Da garanti del nuovo ordine democratico, costruito dopo la tempesta della guerra e i vent'anni di dittatura fascista, i partiti hanno svolto a lungo una funzione cardine, fino a identificarsi con lo stesso Stato e ad accreditare un'equazione distorta, come estrema difesa di un ceto politico sempre più delegittimato: democrazia uguale regime partitico. Con la fine della prima Repubblica, la nascita di nuovi soggetti politici e l'affermarsi del bipolarismo, inizia in Italia una fase di transizione complessa e ancora incompiuta. La cesura intervenuta nei primi anni Novanta impone una rilettura dell'intera parabola dei partiti, per spiegare le ragioni del loro dissolvimento, le loro identità e le loro culture in una scena politica profondamente cambiata, così come profondamente cambiata è la cornice internazionale alla quale per mezzo secolo il vecchio sistema ha fatto riferimento.
Secondo l'autore, quindici anni dopo la fine della Democrazia cristiana e dell'unità politica dei cattolici, la responsabilità di animare una presenza organizzata dei cristiani nell'Italia bipolare è interamente affidata ai laici credenti. Spetta a loro assumere pienamente il valore dell'alternanza, scegliere con chiarezza il campo riformatore o quello conservatore, evitare l'illusione sia di poter ricostruire un partito simile alla Dc sia di potersi rifugiare in un moderatismo perdente o in un fondamentalismo falsamente rassicurante. E solo affrontando appieno le sfide dell'identità, della laicità e dell'etica pubblica che i cattolici italiani potranno contribuire a scrivere un nuovo alfabeto sociale, rinnovando il proprio apporto al bene comune e al futuro della nazione. Serve una nuova stagione di impegno civile e politico, che Luigi Bobba delinea nella sua geografia ideale muovendo da una lunga esperienza maturata nel mondo dell'associazionismo.
Si può diventare comunisti dopo il 1989? Esserlo già stati è un altro conto: ma diventarlo (o ri-diventarlo)? Per Vattimo è possibile e doveroso visto che nessuna terza o quarta via, accettando di fatto il sempre più rigido elitarismo del capitale, è in grado di invertire l'odierna deriva d'ineguaglianza, in Italia e nel mondo. Se infatti il suo itinerario intellettuale - che l'autore descrive come una "lunga marcia attraverso le opposizioni" - si è sempre svolto in prossimità delle sinistre, è però solo con la fuoriuscita dai Democratici di Sinistra nel 2004 che Vattimo ha finito pienamente per ritrovare le ragioni della critica marxista alla democrazia borghese, schierandosi contro la dirigenza dalemiana e contro ogni sbiadimento riformista. Una versione certo personale dell'ideale comunista, ma al contempo ancorata alla sua tradizione storica e alla sua fondamentale esigenza di equità. Un comunismo anarchico, libertario e antitotalitario, debole ma non "debolista", che si serva degli strumenti del "sovversivismo democratico", che sia in grado di rinunciare a un "economicismo" ormai moralmente ed ecologicamente insostenibile; un comunismo che valga non solo come ideale regolativo, ma anche come efficace linea-guida nella realizzazione storica di una società giusta e realmente democratica: è questa la scommessa che Vattimo affida a questo manifesto lucido e sfrontato, persino brutale nella sua franchezza.
"Lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non è in grado di garantire." Questa celebre tesi costituisce il centro del percorso intellettuale di Böckenförde, che spazia dal pensiero politico alla dottrina della costruzione, dalla storia delle idee alla teoria del diritto. È a partire da quella tesi che si è sviluppato il noto dibattito tra Habermas e Ratzinger sul ruolo della religione nelle società democratico-pluraliste e sulla loro crisi etico-culturale. L'intuizione fondamentale di questo lavoro è che quanto costituisce la forza e l'identità della modernità politica sia anche la fonte della sua perenne difficoltà. Ovvero che il prezzo della secolarizzazione, la quale accompagna lo Stato costituzionale di diritto, sia un permanente deficit di legittimazione, che deve essere colmato attraverso un'opera di autoriflessione culturale e etica diffusa, senza illudersi sulla presunta autosufficienza delle procedure. Modernità non può né deve significare neutralità assoluta. Dalle indagini sulla natura dello Stato moderno e sul suo ruolo nella laicizzazione delle società, fino all'analisi della prospettiva sopranazionale europea come compimento di un patrimonio costituzionale comune, nutrito di cultura politica e non solo di tecnocrazia, attraverso l'approfondimento di grandi classici come Hegel e Schmitt, il saggio offre un percorso ragionato del pensiero di uno degli esponenti più rappresentativi della cultura giuspolitica tedesca contemporanea.
