Il testo prova a tracciare i termini del magistero di papa Francesco che contengono una sorta di vera e propria “teologia biblica”, cioè una visione di Dio e dell’uomo a partire dalla Scrittura. Il suo insegnamento, infatti, sia espresso in modo autorevole nei documenti che nelle omelie quotidiane, è riconducibile a una delle dimensioni fondamentali della teologia biblica, quella kerigmatica.
Capita, leggendo l’AT, di trovarsi di fronte ad affermazioni che fatichiamo a comprendere. Alcune di esse riguardano anche la preghiera. Perché parole buone non ottengono i risultati sperati? La nostra indagine studia brevemente la preghiera nell’AT in genere, per poi presentare alcuni casi in cui, sotto la superficie delle espressioni, è possibile cogliere aspetti problematici, false sicurezze che rendono inautentica la relazione con Dio.
I nove libri pervenuti del "Commento a Giovanni" di Origene commentano il prologo, il battesimo di Gesù al Giordano, la cacciata dei mercanti dal tempio, la controversia con i giudei e la profezia di Caifa, la lavanda dei piedi, la preghiera di Gesù al Padre. Inizialmente sollecitato dalla polemica con Eracleone gnostico, Origene si confronta direttamente con il testo di Giovanni fino a lasciarsi prendere esclusivamente da questo. Il piano speculativo proprio del Commento lascia intravvedere il contesto scolastico dell'elaborazione, del procedimento ipotetico, della genesi del pensiero. D'altra parte la differenza dei luoghi, dei tempi, degli interlocutori all'origine dello scritto esalta la continuità di una tensione di ricerca che mai si allenta. Lo studio segue lo svolgimento dell'esegesi origeniana e su questa via per così dire sistematica rinviene la profondità del disegno dell'opera, che ha il suo centro nell'intersezione di pensiero cristologico e pensiero trinitario.
E’ un viaggio, questo, che attraversa i due Testamenti, il primo e il nuovo, alla ricerca della relazione tra giustizia e pace. Nella storia di Israele, se il richiamo del primato di Dio e della sua giustizia, nei testi profetici e sapienziali, è una costante, la pace, frutto della giustizia, è collegata alla figura messianica del “Principe della pace”.
Alla corte celeste va in scena un processo. Satana e i suoi siedono beffardi sul banco degli accusatori ed elencano tutti gli errori, le incongruenze, le differenze e le oscurità che emergono nei singoli Vangeli e nel confronto tra i quattro testi. La disputa si svolge davanti al Padre eterno, con il Figlio e lo Spirito Santo come assistenti, Maria e Giuseppe come testimoni. Il processo altro non è che l'esame degli aspetti e dei brani più problematici dei racconti evangelici, presentati e discussi come prove a carico dei quattro autori. L'accusa: hanno scritto in modo così pasticciato e contraddittorio che la lettura dei Vangeli fa perdere la fede. Satana e i suoi chiedono pertanto al Dio di condannare i quattro e di proibire la lettura dei testi. Il tono del narratore è burlesco e divertito, ma la sostanza è una risposta argomentata alle domande e alle obiezioni che nascono in chi prende il racconto evangelico come mera cronaca di fatti accaduti.
L'argomento trattato dal Cardinal Martini in questo volume, frutto di un corso di esercizi spirituali, è quello della coscienza apostolica. Ogni cristiano, sull'esempio degli apostoli Pietro e Paolo, deve essere consapevole di essere "mandato" da un altro per compiere un'opera che non è sua. Il cristiano non è uno che si rimbocca le maniche pensando di dover compiere chissà quale impresa, che organizza strategie di azione, che fa leva sulla capacità e sull'efficienza. Non deve perseguire un suo progetto. Piuttosto, il cristiano deve vivere il dinamismo della risposta a Dio che amandolo lo chiama e che chiamandolo lo manda al mondo, facendolo così partecipe del "mandato" che Gesù riceve dal Padre. Oggi, come ribadito più volte anche da Papa Francesco, soprattutto nell'Evangelii gaudium, è urgente che la nostra fede maturi verso una coscienza missionaria totalmente relativa alla missione del Figlio. In tal senso, questo libro di Martini anticipa un po' la visione di Chiesa di Papa Bergoglio.
Il cofanetto propone in un unico CD formato MP3 le quattro conferenze de card. Gianfranco Ravasi, tenute nei mesi di novembre e dicembre 1996 e già disponibili in audiocassette, che vertono sulla ricerca del "volto" di Cristo nell'Antico Testamento:
I conferenza: Cristo nell’Antico Testamento? Un discorso sul metodo d’interpretazione.
II conferenza: Figure e modelli messianici nelle sacre Scritture ebraiche.
III conferenza: Una selezione di testi biblici messianici, diretti o allegorici.
IV conferenza: Il giudaismo, il Messia e Gesù Cristo.
