti antiche più lette, come dimostrano, tra gli altri, il "De vegetabilibus" di Alberto Magno, e il commento della retroversione greca da parte di Giulio Cesare Scaligero. Il testo greco stampato a fronte della traduzione è (tranne in alcuni punti, segnalati e discussi nelle note) quello dell'edizione del 1989, curata da H. J. Drossaart Lulofs (editore delle versioni orientali) e E. L. J. Poortman (editore della versione latina e greca).