Chi scrive, produce, vende, legge e fa leggere libri oggi si pone mille domande: l'accelerazione tecnologica sta rendendo obsoleto il libro di carta? Uccide l'idea stessa di libro? E cosa accade nella scuola? Ad esempio, bisogna far acquistare alla propria scuola un tablet per ogni alunno? Le discussioni sono concitate, intervengono ministri affrettati e coloni digitali zelanti pronti a sostenere qualsiasi novità tecnologica. Fioccano le immagini di una nuova generazione a suo agio con lo schermo tattile e l'indice sfiorante, che se pur sarà refrattaria alla lettura avrebbe nuove competenze digitali, tra le quali la capacità di navigare distribuendo l'attenzione su molti schermi. Questo libro sostiene alcune tesi controverse (ma anche di buon senso): che i cosiddetti nativi digitali non esistono e che se veramente esistessero la scuola farebbe meglio ad aiutarli a guardare fuori degli schermi; che non c'è un sostituto elettronico dell'insegnante; e soprattutto che il libro di carta sarà pure a rischio commerciale a causa del suo cugino elettronico, ma è assolutamente insostituibile dal punto di vista cognitivo, perché protegge e non aggredisce la nostra risorsa mentale più preziosa: l'attenzione.
"Un futuro perfetto" è il ritratto di una nuova visione del mondo, in totale rottura con le categorie tradizionali del pensiero liberale o conservatore. Steven Johnson propone un modello di sviluppo basato sulle peer network, le reti di pari capaci di trasformare ogni settore economico e politico in una realtà decentralizzata e partecipata, dai governi locali al movimenti di protesta, dal giornalismo ai nuovi modelli di assistenza sanitaria. Johnson esplora questa idea di progresso narrando una serie di vicende affascinanti, tra cui la progettazione del sistema ferroviario francese, la battaglia contro la malnutrizione in Vietnam o i curiosi "eventi dello sciroppo d'acero" e del servizio 311 a New York. In un momento storico delicato, in cui il sistema politico appare irrimediabilmente intasato di vecchie idee, "Un futuro perfetto" dimostra che il progresso non solo è ancora possibile, ma può assumere nuove forme.
Cosa è successo quando è apparsa la televisione in Italia? L'hanno capita prima i cattolici o i comunisti? Ha ancora senso l'idea di servizio pubblico? Che rapporti ha intrecciato con il cinema e la letteratura? Come è diventata il medium egemone inglobando altre forme espressive? Le nuove tecnologie ne sanciranno la fine o ne trasformeranno la natura e le sorti? Aldo Grasso, il nostro maggior esperto in materia, ha radunato i più importanti studiosi di media, italiani e stranieri, per disegnare uno scenario inedito sul più diffuso e popolare strumento di comunicazione. L'intento è quello di inaugurare un nuovo metodo di osservazione nei confronti di un universo finora ingabbiato in letture ideologiche o settoriali. La storia della televisione italiana viene invece qui affrontata nei modi saettanti e curiosi della Kulturkritik, con una coralità di voci che si rispondono, intessendosi l'una all'altra, incaricandosi di riflettere con competenza e autorevolezza sui molteplici aspetti della questione. Alla televisione italiana mancava un libro così, un libro che, con precisione filologica e visionarietà teorica, ne raccontasse le storie, i risvolti, le potenzialità.
Le tecnologie digitali sconvolgono il quadro antropologico finora noto. Virtualità, connettività universale e libero accesso alle fonti di informazione stanno riplasmando le facoltà cognitive dei ragazzi e dislocando altrimenti il sapere. Non è più là fuori, remoto, scosceso, paludato e spesso respingente; adesso sta tutto in tasca, a portata di mano, senza mediazione. Mentre i grandi mediatori - il sistema scolastico, ma anche gli istituti della politici e della società-spettacolo - si ostinano a brillare come stelle morte da tempo, ignare della propria fine. Il mondo non sarà più un posto per vecchi. L'ultraottantenne Michel Serres, epistemologo tra i più originali, registra sorridente quell'ineluttabile obsolescenza. Non trema, lui, di fronte al crollo di gerarchie e privilegi secolari, anzi rimane incantato dai suoi effetti più tellurici e si schiera incondizionatamente dalla parte dei ragazzi, capaci di un'intelligenza inventiva che è forza di svincolamento, nel corpo e nella mente.
