Il 21 dicembre 2012 è ormai visto come un’ineluttabile scadenza, come una data di non ritorno. C’è chi paventa la fine del mondo, chi invece parla di una nuova era; c’è chi predice la fine della vita sulla terra a causa di una catastrofe ambientale e chi invece preconizza una terza guerra mondiale che annienterà l’umanità.
Tra i mille profeti di sventura, gli autori di questo libro sono una voce fuori del coro che mette in guardia dai falsi allarmismi, indicando la prospettiva corretta nella quale collocare i “segni dei tempi” che sono sotto gli occhi di tutti e che fanno presagire un imminente cambiamento. Si tratta anzitutto di capire che quello della fine del mondo è un argomento vecchio quanto il mondo stesso, una tesi che periodicamente ritorna e che non ha alcuna seria conferma scientifica. Tale ricorrente predizione è anzi sintomo di quel catastrofismo che è la vera malattia del terzo millennio, una fobia diffusa ad arte da chi detiene il potere dell’informazione per creare smarrimento e nichilismo.
L’antidoto è il ritorno all’esperienza cristiana, l’unico avvenimento religioso nella storia che permette di guardare alla realtà in tutti i suoi fattori e di affrontarla con uno sguardo positivo. L’unica esperienza in cui la certezza e l’attesa della fine dei tempi illumina il futuro dell’umanità di una nuova speranza ed esalta la responsabilità degli uomini a lavorare per costruire un mondo migliore, più degno dell’uomo.
Qual è il mistero che si cela dietro la morte di Caravaggio? E dov’è finito il suo corpo? Da chi scappava quando nel luglio 1610, dopo mesi di fughe avventurose, sbarcò sulla spiaggia toscana di Porto Ercole? Era davvero un assassino? Ricercato dalle autorità dello Stato pontificio, condannato alla pena capitale, provato dal lungo viaggio, nei suoi ultimi giorni di vita Caravaggio è un uomo solo, che sa di non potersi più fidare di nessuno, nemmeno dei suoi protettori di un tempo. Secondo alcuni sta tentando di sfuggire a un misterioso cavaliere deciso a vendicare con il sangue un’offesa subita, mentre il cardinale Borghese e il viceré di Napoli attendono nell’ombra la morte del pittore per impadronirsi delle sue opere. Nel corso dei secoli si sono susseguite ipotesi fantasiose e verità parziali, ed è in questa foresta di supposizioni che si nasconde Il mistero Caravaggio. Coniugando ricerca storica, scienze forensi e moderne tecniche di investigazione scientifica, questo appassionante viaggio nella memoria fa luce su uno dei gialli più affascinanti della storia dell’arte, nell’ambizioso tentativo di identificare le spoglie del maestro del chiaroscuro. Attraverso documenti originali, Il mistero Caravaggio ricostruisce la biografia dell’artista, ne delinea un nuovo profilo e offre una prospettiva inedita sui fatti di sangue che lo videro protagonista: la Roma delle feroci lotte politiche e delle gelosie artistiche, l’omicidio che portò alla messa al bando del pittore e gli oscuri eventi legati alla sua ultima, disperata fuga. Una scia di intrighi e falsi indizi che racchiude un enigma lungo quattrocento anni.
Perché al mondo ci sono tanti imbecilli? E perché gli stupidi prosperano, riuscendo spesso a raggiungere posizioni di successo? La risposta è semplice: l'intelligenza non serve più. L'uomo se l'è lasciata alle spalle, come i peli che gli ricoprivano il corpo o la camminata a quattro zampe. Il segno più caratteristico dell'essere umano, quello che gli ha permesso di elevarsi dalla specie animale e, in una certa misura, di dominare il mondo, non è più necessario. Chi ha qualche dubbio, dia uno sguardo a ritroso, ai geni del passato, a Leonardo, a Michelangelo, a Einstein, e li paragoni con quello che ci offre il mercato. La conclusione è triste, ma inevitabile: gli intelligenti hanno fatto il mondo, gli stupidi ci vivono alla grande.
