Il profeta Elia sale sul monte Sinai per incontrare Dio. Immagina che il suo Signore sia nel fulmine incandescente, nel terremoto che fa sommuovere la terra, nella tempesta, nel vento che spacca la roccia. Ma Dio non è in questi eventi fragorosi e si manifesta nella “voce di un silenzio sottile”. Egli è nell'annullamento della parola, nella poesia che ha bisogno di spazi bianchi perché, come ha scritto Pascal, “nella fede, come nell'amore, i silenzi sono più eloquenti delle parole”.
sommario
I. Il grande codice della cultura occidentale. II. La debolezza della Parola. III. Gli spazi bianchi del silenzio. IV. La diafanìa della Parola. V. L’alfabeto colorato dell’arte. VI. La forza della Parola.
note sull'autore
Gianfranco Ravasi, cardinale, è presidente del Pontificio consiglio della cultura e della Pontificia commissione di archeologia sacra. Per EDB è autore di numerosi volumi, tra cui due imponenti commenti biblici più volte ristampati al libro dei Salmi e al Cantico dei cantici. Tra i saggi recenti: I Vangeli (2016), Pregare con i Salmi (nuova edizione 2017), La Bibbia secondo Borges (2017) e Quanto manca ancora all'alba? La Bibbia e il pensiero apocalittico (2017).
I testi raccolti, tradotti e commentati da Marco Settembrini danno un’idea della vita dei Giudei in Egitto fra il III e il II sec. a.C. Vi si parla di cittadini ricchi e poveri, indebitati e creditori, mercanti di schiavi e prigionieri, sottoposti ai tributi dello stato e impegnati nella bonifica di terre, in qualche modo fedeli ai precetti della torah e al tempo stesso assimilati alla cultura dell’Egitto, il paese in cui sono nati. Formati al ginnasio e alla scuola di Mosè, i loro scribi si mostrano attenti alle richieste della corte di Alessandria e fedeli al Signore dei padri. Traducendo in greco gli oracoli di Isaia, questi scribi osservano come rimproveri e promesse risalenti a tempi e luoghi remoti parlino della loro epoca, dove si prevarica e ci si vincola a contratti capestro, e al tempo stesso si è pressati dalla necessità di liberare chi è indebitato, di riaccogliere chi è fuggito, di risanare terre abbandonate a causa di insurrezioni e devastazioni.
Il cammino del popolo di Israele dalla schiavitù alla libertà nelle parole del Papa. Attraverso l'esperienza dell'Esodo e dell'Alleanza, il Signore ha chiamato il Suo popolo alla libertà dei figli di Dio, la libertà di amare e di scegliere il bene. Al centro dell'Esodo ci sono le Dieci Parole, e al cuore delle Dieci Parole c'è la libertà. Sono proprio le Dieci Parole a sbarrare la strada che riporta in Egitto, alla schiavitù, e ad aprire alla libertà che va celebrata facendoci liberatori a nostra volta; un richiamo a vivere tutti l'esodo che conduce dalla liberazione alla libertà del servizio.
Questa edizione quadriforme del primo e del secondo libro dei Re, utile per recepire il testo biblico in lingua originale e affrontare le difficoltà delle lingue antiche, propone: il testo ebraico masoretico (TM) della Biblia Hebraica Stuttgartensia, basato prevalentemente sul Codex Leningradensis B19A, datato circa 1008; il testo greco nella versione dei Settanta (LXX) di Rahlfs, basata prevalentemente sul Codex Vaticanus (B) risalente al IV secolo dopo Cristo; il testo latino della Nova Vulgata, redatta nel post-concilio e normativa per la liturgia cattolica; il testo della Bibbia CEI 2008, normativo per la liturgia italiana, con paralleli essenziali a margine e segnalazione dei termini difformi dall’ebraico; la traduzione interlineare italiana di ebraico e greco, eseguita a calco e orientata a privilegiare gli aspetti morfologico-sintattici del testo originale.
La lettura esegetica si addentra nel carattere di questo imprendibile personaggio biblico, “renitente alla chiamata”, restituendogli dignità e profondità: ne fa anzi una guida per il lettore e la lettrice di oggi, assetati di “profezia”. La lettura contestuale-familiare disegna poi una traccia per gli sposi: anch’essi sono chiamati a non fuggire, ma anzi a superare tempeste,
ad entrare nel ventre del pesce, ad andare infine a Ninive, per annunciare
attraverso la loro carne e il loro vissuto quotidiano che il sacramento delle nozze non teme ostacoli, anzi abbraccia la realtà facendosi voce del
Dio di misericordia.
Le due grandi parti del libro, intimamente collegate fra loro, offrono sorprendenti connessioni e reciproci fecondi rimandi fra testo biblico e quotidianità familiare, raccontando come la fedeltà di coppia si innervi e si muova all’interno della fede ecclesiale.
Questo volume fa parte di una trilogia sull’Antico Testamento (Legge/Profeti/Scritti).
