Le tredici epistole attribuite a san Paolo si distinguono in lettere maggiori, lettere della prigionia e lettere pastorali. Tra le maggiori, la seconda ai Corinzi è la più sofferta e personale. Il testo sembra essere una compilazione di più lettere e biglietti, piuttosto che uno scritto unitario, anche se non privo di una sopraffina organizzazione retorica. L'apostolo scrive perché sollecitato da informazioni riguardanti calunnie nei suoi confronti diffuse da imprecisati avversari. Dietro lo screditamento personale di Paolo si nasconde però un attacco frontale alla sua missione verso le genti. Di fronte al pericolo che a Corinto si possa decadere dalla purezza del Vangelo verso aspetti maggiormente legati alle forme e non più alla sostanza, con grande maestria Paolo riesce a controbattere agli avversari regalandoci pagine meravigliose in cui parla di sé, della sua mistica della debolezza, in una serie di passaggi di tale altezza da rendere a buon diritto la Seconda lettera ai Corinzi la magna charta del ministero apostolico.
Lo stile di Isaia indulge spesso al paradosso, all'ironia, all'ambiguità. È uno stile oscuro, che può condannare il destinatario antico e moderno all'incomprensione e all'indurimento (cf. Is 6,10 e 29,9-12). Integrando attenzioni sincroniche e diacroniche, il presente studio indaga tale aspetto sinuoso della lingua isaiana, esplorandone le concrete forme espressive, nonché l'impatto che esse ebbero sulla tradizione posteriore, cristallizzata nel deposito scritturistico. Pur non ignorando le molteplici sfumature di oscurità rinvenibili nel corpus di riferimento (Is 1-39), la ricerca si concentra su un segmento preferenziale dello stesso, il c. 29. Il testo, infatti, è frequentemente chiamato in causa per il suo carattere enigmatico, contradditorio, ambiguo. Nel suo insieme, Is 29 è anzi paradigmatico dell'oscurità isaiana: dei fattori che la produssero, dei coefficienti espressivi in cui essa si declinò, degli strascichi che essa lasciò nella tradizione posteriore e, infine, dello straniamento che essa continua a produrre sul lettore. Dall'indagine emerge una recezione controversa dell'espressività poetica del profeta, bilanciata tra accoglienza e superamento dei paradossi di siffatta comunicazione. Al contempo, l'indagine offre un quadro complessivo dell'oscurità isaiana, evidenziando, in particolare, la funzione poetica dell'ambiguità, dell'ironia e di un uso straniante della metafora.
Il presente studio tenta di ripensare la sofferenza attraverso un approfondimento condotto secondo un’angolatura particolare: quella della «ferita», a tutt’oggi priva di una trattazione specifica tra gli studi scientifici. Dopo un sintetico status quaestioni se un’analisi della terminologia biblica, si esaminano due pericopi di Geremia e il Salmo 38, l’unico del Salterio dove ricorre esplicitamente il tema in questione. Lo studio esegetico è condotto secondo le regole dell’approccio sincronico, in quanto più consono alla tradizione sia giudaica che cristiana. Attraversate le esperienze del profeta di Anatot, dell’orante del Salterio, del Servo di Isaia e del rabbi di Nazaret, morto e risorto, l’Autrice propone la ferita non solo come prospettiva ermeneutica entro cui leggere la storia, i rapporti con gli altri uomini e quelli con Dio, ma anche come luogo speciale e inedito in cui l’uomo si pone per vivere il dolore con uno spiraglio di futuro. «Ritengo che il lavoro di Gabriella La Mastra sia un bel contributo alla riflessione biblica e teologica sul tema della sofferenza. La sua tesi è uno specchio nel quale è riflessa la sua vita, segnata sì dal dolore, ma soprattutto dalla sua fede incrollabile» (NuriaCalduch-Benages).
Gabriella La Mastra, laureata in Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi di Siena (1990), ha conseguito la licenza in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico (2004) e il dottorato in teologia biblica presso la Pontificia Università Gregoriana (2014). Insieme a don Sergio Carapelli e ad altre due sorelle, ha dato inizio alla Fraternità di San Lorenzo (Pomaio, Arezzo). La conclusione del percorso accademico è coincisa con l’inizio di un cammino di sofferenza: colpita da due tumori, si è spenta il 26 gennaio del 2018.
Quindici canti (Sal 120-134) che segnano i passi di un pellegrino che sale verso Gerusalemme, verso il tempio. Chi ha cantato questi salmi? Un pellegrino? Forse un esule che ritorna nella sua patria? Oppure un levita durante la liturgia del tempio? Non lo sappiamo. Tuttavia, questi salmi delineano un cammino spirituale di ritorno alla nostra terra, e di incontro con Dio e con gli altri, che ogni lettore oggi può sperimentare. I Salmi delle salite diventeranno come uno specchio per rileggere la nostra vita, quel “pellegrinaggio” che è la nostra esistenza.
Matteo Ferrari, monaco benedettino camaldolese della Comunità di Camaldoli, è biblista e liturgista, autore di diversi libri. È vicedirettore dell’ISSR “Santa Caterina da Siena” della Toscana per il Polo di Arezzo e docente nel medesimo Istituto.
Ogni discepolo di Gesù affronta una lotta spirituale quotidiana contro il mondo, il peccato e Satana. Ma Dio non ci lascia impreparati e disarmati.
Ci ha messo a disposizione un’armatura perfetta e completa, che Gesù ha già indossato per noi fino alla croce, e ci fa realizzare la stessa potenza che ha reso possibile la risurrezione.