"Il problema nasce quando i nani si rappresentano il loro dio... E il problema è ancora più grave quando un nano si crede addirittura dio. Lei pensa che io stia alludendo? Non si sbaglia." Eravamo partiti dall'ars amatoria di Berlusconi e siamo arrivati ai condomini "facilitati" dei politici e alla crisi economica. In mezzo, tra commedia e tragedia, con accenti talvolta comici, il divorzio di B., il nuovo giornalismo alla Minzolini, le amazzoni di Gheddafi, il G8 all'Aquila e gli scandali che hanno investito la Protezione civile, l'attacco a Gomorra, Garibaldi, la crisi del Pd, il ddl sulle intercettazioni... Commenta Camilleri: "Pirandello ai suoi tempi sembrò cervellotico, oggi sarebbe cronista di scarsa fantasia". E conclude, riferendosi alla classe politica:"Per confrontarsi sulle idee, bisogna innanzitutto averle". Il viaggio nel "paese senza verità" (Sciascia) non smette di stupire.
Un tentativo di sistematizzare l'enorme influenza del sistema delle mafie nazionali (cosa nostra, camorra, 'ndrangheta, sacra corona unita, mafia tout court) ed internazionali nell'alveo del grande spesso equivoco affare che è il calcio. Più gioco che sport, quindi soggetto a trucchi, riciclaggi, controllo sul territorio, arruolamento malavitoso della gioventù. Una grande fotografia sull'esistente dai primordi del calcio scommesse al sistema attuale delle connivenze ad alto livello aprendo uno scandalo spaccato delle collusioni con le istituzioni e con gli ultrà. Dalla descrizione generale dell'intreccio calcio-mafia ai casi particolari scendendo lungo la penisola. Dal Lazio alla Sicilia, passando da Abruzzo, Puglia, Lucania, Calabria. Scoprendo che anche Provenzano, i Santapaola, gli Spatuzza ed i Pesce hanno frequentato il football nostrano.
In breve
Dieci lezioni e tre addenda che ruotano attorno al problema principale della filosofia politica oggi: una teoria della giustizia senza frontiere che mira a saggiare lo spazio delle possibilità politiche ai tempi della globalizzazione. Una dichiarazione di fedeltà alla limpidezza del pensiero e alla volontà di combattere le oppressioni del mondo. Edizione ampliata.
Il libro
“Le dieci lezioni sull’idea di giustizia, i miei prolegomena a una teoria della giustizia senza frontiere, mirano a saggiare lo spazio delle possibilità politiche ai tempi della globalizzazione. I limitati poteri della filosofia non esimono dalla responsabilità intellettuale di rispondere al fatto della globalizzazione tracciando i primi lineamenti di una teoria della giustizia. Sappiamo quanto severi siano i vincoli dello spazio che il mondo ci concede e conosciamo bene, in questi tempi difficili, quanto sia stretto il tracciato percorribile fuori dell’ambito della dura necessità pratica, quell’ambito in cui non c’è più margine per biasimo o lode. Ma non possiamo accettare che il fatto dell’oppressione, della crudeltà e dell’ingiustizia della terra riducano e mettano cinicamente o desolatamente a tacere il senso vivo della possibilità. Per quanto difficile possa essere, dobbiamo mantenere la promessa della duplice fedeltà di Camus. Alla bellezza e agli oppressi.”
