Il Medioevo è un tempo ancora poco definito e uno spazio dai confini labili, una dimensione storica scarsamente conosciuta che continua a essere lo specchio deformante del nostro presente: "cose da Medioevo" si dice, come se non appartenessero ai giorni nostri. Per orientarsi in un Medioevo spesso invisibile a occhio nudo, ma che sottende tutta la nostra storia, bisogna quindi immergersi nel passato con un inventario d'autore e seguirne i percorsi, fatti di storie, personaggi, luoghi e intersezioni, cercando di dipanare una fitta trama di false credenze. Il risultato è il viaggio inusuale e sorprendente che ci propone questo libro.
Quel 24 luglio 1923 fu il giorno in cui scoppiò la pace? Sì e no. La pace è una condizione temporanea, non un'entità permanente: è instabile. Un trattato di pace annuncia, da un punto di vista normativo, la fine delle ostilità fra gli Stati, ma non la fine delle violenze o dei risentimenti. Quel giorno terminò il decennio della Grande Guerra, ma ciò che subentrò fu un ordine internazionale precario e pur sempre caratterizzato dalla violenza. A Losanna si disinnescarono alcuni conflitti, ma si innescarono nuove ostilità. Marx aveva ragione: noi tutti creiamo la nostra storia, ma non nella maniera in cui crediamo di farlo. Il 24 luglio 1923 venne firmato a Losanna l'ultimo trattato che poneva fine alle ostilità della Grande Guerra. Jay Winter racconta ciò che accadde quel giorno e come milioni di civili si trasformarono in ostaggi, scambiati per il raggiungimento della pace: la maggioranza dei cittadini greco-ortodossi della Turchia perdette il diritto di cittadinanza e di soggiorno in quello Stato, lo stesso accadde alla maggior parte dei cittadini musulmani della Grecia. Di fatto venne introdotta nel diritto internazionale una definizione di cittadinanza basata sulla religione. Il secondo prezzo della pace fu pagato dal popolo armeno al quale non venne riconosciuta una patria nelle terre da cui era stato espulso. E così il 24 luglio 1923 la pace venne prima della giustizia e aprì la strada alle forze che porteranno nel 1939 alla guerra globale.
Profetesse, mistiche, false sante, streghe, riformatrici, libere pensatrici animano il vasto popolo delle eretiche, di quante si sono ribellate in cerca di verità Le donne che hanno provocato scosse inaspettate e scardinato gli equilibri del loro tempo hanno pagato a caro prezzo le proprie scelte. Tante di loro sono state considerate eretiche e per questo condannate, perseguitate, ridotte al silenzio. L'eresia è stata studiata attraverso i protagonisti maschili, mentre poca attenzione è stata riservata alle provocatorie e alternative esperienze femminili. Per colmare questo vuoto e restituire al concetto di eresia il valore originario di scelta, Adriana Valerio ripercorre due millenni di storia raccontandoci le vite di donne - dalle montaniste a Margherita Porete, da Giovanna d'Arco a Marta Fiascaris fino alle donne dell'Anticoncilio del 1869 e alle moderniste - tutte decise a lottare, conoscere, predicare ed esercitare ministeri in nome di una nuova chiesa inclusiva e senza confini.
L'ondata epidemica degli ultimi anni ci ha costretto a fare i conti con i limiti delle nostre sicurezze. Siamo stati rimessi di fronte a una vulnerabilità che può sempre riemergere in forme nuove, facendoci sentire più vicini ai drammi attraversati, con ben minori possibilità di difesa, nei secoli lasciati alle spalle. L'impatto con la crisi si fissa sempre nella memoria: diventa cronaca di cui si scrive e si discute, su cui intervengono poteri e istituzioni, trama di narrazioni che possono arrivare a farsi letteratura e storia. L'antologia che presentiamo ripercorre i momenti più significativi di questo dialogo ininterrotto tra le patologie diffuse per contagio e la comunità degli attori umani. Dalla peste di Boccaccio passando attraverso Guicciardini, Federico Borromeo, Muratori, Verri, Parini, Manzoni, De Amicis e altri autori siamo condotti fino alle ripercussioni delle epidemie di vaiolo, di colera, di influenza spagnola. Si conclude con una prima sintesi panoramica sui riflessi in campo narrativo dell'epidemia da Covid-19, che ci proiettano nel cuore di una vicenda i cui effetti non potranno essere dimenticati per il loro peso e il carattere globale.