Questo libro è un vero e proprio manuale di battaglia che analizza ciascuno dei pezzi dell’armatura spirituale che Paolo descrive nella lettera agli Efesini, invitandoci a indossarla ogni giorno confidando nella vittoria di Cristo sul Calvario, nella certezza che la forza e la capacità per affrontare qualsiasi combattimento vengono da Lui.
INDICE DEL LIBRO
1. Preparati per la battaglia
2. La cintura della verità
3. La corazza della giustizia
4. Le calzature del Vangelo
5. Lo scudo della fede
6. L’elmo della salvezza
7. La spada dello Spirito
8. Pregare sempre
IAIN M. DUGUID è professore di Antico Testamento presso il Westminster Theological Seminary e pastore di una chiesa evangelica a Glenside, Pennsylvania.
Ha conseguito un PhD all’Università di Cambridge, ha servito come missionario in Liberia, e ha fondato chiese in Pennsylvania, California e Inghilterra.
A 97 anni, Annick de Souzenelle, autrice de Il simbolismo del corpo umano, affronta il capitolo quinto della Genesi, quello della genealogia di Adamo, e quindi dei patriarchi, da Caino e Abele fino a Noè. Dalla lettura dei testi ella ricava un’avvincente descrizione della posizione reale e simbolica occupata da questi grandi antenati. Ognuno infatti risulta essere un momento, un “mese” della gestazione del feto adamitico all’interno della nostra matrice cosmica. Spiega l’Autrice: «Torniamo perciò a quei sei primi patriarchi, inizialmente attenti a quanto essi ci rivelano della nostra umanità. [...] Ne darò conto finché ne ravviserò la ricchezza meditando sulla seconda parte della genealogia dell’‘Adam, offerta nel quinto capitolo della Genesi».
Il libro di Armando è un ottimo aiuto per "danzare nella pioggia". È una lettura del vangelo di Marco nei giorni della pandemia della primavera 2020. Diventa un'ottima guida per i giorni attuali di convivenza con il coronavirus. Resterà un aiuto per tutti i giorni di "pioggia quotidiana". L'autore legge con serietà il Vangelo, alla luce di un solido commento. Quindi mette "alla prova" la pagina della Parola con la storia, proponendo esperienze significative. Ne trae illuminanti suggerimenti per la vita di tutti. Un ottimo strumento per dire, ancora una volta, la forza dirompente del Vangelo. Un regalo per vivere, trovando, anche nei giorni di pioggia, una luce, uno squarcio, un sostegno. Imparando a camminare dietro al Maestro, per non smettere di sentirci dire "Non è qui, è risorto". Per prendere in mano con coraggio e speranza la nostra vita quotidiana.
Il Nome di Dio è misterioso e quindi ineffabile. Non possiamo dargli un nome. Sarebbe come conoscere la sua persona, che rimane inconoscibile. Eppure possiamo “chiamarlo”, possiamo invocarlo, rivolgerci a lui: possiamo dargli un nome.
Alberto Mello (Biella 1951), monaco di Bose e biblista, ha vissuto a lungo a Gerusalemme. Unisce alla conoscenza delle Scritture la passione per la sapienza di Israele. Presso le nostre edizioni ha curato alcuni classici della tradizione ebraica e ha redatto vari commenti biblici.
Con l'acribia e il rigore che lo distinguono, in questo saggio Joseph Fitzmyer prende in esame l'uso di «messia» nella letteratura ebraica e giudaica oltre che cristiana, portando alla luce lo sviluppo del messianismo agli inizi di giudaismo e cristianesimo, sulla base di una quantità di documenti fin qui non ancora raccolti. Ne risulta come le idee di messia siano nel giudaismo e nel cristianesimo radicalmente diverse, ma anche come in assenza del messia giudaico (nelle sue varie espressioni) non ci potrebbe essere un messia cristiano. Questo nuovo studio su un argomento tanto discusso mostra come posizioni che hanno condotto a fraintendere le diverse nozioni di messia e a servirsene come strumento di divisione, poggino su presupposti contraddittori e sovente poco chiari.
Il cammino della ricerca scientifica comporta un dialogo aperto ad ogni confronto perché la gioia della verità possa essere sempre più il riflesso della luce di Dio, che risplende nell'intelligenza umana. L'espressione "Veritatem inquirere" è un invito pressante a indagare nella ricerca della verità. Questo permette di conoscere più a fondo come si è espresso un autore o che cosa è racchiuso in una formula, segno - a sua volta - di una cultura e di una forma celebrativa del mistero cristiano. Il volume invita a sollevare lo sguardo sui primi cinque secoli toccando due argomenti per ogni periodo e riservandone uno per il quinto. E mentre la Presentazione offre il quadro circa la ripresa della collana e il senso della ricerca, la Postfazione invita al confronto tra i contributi dell'Autore e l'ambito specificamente cultuale, con tutto ciò che tale ambito comporta. L'Indice dei Nomi denota un orizzonte molto ampio dei termini della ricerca, e insieme un'occasione per proseguire negli intenti focalizzati e in altri appena accennati. Nella Veritatis gaudium papa Francesco invita ad assumere una formazione accademica garantita da un «impegno generoso e convergente verso un radicale cambio di paradigma, anzi ... verso una coraggiosa rivoluzione culturale». E questa potrà avvenire qualora si attivi «una vera ermeneutica evangelica per capire meglio la vita, il mondo, gli uomini». Si tratta in definitiva «non di una sintesi, ma di una atmosfera spirituale di ricerca e certezza basata sulle verità di ragione e di fede». Sono parole che invitano a continuare con coraggio e ampiezza di orizzonti culturali nell'impegno del veritatem inquirere.