Karl Popper, Isaiah Berlin, Raymond Aron, Norberto Bobbio, Hannah Arendt e George Orwell - ma anche figure più contraddittorie e dal percorso non lineare, come Theodor W. Adorno - hanno resistito alle lusinghe del potere dei regimi illiberali del fascismo e del nazionalsocialismo, come del crescente potere comunista, e non hanno rinnegato i propri ideali. A queste figure-modello Ralf Dahrendorf ha trovato un nome: erasmiani li chiama, in omaggio a Erasmo da Rotterdam, che già cinquecento anni fa dimostrava, non senza contraddizioni, di possedere le virtù che rendono alcuni immuni alle tentazioni dell'illiberalità. Gli "uomini-Erasmo", sostiene Dahrendorf, non sono eroi, non sono lottatori della resistenza, sono invece accomunati da un atteggiamento mentale - la sapienza dell'osservazione impegnata e la saggezza della ragione dolente - che li aiuta a mantenere la rotta anche attraverso tempi in cui altri intellettuali, come Martin Heidegger, spesso fanno naufragio. La lucida penna di Dahrendorf esplora biografie esemplari di una generazione che, nata tra il 1900 e il 1910, ha sperimentato sulla propria persona la seduzione del potere totalitario senza cedere, per tratteggiare una generale dottrina della virtù della libertà che travalica il tempo. Un libro che è al tempo stesso affresco d'epoca, ricostruzione storica e illuminante saggio di etica politica.
Risultato di più di vent'anni di ricerche e analisi sul tema della violenza, delle sue espressioni estreme, dei suoi usi politici e degli esiti che hanno scandito la storia del XX secolo, questo libro si propone di reperire una logica, per quanto atroce e terribile, nell'inferno dei genocidi. Il che è possibile solo attraverso una minuziosa ricostruzione dei tragitti politici, delle poste in gioco, delle tattiche e strategie per mezzo delle quali la violenza ha potuto trapassare - superando interdetti ancestrali relativi alla stessa concezione dell'umanità - in pratica genocidiaria e purificazione etnica. La violenza in questione è quella estrema, apparentemente più ingiustificabile e terrificante, che Sémelin invita a guardare senza subirne gli effetti sideranti o addirittura l'atroce fascinazione, e che diventa comprensibile non appena venga inscritta nelle condizioni, nei meccanismi e nei processi che conducono alla messa a morte di massa. Il libro prende in considerazione in particolare le tragedie della Shoah, dell'ex Iugoslavia e del Ruanda, alla ricerca degli "operatori" logico-storici che hanno funzionato nel progetto di distruzione del popolo ebraico, nel programma di pulizia etnica attuato in Bosnia e nel genocidio ruandese, mettendo a confronto ricerche, resoconti e testimonianze, e intrecciando al lavoro di carattere storico l'analisi psicologica, sociologica, antropologica, politologica.
Un saggio di Gustavo Zagrebelsky - una riflessione - che poggia su convinzioni maturate in lunghi anni di dedizione all'argomento, in cui vengono descritti significati e storia di un modello politico che aspira all'uguaglianza, al dialogo e all'esercizio dei diritti di ciascuno e di tutti. Completa il volume una scelta di testi sul concetto di democrazia, significativi seppur non tutti canonici, di autori d'ogni tempo: Erodoto, Aristofane, Cicerone, Montesquieu, Tocqueville, Brecht, Orwell, Arendt, Bobbio e Carillo.
Dall'agosto 1846 al giugno 1847 Giuseppe Mazzini, esule a Londra, pubblica sul "People's Journal" otto articoli sulla democrazia. Con questi interventi, di cui in Italia è stata pubblicata soltanto la rielaborazione in italiano fatta da Mazzini stesso nel 1852, uno dei "padri" del nostro Risorgimento si inserisce a pieno titolo nel dibattito europeo sulla democrazia, iscrivendo di fatto il proprio nome tra i suoi protagonisti più illustri: Tocqueville, Blanc, Cabet, Proudhon.
Fin dalla prima lezione questo corso tenuto da Michel Foucault al Collège de France nel 1978-1979 si caratterizza come la continuazione del precedente. Dopo aver mostrato come l'economia politica, durante il diciottesimo secolo, segni la nascita di una nuova razionalità nell'arte di governo - governare meno con il massimo dell'efficacia in funzione della naturalità dei fenomeni che si hanno di fronte - Foucault intraprende l'analisi della governamentalità liberale.
I corsi tenuti da Foucault negli anni 1977-1979 sviluppano un tema di riflessione unitario, che ne giustificano la pubblicazione contemporanea. Al centro dell'indagine sono le trasformazioni delle forme di potere che a partire dal Settecento e parallelamente all'affermarsi di un'economia di mercato portano ai governi di tipo liberale del Novecento. L'analisi prepara e rende possibile la riflessione sullo statuto di libertà all'interno della governabilità liberale che sarà oggetto del corso immediatamente successivo, "Nascita della biopolitica" (1978-1979).