Prima che il concilio di Trento (1563) lo codificasse rigidamente, nel basso medioevo il matrimonio mantenne a lungo una natura laica, mutevole e versatile, caratterizzata da una grande variabilità di pratiche e modelli. Pare quindi più opportuno parlare di matrimoni al plurale, abbandonando la visione univoca dell'istituto affermatasi solo dopo Trento. Nel volume si farà, pertanto, ampio riferimento non solo ai matrimoni legittimi e codificati, ma anche all'esteso ventaglio di quelli incerti e irregolari, come i matrimoni a tempo, le unioni di fatto, i matrimoni plurimi, le convivenze more uxorio o i rapporti concubinari; si passeranno in rassegna le diverse forme di unioni trasgressive, dal ratto all'adulterio, dai matrimoni finti e simulati sino a quelli violenti e forzati; si rifletterà, infine, sulle forme proibite o a stento tollerate, come i matrimoni interconfessionali, la promiscuità interreligiosa e le unioni con gli esclusi e i marginali.
Questa storia della scuola in Italia, che vede il contributo di alcuni dei massimi specialisti, abbina il rigore storico e lo sguardo pedagogico, proponendo una struttura a tre livelli. Nel primo si presenta la situazione di partenza, gli Stati italiani prima dell'Unità, mentre nel secondo livello si ricostruisce lo svolgersi storico dei diversi ordini e gradi scolastici: asili nido e scuole dell'infanzia, scuola primaria, istruzione post-elementare e secondaria (con specificazioni sull'istruzione magistrale e su quella tecnica e professionale), università. Nel terzo livello si approfondiscono tre problemi trasversali, come la visione di genere (le donne a scuola), i rapporti tra istituzione ed economia, le complesse relazioni tra la scuola italiana e la religione cattolica. Per finire, un confronto tra la situazione attuale della scuola in Italia rispetto agli altri Paesi europei e agli Stati Uniti. Introduzione di Fulvio De Giorgi. Contributi di: Nicola S. Barbieri, Paolo Bonafede, Pietro Causarano, Daria Gabusi, Angelo Gaudio, Andrea Mariuzzo, Tiziana Pironi, Maurizio Piseri, Fabio Pruneri, Vincenzo Schirripa, Caterina Sindoni.
Le polemiche che hanno caratterizzato la celebrazione dei centocinquanta anni dell'Unità d'Italia si sono spesso focalizzate sul crollo del Regno delle Due Sicilie e sulla fine dei Borboni. Un fronte antirisorgimentale giustizialista, alla ricerca di colpevoli e di complotti, ha oggi la presunzione di scrivere ciò che gli storici di professione non avrebbero mai scritto o avrebbero volutamente occultato. Renata De Lorenzo parte proprio dal confronto con le mitologie correnti, propone una rilettura attenta delle dinamiche interne ed esterne al contesto meridionale che dal post 1848 al 1861 hanno messo in crisi i modelli culturali di una dinastia e della "nazione" napoletana. E ricostruisce la fine del Regno borbonico, facendo il punto sulle contraddizioni e le complessità della vita politica, della società e dell'economia del Sud alla vigilia dell'Unità.
Renata De Lorenzo insegna Storia contemporanea e Storia dell’Ottocento presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università «Federico II» di Napoli. Membro del Consiglio di Presidenza dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano e Presidente della Società napoletana di Storia Patria, si è interessata di problemi istituzionali e di modernizzazione dell’apparato statale nel secolo XIX, con attenzione alle dinamiche del territorio. Per la Salerno Editrice ha già pubblicato Murat (2011).