La misericordia di Dio non è un concetto astratto e inafferrabile. Nel libro dell'Esodo la Bibbia ci mostra come essa si inscriva all'interno di un racconto, toccando la vita degli uomini e del popolo. La rivelazione del Sinai è la rivelazione del Nome divino, che vuol dire presenza di Dio nella storia e nel futuro del popolo. Il Signore è il Dio che è con me, che dai cieli si china per camminare al mio fianco.
Una ricerca di antropologia biblica che intende offrire alcuni spunti di riflessione su chi è l'uomo raccontato dalla Bibbia secondo il modo in cui la leggono e la presentano sia l'Antico che il Nuovo Testamento. L'Autore presenta in maniera semplice i vari tipi di uomo che emergono, di volta in volta, dallo svolgersi della storia della salvezza, puntualizzando ciò che l'uomo è di fatto e ciò che Dio desidera che lui sia.
Nei primi otto versetti del libro dell'Apocalisse per ben tre volte si fa riferimento al tema della venuta. Già i classici greci e latini insegnavano che ogni buon autore annuncia all'inizio ciò che poi svilupperà nel corso della sua opera e che in prologo ed epilogo avviene un vero e proprio scambio diretto di messaggi e di avvertenze tra autore e lettore. Con i primi otto versetti e, quindi, anche in Apocalisse 1,7 l'autore stringe una sorta di «patto narrativo» con chi inizia a leggere affinché non vada fuori strada nell'interpretazione. Questo libro propone per la prima volta un'analisi completa e sistematica di Apocalisse 1,7 in tutte le sue sfaccettature: collocazione, struttura, composizione, testi e contesti cui si fa allusione, rimandi tematici a paralleli sparsi nel libro. La conclusione mette in evidenza anzitutto la grande inclusione cui l'autore dà vita prima collocando l'annuncio della venuta del Trafitto in apertura del libro, e poi mettendo sulle labbra di lui, alla prima persona, la promessa che ciò avverrà sollecitamente: «Ecco, io vengo presto!». In secondo luogo, un po' a sorpresa, quella conclusione mostra come l'Apocalisse, con la sua ricchissima Cristo-logia, sia in realtà basata sulla Teo-logia e ad essa orientata.
L'apporto di James Dunn alla ricerca biblica difficilmente potrebbe essere sovrastimato, in particolare per il contributo da lui fornito alla liberazione della chiesa e delle chiese da una concezione del vangelo predicato da Paolo inteso in chiave eminentemente antigiudaica. Questa nuova opera, rivolta a un pubblico più generale, tratta dell'autorità della Scrittura come parola viva, la parola di Dio come veniva ascoltata nel cristianesimo delle origini e la parola di cui si nutre oggi il credente mosso dalla fede. Dunn mostra come «fede» partecipi del linguaggio della relazione e come sue compagne siano la fiducia, il convincimento, la rassicurazione - pur nell'incertezza. In un contesto simile l'autorità della Scrittura non è da intendersi nel senso che «ciò che la Bibbia dice, lo dice Dio», come vorrebbe un'idea di inerranza che poco ha a che vedere con la Scrittura stessa, ma che per essere compresi in modo adeguato gli scritti biblici richiedono d'essere di volta in volta riferiti alla situazione storica originaria così come a quella di chi oggi li legge.
La sapienza biblica è incomprensibile se non viene considerata nell'ampio contesto culturale del Medio Oriente. Essa, infatti, rappresenta lo specifico contributo d'Israele a una corrente di pensiero prodotta nella vasta area geografica compresa tra l'Egitto e la Mesopotamia. La civiltà egiziana, di quasi due millenni precedente l'Israele biblico, ha avuto grande influenza nella letteratura sapienziale biblica (soprattutto nel libro dei Proverbi e del Qoèlet) in cui si riscontrano echi sia delle Istruzioni composte e trasmesse presso le corti faraoniche, sia delle Lamentazioni, genere largamente utilizzato per affrontare i temi della caducità della vita o per la denuncia delle ingiustizie sociali. Sumeri, assiri e babilonesi, attraverso le loro avanzate strutture educative, furono i trasmettitori di una grande tradizione sapienziale - da rintracciare nei miti che raccontano l'origine del cosmo e dell'uomo - a cui Israele ha attinto a piene mani, soprattutto durante il periodo esilico, per esempio l'Epopea di Gilgamesh, di grande importanza per comprendere i racconti biblici delle origini dell'universo e del diluvio. Nel pensiero ebraico la sapienza ha sempre costituito il luogo «laico» di speculazione filosofica sui problemi dell'uomo e sulle circostanze concrete della vita: il dolore, l'insuccesso, il lavoro, la sfortuna, la morte. Davanti a tutto ciò i saggi propongono atteggiamenti da acquisire, strade da percorrere, scelte da abbracciare, stili di vita che siano propri dell'uomo credente. A tutto ciò essi giungono con lo stupore e la meraviglia di chi si china davanti al mistero divino, praticando il timore di Dio che essi non esitano a definire «radice della sapienza».