G.K, Chesterton era incapace di introdurre anche solo una traccia di moderazione in ciò che faceva - si trattasse di alimentarsi, naturalmente, ma anche di attività per lui ancora più naturali, come leggere, scrivere o parlare. E così quando decise di raccontare attraverso una serie di ritratti - da Bentham a Carlyle, da Dickens a Hardy - l'età vittoriana;, di cui lui stesso era una specie di ultimo, umorale testimone, scrisse questo libro unico e prezioso: una grande satira, che è anche un infinito atto d'amore. Una pagina dopo l'altra, l'intelligenza irrequieta e inclassificabile di Chesterton («Il compito dei progressisti è commettere errori; quello dei conservatori è di impedire che vengano emendati») riporta in vita uno dei grandi momenti della letteratura come l'abbiamo conosciuta, e come continuiamo ad amarla: lasciando spesso graffi, se non piccole ustioni, sulla nostra coscienza di vittoriani postumi, benché in larga parte inconsapevoli.
Davvero il Purgatorio è un'invenzione medievale, come sosteneva Le Goff? Quali testi letterari prima di Dante descrissero il viaggio nel Purgatorio? Il secondo volume della trilogia di Giovanni Fighera dedicata alla Commedia dantesca risponde a queste e ad altre do-man-de per inoltrarsi poi in questa cantica bellissima, pur-troppo non sempre apprezzata quanto l'Inferno. Ri-tornano la luce, il cielo stellato, la notte a testimoniare che l'ansia di redenzione che si è manifestata nelle anime purganti anche solo per un istante in terra trova risposta nell'infinita misericordia divina. Dominano gli affetti, le amicizie, il senso della coralità e della comunità. Dante viator incontra i grandi amici già defunti, i poeti che gli sono stati maestri nell'arte della scrittura, attraversa le sette balze dei vizi capitali dovendo, infine, dire addio al maestro Virgilio e ritrovare Beatrice nel Paradiso terrestre. Nell'Eden perduto, però, le sorprese non sono finite. Il viaggio di Dante è la nostra stessa avventura della lotta quotidiana nel cammino verso la piena felicità.
Amici e redattori dagli anni Sessanta, quando entrambi lavoravano alla Bompiani, Umberto Eco e Paolo De Benedetti hanno, per gioco intellettuale, tracciato i profili l'uno dell'altro. De Benedetti ha ritratto il grande semiologo e scrittore, Eco ha ritratto l'originale ebraista, teorico di una teologia degli animali. Pagine che, attraverso l'ironia della prosa e dei versi, sono una festa dell'intelligenza nel mostrare volti inediti. Al punto che Eco ha trasposto la figura di De Benedetti nel personaggio di Diotallevi, il redattore esperto di giudaismo ne Il pendolo di Foucault.
Questo libro tenta di raccontare la comunicazione, la sua storia e le sue forme, la fatica che è costata all’uomo da quando ha impresso l’orma della mano sul muro buio di una caverna. Il racconto di queste pagine è un invito a conoscere e riconoscere gli strumenti del comunicare vecchio e nuovo per scrutare il presente che è già Storia. Imparare i media del proprio tempo risponde alla stessa esigenza espressiva che pulsava nei “writers” delle spelonche e si fa imperativa per partecipare al dialogo a moltissime voci tra i cittadini del III millennio.
Jean-Luc Nancy esplora il mistero della poesia, la singolarissima dinamica attraverso cui, nel tessuto difficile del testo, si da un accesso al senso. Di fronte alla pretesa scientifica di un'illuminata approssimazione al vero, di fronte la conversazione infinita della filosofia, la filosofia resiste alla dismisura del discorso. Il poetico è allora la possibilità della lingua di dire in modo esatto, di custodire il senso sulla soglia del silenzio. Per questo la poesia è così necessaria in un'epoca che si scopre, più di altre, esposta alla chiacchiera. In questo ree saggio e nel dialogo con il poeta Perre Alferi, figlio del filosofo Jacques Derrida - testi entrambe tradotti per la prima volta in italiano - Nancy si interroga su cosa sia il poetico e sui motivi della sua caparbia resistenza nel discorso umano.