Si leggono dieci passi dei profeti secondo uno schema
sso: lettura esegetica, lettura contestuale familiare. Il linguaggio è sempre scorrevole (anche nella parte esegetica). Le attualizzazioni mai banali. Gli autori sanno incrociare informazione biblica e problematiche attuali frutto di esperienze realmente vissute. Pur affrontando le dinamiche familiari, questo testo offre un ampio spettro di osservazioni e può, dunque, essere utilizzato a più livelli e in più ambiti.
Giona, ovvero il Disertore, che fugge dalla chiamata di Dio ad annunciare il castigo di Ninive, la grande città del Nemico, il regno del Male. Ma perché Giona fugge? Perché sa che il suo Dio ha un grave difetto: è capace di un amore senza misura, che sa perdonare a tutti, ma proprio a tutti. Ma se Giona è il Disertore, Dio è il Persecutore che insegue Giona fin nel ventre del pesce in cui è finito e lo obbliga a compiere la missione per cui è stato scelto. Con le conseguenze che Giona temeva sin dal principio... Una storia biblica, ironica e paradossale, che ci parla di vocazione e misericordia, riletta a due voci con profondità e brillantezza da un prete e da una consacrata.«Questa è una vera lectio divina! Non consente al lettore di leggere e basta, ma lo costringe a "essere letto"!» (Fabio Rosini).
Le riflessioni su Levitico e Numeri raccolte in questo volume fanno seguito ad altre sulla Genesi e sull'Esodo - dal titolo "Il Dio di Abramo" e "Il Dio degli Ebrei" - pubblicate in questa stessa collana. "Il Dio santo" si pone quindi come capitolo conclusivo di una trilogia. Il libro dei Numeri e, in modo ancora più particolare, il libro del Levitico sono incentrati sulla santità di Dio, che si definisce certo come trascendenza, separazione, alterità, ma soprattutto, in maniera positiva, come potenza vitale e come esigenza morale. Questi antichi libri ebraici, con i loro rituali ormai desueti, ci insegnano forse ancora oggi a porre una siepe intorno alla santità di Dio, per proteggere il mistero della vita.
Paolo è un uomo appassionato, un'anima innamorata di Cristo, affascinata dalla luce del Vangelo, da una convinzione profonda: portare al mondo la luce di Cristo, annunciare in Vangelo a tutti.. Sono in debito verso i greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti (1,14). Nella sua argomentazione lungo la Lettera ai Romani, Paolo dimostra un'ampia conoscenza delle Scritture, che utilizza per illuminare sia il Mistero di Cristo sia l'esistenza cristiana. Dalla luce dell'AT, la storia di Gesù diventa più intelligibile per noi...
Testo letterario dall’architettura elegante e cesellata, la Meghillath Ekhah (il rotolo delle Lamentazioni) si rivela un alfabeto della disperazione, una sillabazione dello strazio, un ululato che modula ciò che altrimenti risulterebbe inarticolabile. Per l’ebraismo, questa meghillah rinvia alla distruzione del Santuario di Gerusalemme e al doloroso esilio di Israele, perdurato per numerosi secoli. Per il cristianesimo, si tratta di rinvii simbolici, evocativi e prolettici, afferenti alla missione di Gesù di Nazaret. Nei secoli, purtroppo, queste pagine veicolarono anche, da parte cristiana, insegnamenti e comportamenti antiebraici. L’ebraismo contemporaneo, in generale, non ha fatto ricorso alle Lamentazioni per rileggere la tragedia della Shoah. A differenza di quanto narra il libro biblico in relazione a Israele, nessuna Chiesa cristiana ha sperimentato sulla propria pelle, a livello di popolo e di singoli individui, la conquista e la razzia, lo stupro, l’esilio, la diffamazione e il dileggio, l’annientamento e il genocidio, se non quelle armena e assira. In questo volumetto tre voci diverse ma con
cordi (una cristiana cattolica romana, una ebraica e una cristiana armena) riascoltano un urlo mai sopito.
Il libro di Geremia racconta la vicenda di un uomo catturato dall’appello del Signore e che si sente inadeguato alla sua missione, in una stagione difficile per il regno di Giuda, poco prima della deportazione a Babilonia. Il profeta denuncia, in mezzo alle sofferenze e malgrado il suo travaglio interiore, l’infedeltà del Popolo, esortandolo a pentirsi: il Signore attende il suo ritorno, per offrirgli una nuova alleanza, che supererà quella del Sinai. I Padri commentano volentieri questi aspetti, ma sono meno attenti ai risvolti politici del messaggio di Geremia, ormai non più attuali. Le Lamentazioni sono cinque poemi alfabetici che uniscono al pianto per la caduta di Gerusalemme nel 587 a.C. un invito alla penitenza e un forte sentimento di fiducia nel Signore.
Capita, leggendo l’AT, di trovarsi di fronte ad affermazioni che fatichiamo a comprendere. Alcune di esse riguardano anche la preghiera. Perché parole buone non ottengono i risultati sperati? La nostra indagine studia brevemente la preghiera nell’AT in genere, per poi presentare alcuni casi in cui, sotto la superficie delle espressioni, è possibile cogliere aspetti problematici, false sicurezze che rendono inautentica la relazione con Dio.