(dall’Introduzione)
Nel binomio “fede e libertà” si rivela, e si ravvisa, la figura e l’opera di Giovannino Guareschi. Che in una esistenza breve, ma intensamente vissuta, ebbe modo di rendere testimonianza sia alla fede, sia allo spirito di libertà. Fede che gli diede forza e coraggio nei momenti cruciali: dai lager nazisti alla galera italiana, e mai lo abbandonò. Fede che percorre, per così dire, grande parte della sua opera letteraria: dalle pagine scritte durante l’internamento in Polonia e in Germa- nia, a quelle del “Mondo piccolo”, a quelle ancora del carcere parmense di San Francesco dove fu detenuto per 409 giorni. Di seguito, e forse di conseguenza, lo spirito di libertà: la libertà dei figli di Dio, che possono scegliere fra il bene e il male, che possono testimoniare o non testimoniare la loro fede, le loro idee e i loro ideali. E Giovannino non ebbe dubbi nelle scelte: difficili e tutt’altro che gratificanti sul piano pratico, in perfetta sintonia, però, con i suoi valori ideali e principi morali: scelte sempre compiute secondo coscienza, e non secondo convenienza. Giovanni Lugaresi ripercorre le pagine dell’opera guareschiana, evidenziando quanto intensamente si alzi la voce dell’Autore a sorreggere il binomio “fede e libertà”, e colloca la figura dello scrittore della Bassa in un orizzonte molto ampio e articolato, nonché di alto spessore morale e spirituale.
In breve
«Il primo stage è il contrario del primo bacio: di solito è il migliore. Per varie ragioni: ha nel suo dna giovinezza, entusiasmo, innocenza. Al primo stage non ci sono aspettative né rancori né disillusioni: è il primo contatto di una persona con il mondo del lavoro, e nella maggior parte dei casi è emozionante». Il peggio viene dopo: perché l’Italia ormai è una Repubblica fondata sullo stage, spesso utilizzato come espediente per risparmiare sul costo del personale. Ma quali sono le leggi che lo regolamentano? E come si fa a distinguere le occasioni buone dalle fregature? Eleonora Voltolina, direttore del sito Repubblicadeglistagisti.it, raccoglie le voci di tanti giovani che sono passati attraverso questa esperienza, indica le strade per uscirne indenni e lancia proposte per moltiplicare le ‘buone pratiche stagistiche’.
Indice
Premessa - 1. L’anomalia italiana - 2. L’esercito degli stagisti - 3. Gli stage giusti e gli stage sbagliati - 4. Si scrive «stagista», si legge «dipendente» senza soldi né diritti - 5. «Serial stagisti»: quando lo stage è un vicolo cieco - 6. Fatta la legge, trovato l’inganno - 7. Stage e soldi pubblici: tanto paga Pantalone - 8. Fuga da AlcaStage - 9. «C’è la fila»: mestieri ambiti, stage infiniti - 10. La Repubblica dei praticanti 11. C’è chi dice no - 12. E gli stagisti vissero felici e contenti - Appendice Carta dei diritti dello stagista - Decreto 25 marzo 1998, n. 142 - Note
In breve
Che il nostro paese produca cervelli che poi migrano all’estero è una verità fin troppo accertata. Ma non ci sono solo le storie professionali e creative della categoria “nemo propheta in patria”. Federico Taddia e Claudia Ceroni hanno scelto un’altra strada: raccogliere le storie di chi ce l’ha fatta, inventandosi un mestiere, utilizzando la fantasia per plasmare un futuro che non li faccia più sentire “fuori luogo”.
Il libro
Che il nostro paese produca cervelli che poi migrano all’estero è una verità fin troppo accertata. Ma non ci sono solo le storie professionali e creative della categoria “nemo propheta in patria”. Federico Taddia e Claudia Ceroni hanno scelto un’altra strada: raccogliere le storie di chi ce l’ha fatta, inventandosi un mestiere, utilizzando la fantasia per plasmare un futuro che non li faccia più sentire “fuori luogo”. Taddia e Ceroni hanno raccolto e rielaborato una quindicina di “casi”. “Storie di chi tende a qualcosa ma non fa tendenza, storie di chi viaggia anche senza partire, storie di chi è partito e non sa di avere qualcosa da raccontare, storie di chi ha cose da dire ma non ha occasioni per dirle, storie di chi vede dove altri non vedono, storie di chi non ci sta, di chi non si accontenta, di chi fa per il piacere di fare. Altre storie e storie altre, per raccontare altri italiani e altre Italie, in un leggero e ironico spazio dove si alternano e contaminano bizzarria, cultura, cronaca, stupore, passione, curiosità e meraviglia.”