In Italia i crimini di guerra commessi all'estero negli anni del fascismo costituiscono un trauma rimosso, mai affrontato. Non stiamo parlando di eventi isolati, ma di crimini diffusi e reiterati: rappresaglie, fucilazioni di ostaggi, impiccagioni, uso di armi chimiche, campi di concentramento, stragi di civili che hanno devastato intere regioni, in Africa e in Europa, per più di vent'anni. Questo libro ricostruisce la vita e le storie di alcuni degli uomini che hanno ordinato, condotto o partecipato fattivamente a quelle brutali violenze: giovani e meno giovani, generali e soldati, fascisti e non, in tanti hanno contribuito a quell'inferno. L'hanno fatto per convenienza o per scelta ideologica? Erano fascisti convinti o soldati che eseguivano gli ordini? O furono, come nel caso tedesco, uomini comuni, 'buoni italiani', che scelsero l'orrore per interesse o perché convinti di operare per il bene della patria?
Quel pensiero non sarebbe venuto alla sua luce, o alla sua ombra, senza essere provocato da quella immagine, che diviene essa stessa sintesi sensibile di una dimensione dell'umano. Da Mantegna a Kiefer, una sequenza di incontri ravvicinati e rischiosi con icone irrinunciabili della nostra civiltà. Donne, bambini, anziani: sono gli attori di un dramma ormai al centro di una nuova attenzione, protagonisti di un fermo-immagine che comunica rassegnazione e dignità. Quadro-icona dell'esilio ottocentesco, I Profughi di Parga di Francesco Hayez racconta il trauma dello sradicamento. È la vicenda di una piccola città greca, ceduta nel 1819 dagli inglesi all'impero ottomano, un caso internazionale che monopolizza anche l'interesse di Ugo Foscolo. Ma i gesti, gli sguardi smarriti che ci catturano in questo dipinto, coinvolgono lo spettatore dei nostri giorni come quello di allora, poiché sono gli stessi, per noi familiari e recenti, dei profughi afghani e ucraini, e di coloro che a centinaia sbarcano sulle coste delle nostre isole.
John Fitzgerald Kennedy è il presidente degli Stati Uniti per antonomasia. Una figura di grande carisma della compagine democratica americana, ucciso il 22 novembre 1963 a Dallas mentre era in visita ufficiale alla città. Bruno Vespa racconta il mito della presidenza Kennedy durata poco più di due anni. A sessant'anni dall'assassinio di Dallas, una ricostruzione critica, tra pubblico e privato, di una delle figure più importanti della storia americana, dal giuramento del 1961 al fatidico giorno del 1963 che cambiò per sempre il paese. Quella di "Jack" Kennedy è stata una parabola che si è interrotta nel suo momento più alto, facendo sprofondare l'America nel suo lato oscuro. Vespa ne ripercorre la vicenda nelle sue luci e nelle sue ombre, con l'esperienza del grande giornalista e la capacità del fine analista della storia.
«Non è una punta, ma una massa prodigiosa. Il lungo braccio della Cresta Nord-ovest, con i suoi speroni secondari, sembra la cattedrale di Winchester dopo una nevicata.» George Leigh Mallory, 1921. È l'Everest: sui suoi pendii da un secolo si cimentano i migliori alpinisti del mondo, da Eric Shipton a Reinhold Messner, da Edmund Hillary a Krzysztof Wielicki, Anatolij Boukreev, Doug Scott, Simone Moro e Alex Txikon. Ma anche avventurieri, topografi, sognatori, scienziati e figure eccezionali come quelle degli sherpa. Un secolo fa, nella primavera del 1921, una spedizione britannica lascia le piantagioni di tè di Darjeeling per dirigersi verso la base della montagna più alta del mondo, l'Everest. A partire da quel momento il Big E sarà teatro di una serie di vicende che rimarranno scolpite nella memoria storica dell'alpinismo: dalla scomparsa di George Mallory e Andrew Irvine nel 1924 alla prima ascensione da parte di Edmund Hillary e Tenzing Norgay nel 1953. Dalle imprese solitarie e senza ossigeno di Reinhold Messner nel 1978 e nel 1980 al fenomeno delle spedizioni commerciali dei giorni nostri, che vede centinaia di persone pagare alte cifre per raggiungere la cima, e alle esperienze dei protagonisti odierni delle scalate. Stefano Ardito racconta in queste pagine l'affascinante storia di cento anni di spedizioni. È una storia fatta di coraggio, intelligenza, paura, ma anche di tanti altri aspetti, dall'evoluzione tecnologica delle attrezzature alle trasformazioni geopolitiche che hanno influito sull'alpinismo.