Fenoglio è scrittore epico, sia pure di un'epicità tragica, dominata dall'esposizione alla sconfitta e alla morte. Purtroppo egli ha subito vessazioni editoriali che lo hanno privato della possibilità di pubblicare, in forma completa e rifinita, il suo capolavoro, quello che uscì postumo col titolo "Il partigiano Johnny". Della grande saga (il «libro grosso» di cui Fenoglio scriveva a Calvino nel '57) fu pubblicata, vivente l'autore, solo la parte iniziale col titolo "Primavera di bellezza", che si conclude con la morte del protagonista e quindi con l'impossibilità di proseguirne le vicende. Ma Fenoglio è anche autore di un grande racconto ancora di ambito partigiano, "Una questione privata", dominato dal tema della disperata passione amorosa, e di alcune straordinarie narrazioni di ambiente langhigiano, confluite in parte nel precoce "La malora" e in "Un giorno di fuoco", uscito nell'anno della sua scomparsa, il 1963.
Venezia 1894. Trentasei anni lei, trentuno lui. Un incontro fortuito, quello tra Eleonora Duse e Gabriele d'Annunzio, che segna l'inizio di una storia lunga un decennio. Un breve tratto nell'arco di una vita, ma per entrambi capitale. Gabriele offrirà alla sua musa una serie di capolavori; Eleonora li metterà in scena. Nasce con questo giuramento il motto araldico della coppia: «More than love». Lui, infatti, è perentorio: esige «più che l'amore». Lei lo corrisponde a oltranza, recitando un trasporto da Baccante orgiastica: «Vorrei potermi disfare tutta! Tutto donare di me, e dissolvermi». Al banco di prova, però, la verità sarà un'altra. Occorreranno anni prima che d'Annunzio prenda atto che l'attrice simula un consenso che si guarda bene dall'accordargli. In questo libro Annamaria Andreoli mette in discussione la vulgata, confermata da oltre un secolo, che dipinge la Duse come sottomessa al Vate. Se corrispondono al vero passione, tradimenti e umiliazioni, sono da ribaltare i ruoli: fu lui la vittima e lei il carnefice. È quanto emerge dai numerosi documenti, sottoposti a nuovo esame con un'avvertenza: a varare la favola dei divi amanti fu Gabriele, maestro nel creare leggende. La personalità carismatica di una donna ben lontana dai cliché dell'epoca e lo sfolgorio di una società europea in cui il teatro e la cultura italiana erano protagonisti sono i cardini di una vicenda che non smette di affascinare.
"Questo volume raccoglie un ciclo di letture organizzato per i detenuti del carcere di Opera (Milano) con l'intento di descrivere il percorso umano che ha condotto Dante dalla 'selva oscura' al bene supremo del paradiso, cioè il destino buono che attende ogni persona che lo cerca e lo domanda. 'Il Paradiso è la compiuta felicità per cui l'uomo si sente nato e a cui la mano della Provvidenza può guidarlo a partire da qualsiasi 'selva oscura'. Dante è l'uomo della speranza: egli vuole testimoniare di aver visto dove può arrivare - anzi, dove è destinato ad arrivare - il cammino umano e che vale la pena fare il cammino anche nei momenti più gravi e faticosi perché c'è un punto di arrivo buono e certo. Leggere il 'Paradiso' vuol dire farsi accompagnare da Dante fin nel cuore di questa positività e di questa speranza. Allora apparirà utile, anzi necessario, fare anche il percorso dell''Inferno' e del 'Purgatorio', perché sono passi verso questa meta'." (dall'introduzione dell'autore)
Petrarca non è stato solo il poeta di Laura, il letterato che ha dato un indirizzo imperituro alla lirica nei secoli. Egli è stato molto altro: un colto pensatore politico, un precursore in campo linguistico, un pioniere nella ripresa umanistica del genere dialogico. Ancora, uno dei grandi lumi dell’Europa moderna, che ha saputo osservare dall’alto i confini delle discipline e delle nazioni. Colui, infine, che con la sua autorevolezza e molteplicità di interessi, con la sua forse ingenua ma sincera vocazione per la pace, aprì le porte della riflessione moderna su questo tema.
Un tema che è oggetto, ora, di una pubblicazione, Petrarca, l’Italia, l’Europa, a cura di Elisa Tinelli (edizioni di pagina, pp. 448, euro 21), che raccoglie gli Atti del Convegno di studi (Bari, 20-22 maggio 2015), con interventi di: A. Andreoni, A. Antonazzo, G. Baldassarri, G. Bonifacino, D. Canfora, G. Cascio, S. Castellaneta, C. Cavallini, L. Chines, C. Consiglio, C. Corfiati, G. Dell’Aquila, G. Distaso, L. Geri, R. Girardi, P. Guaragnella, M.D. Limongelli, F.S. Minervini, L. Mitarotondo, M. Mongelli, J.-L. Nardone, R. Palmieri, G. Perucchi, A. Quondam, I. Ravasini, R. Ruggiero, S. Rutigliano, P. Salwa, B. Sasse, G. Scianatico, M. Sciancalepore, P. Sisto, F. Tateo, E. Tinelli, S. Valerio, P. Vecchi Galli, P. Vescovo, P. Viti.