Ed eccoli qui, i nuovi migranti: Luca, giovane architetto che da sempre ama la neve e che ha deciso di diventare architetto di igloo in Norvegia; Dario, appassionato di musica e docente di Semiotica, che ha mollato tutto per fare l’etnomusicologo a Helsinki; Marco, richiesto in tutto il mondo: è il massimo esperto di Bonsai; Cristiano, ex ingegnere e ora cantante gospel in una chiesa di New York; Roberto, che è partito da Sassari per fare il cantante rock in Lettonia; Licia, una milanese che ha seguito il marito negli Stati Uniti e si è ritrovata pastore anglicano.
Un secolo di storia italiana a partire dall'insediamento a Roma dei Savoia e attraversando due guerre mondiali, il fascismo, la liberazione, la fase di ricostruzione postbellica fino agli anni della dolce vita: è quella che ci raccontano sullo sfondo Tullio Kezich e Alessandra Levantesi, mentre in primo piano seguono le vicende lavorative, sentimentali e familiari di due personaggi di spicco della scena artistica e culturale del nostro Novecento, Emilio Cecchi e Silvio d'Amico. Il primo grande firma della terza pagina del «Corriere della Sera», elzevirista raffinato, autorevole e temuto critico letterario, storico d'arte e, per un certo periodo, direttore artistico della Cines; il secondo altrettanto autorevole e temuto critico teatrale, giornalista e scrittore, ideatore e direttore della Enciclopedia dello Spettacolo oltre che fondatore e per anni infaticabile animatore dell'Accademia nazionale d'arte drammatica. Con loro, la moglie di Cecchi, Leonetta Pieraccini, pittrice di livello che nel libro si impone a tutti gli effetti come una terza protagonista. Assai diversi per formazione, temperamento, mentalità questi due maestri, pur frequentando ambienti contigui e avendo amici in comune, viaggiano su strade parallele, finché nel 1938 i loro destini si intrecciano – galeotto l'amore sbocciato durante una vacanza a Castiglioncello – attraverso il matrimonio tra la figlia di Emilio, Suso, storica sceneggiatrice del cinema italiano, e il figlio di Silvio, Lele, musicologo principe.
Una dinastia italiana è una straordinaria saga ricca, nell'avvicendarsi delle generazioni, di figure memorabili: la regina Elena e Mussolini, Matteotti e Pavolini, Gaetano Pieraccini e Bottai; pittori come Fattori, Spadini, Soffici, Bartoli, Morandi, Scialoja; poeti come d'Annunzio, Cardarelli, Ungaretti, Pascarella, Montale, Quasimodo; scrittori come Pirandello, Bacchelli, Soldati, Moravia, Pavese, Gadda; filosofi come Croce e Gentile; letterati e giornalisti come Baldini, Prezzolini, Papini, Longanesi, Bellonci, Vittorini, Giacomo Debenedetti; critici d'arte e musicologi come Berenson, Longhi, Barilli, Labroca; teatranti e cineasti come Duse, Reinhardt, Gassman, Blasetti, Visconti, Fellini.
Si delinea così – in un alternarsi di slanci idealistici e compromessi «necessari», di lacerazioni private e riconoscimenti pubblici – un affascinante spaccato della società italiana dalla fine dell'Ottocento al boom. Ripercorrendo intuizioni creative, operosità, progetti di riforma, ma anche i rapporti con il potere di queste personalità, Una dinastia italiana ci aiuta a riflettere sul ruolo che hanno avuto gli intellettuali nell'evoluzione del paese.
Tullio Kezich (Trieste, 1928 - Roma, 2009), critico cinematografico su «Panorama«, «la Repubblica» e il «Corriere della Sera», produttore, drammaturgo, scrittore, è stato uno dei protagonisti della cultura italiana contemporanea. Ha pubblicato decine di libri, fra cui la fondamentale biografia Federico. Fellini, la vita e i film tradotta in più lingue. All'opera del maestro riminese ha dedicato anche il diario di lavorazione Noi che abbiamo fatto «La dolce vita» e Federico. Fellini. Il libro dei film. Con Alessandra Levantesi – critico cinematografico su «La Stampa», distributrice di film d'autore e organizzatrice di festival – ha firmato diversi adattamenti teatrali e la biografia di Dino De Laurentiis: Dino De Laurentiis, la vita e i film.