L’unità degli studi e delle prospettive, l’ammirazione per l’antico e il gusto per la modernità, fatta di recupero e al tempo stesso di rinnovamento, di rigore filologico e di varietà linguistica e disciplinare: questo il lascito maggiore dell’umanista aretino, ciò su cui si cerca qui di gettare qualche luce, con contributi dedicati alla fortuna italiana ed europea – non univoca e costante, ma comunque straordinaria – di Petrarca attraverso i secoli, a partire già dai suoi tempi e dall’età, l’Umanesimo, che più di altre riconobbe in lui un autentico maestro di studi, per giungere all’epoca del trionfo della letteratura volgare e, infine, ai giorni nostri.
Rimasto sostanzialmente sconosciuto assieme alla sua poesia per oltre un secolo, Hölderlin si è trovato al centro di una grande attenzione nella stagione che ha assistito alla fine del vecchio ordine europeo, in particolare a partire dal 1914, anno in cui sono stati pubblicati i suoi testi inediti. Un’attenzione che continua ancora oggi e che coinvolge nell’indagine della sua opera un numero sempre maggiore di discipline. Non a caso è autore studiato e citato da papa Francesco.
Il volume offre un’interpretazione di alcune delle poesie di Hölderlin che mettono in luce un progressivo movimento di rottura con le idee fino ad allora dominanti nel panorama della cultura occidentale. Il congedo da quelle idee si può riassumere nella separazione del divino dal mondo e dal linguaggio umano, con il lascito di un silenzio minaccioso. È qui che la narrazione cristiana assume un nuovo significato rispetto alla ricerca di un linguaggio adeguato per nominare il divino. Proprio nel congedo da tutte le idee dominanti e nella ricerca di un nuova modalità espressiva risiede l’attualità dell’opera di Hölderlin.
Sommario Introduzione. I. Le poesie a Hölderlin. 1. «Empio e dissacrato», Hermann Hesse. 2. «... il dio che precorre fuori di quella morte ti spingeva», Rainer Maria Rilke. II. Le poesie di Hölderlin. 3. Quand’ero fanciullo. 4. Il congedo. 5. Ritorno a casa. Ai parenti – mancano i sacri nomi. Epilogo e panoramica. Note.
Note sull'autore Jakob H. Deibl insegna al Dipartimento di «Ricerca sulle basi fondamentali della teologia» della Facoltà cattolica di teologia dell’Università di Vienna.
Il saggio evoca, da Dante, al Manzoni, ai poeti contemporanei, la presenza, nella creazione poetica e nella memoria collettiva, di Maria “manto di misericordia”. Non è un mito antico e oggi desueto: i due secoli a noi più vicini, il XIX e il XX, dalla proclamazione dogmatica dell’Immacolata Concezione (1854) a quella dell’Assunzione (1950), hanno anzi accentuato, soprattutto lungo le sofferenze collettive delle due guerre mondiali, la meditazione mariana. Questo breve saggio vuol essere un excursus e un omaggio alla poesia nata intorno alla Donna, madre di Dio; si completa di un ricco apparato di rinvii storici, che fa del volume un piccolo scrigno della tradizione mariana.
Perché Péguy, oggi? Che cosa hanno da dirci le inquietudini di questo scrittore francese, «morto sul campo d’onore» oltre un secolo fa, nella prima battaglia della Marna? Socialista, dreyfusardo, poi convertito al cattolicesimo, tradizionalista, patriota, Péguy appare agli occhi di Finkielkraut come un «profeta disperato» del malessere spirituale moderno.
Animo perennemente insoddisfatto, sempre alla ricerca di una verità più grande di quella contemplata dalla scienza e dalle ideologie del suo tempo e comunque non limitata all’orizzonte della storia e del sapere umano, Péguy è stato emarginato dalla cultura di sinistra cui pure appartenne, ma di cui rifiutò dogmi e pregiudizi. Eppure, la sua riflessione sulla modernità – sulle implicazioni dell’affare Dreyfus, sul nazionalismo che avrebbe portato alla prima guerra mondiale, sui cambiamenti sociali prodotti dal progresso tecnologico, sulla scomparsa della tradizione, sul declino della religiosità, sulla miopia degli intellettuali, sulla decomposizione della famiglia – è imprescindibile per chiunque voglia capire la crisi di certezze che caratterizza il nostro tempo.