Negli ultimi tempi è in corso una profonda riflessione sulla figura dell’eroe, come ci è stata tramandata dai miti classici e dalla Poetica di Aristotele: sulla sua crisi, sulla sua decadenza o esaurimento, sul suo “lato oscuro” e nondimeno sulla sua necessità. Smontare la figura dell’eroe nei suoi aspetti odiosi e deteriori, per riconnotarla, sembra necessario e soprattutto stimolante. Chi è, in fondo, l’“eroe” oggi? Come raccontare di un eroe che però non sia... quell’eroe? Che possa, cioè, essere identificato e ricalato nell’agire sociale quotidiano? Si tratta di riempire quella “sfera d’azione” (anche etica) con gesti sensati, emblematici, fecondi per la comunità. Ma dove trovare le basi per ricostruire l’eroe/eroina? Con quale lanterna farci luce mentre lo/la cerchiamo? Porre queste domande è fondamentale, ed è il campo d’azione di questo nuovo libro di Wu Ming 4. L’obiettivo è di verificare se gli elementi classici in base ai quali la storia e la mitologia hanno identificato il profilo dell’eroe abbiano ancora un senso per noi, possano cioè ancora parlare alla nostra ragione, ai nostri sentimenti, anche in relazione alla drammaticità del vivere contemporaneo, che richiede sempre più prese di posizione in prima persona. Una ricerca sul campo, densa di echi letterari, sociali, psicologici, etici, un libro a tutto tondo firmato Wu Ming 4.
Wu Ming 4 è membro del collettivo di narratori Wu Ming, già autori del romanzo Q (Einaudi 1999) con lo pseudonimo “Luther Blissett”. Oltre ai romanzi di gruppo (54, Manituana, Altai), Wu Ming ha al suo attivo romanzi solisti, racconti di viaggio, reportages, saggi sulla letteratura. Ogni membro ha adottato un nome d’arte composto dal nome del collettivo più un numerale. Wu Ming 4 è autore solista del romanzo Stella del Mattino (Einaudi 2008), incentrato sulla figura di Lawrence d’Arabia.
Perché un altro libro sulla pena di morte? Non solo perché alcuni stati continuano ad affermare il loro “diritto di uccidere”, ma anche perché la pena di morte ci appare come un problema tuttora complesso e sfuggente, nonostante il grande rilievo dato a esso nel dibattito politico-giuridico contemporaneo. Tutti i saggi raccolti nel volume, infatti, si misurano con la natura enigmatica della pena capitale: una pena antichissima e ancora attuale; una pena che affonda le radici nei momenti più arcaici della nostra storia, ma continua a essere proposta come un indispensabile strumento di salvaguardia dell’ordine; una pena che attraversa l’intera storia dell’Occidente, ma è conosciuta e praticata anche da culture lontanissime dalla nostra.
L’obiettivo del libro è non tanto offrire un’informazione dettagliata sul presente e sul passato della pena di morte, quanto sollecitare domande e mettere in discussione presunte certezze. Traspare dal dibattito fra “abolizionisti” e difensori della pena di morte il decisivo problema del fondamento e delle modalità di impiego della violenza “legittima”. Proprio per questo, riflettere sulla pena di morte è un compito attuale e impegnativo. È un compito attuale perché infliggere la morte come pena, lungi dall’essere un residuo del passato, è una possibilità sempre aperta, una tentazione presente anche nelle nostre società. È un compito impegnativo perché può essere assolto solo da chi tenti di mettere in questione una tendenza di cui il nostro presente offre inquietanti testimonianze. È la tendenza ad adottare antiche e persistenti strategie di disumanizzazione dell’altro; la tendenza a inventare sempre nuove, minacciose figure di estraneità e a trasformarle nelle nostre prossime vittime sacrificali.