Ogni mutamento epocale provoca profondi mutamenti nel lessico, che si presenta come espressione neutrale e oggettiva di processi sociali "naturali", ma nasconde invece una gerarchia di poteri: siamo immersi in un groviglio di parole attraverso cui pensiamo di esprimerci liberamente, ma in realtà siamo per lo più "parlati". L'analisi di Pietro Barcellona, filosofo e originale interprete della società contemporanea, è puntuale e spiazzante, rifiuta ogni tentazione riduzionista e attraversa con agilità i diversi campi del sapere, mette a confronto i filosofi, i poeti, gli economisti, ricostruisce la storia di alcuni termini chiave - riformismo, cittadinanza, merito, rivoluzione evidenziandone i progressivi slittamenti di significato. Un'espressione come "i mercati ci guardano", reiterata nella strategia comunicativa del neoliberismo, rievoca ad esempio le formule che, in epoche remote, facevano appello all'occhio divino che scruta il mondo per ottenere l'ossequio all'autorità; un termine come esodati nasconde invece, dietro la suggestione biblica, l'imposizione di un commiato dalla società, senza nemmeno la speranza della tragedia greca, in cui nell'esodo, ultimo canto del coro, il deus ex machina risolve improvvisamente una situazione senza via d'uscita. Mostrando come la crisi che viviamo sia tanto economica e politica quanto antropologica e spirituale, Barcellona esamina i rischi di un inaridimento del linguaggio celati dietro l'affermazione del pensiero unico...
Lo stato di salute del giornalismo italiano è una delle questioni più dibattute degli ultimi anni. Lo scontro intorno alla figura di Silvio Berlusconi ha portato la discussione su quale debba essere il ruolo della stampa a un tale livello di animosità e litigiosità da rendere pressoché impossibile qualsiasi tipo di analisi obiettiva e imparziale. Ferdinando Giugliano e John Lloyd, due giornalisti del "Financial Times", hanno cercato di compiere l'operazione più difficile: esaminare con distacco, profondità e competenza il panorama del nostro giornalismo. Vista dall'estero, l'informazione italiana sembra fondata sul presupposto che l'obiettività e l'equidistanza non siano possibili, che la neutralità rispetto a interessi e fazioni politiche sia irraggiungibile e che i giornalisti non possano evitare di assumere posizioni di parte. Ma è davvero così? Televisione, carta stampata e siti di informazione sfornano solo notizie condite con opinioni? Come funziona l'informazione in Italia? Unendo la loro esperienza da giornalisti, il distacco di chi osserva da lontano e un puntiglioso lavoro di ricerca, fatto di decine d'interviste ai protagonisti del nostro giornalismo (da Ezio Mauro a Vittorio Feltri, da Marco Travaglio ad Augusto Minzolini), Giugliano e Lloyd riescono a collocare la questione al di sopra dell'usurato dibattito sul regime berlusconiano e sull'informazione asservita, andando a illuminare le caratteristiche e i vizi di fondo del giornalismo italiano.
Il concetto di rete è oggi di moda: lo vediamo utilizzato nei più variegati contesti, dall’economia alla sociologia, dalla comunicazione all’antropologia, dalla matematica alla filosofia.
A partire dalla teoria sociologica di Manuel Castells, questo saggio si chiede se sia possibile ipotizzare una relazione tra Chiesa cattolica e società in rete, cercando di individuarne le condizioni di coesistenza, tra sfide
e possibilità, rischi e opportunità. I temi affrontati esprimono l’attualità dell’indagine svolta dall’autore: il virtuale e il reale; le nuove concezioni dello spazio e del tempo; la questione dell’identità; l’antropologia e la religiosità in rete; le comunità virtuali; le sfide per la Chiesa.
L'autore
Darlei Zanon è religioso paolino brasiliano, discendente di emigranti veneti. Laureato in Filosofia presso la Pontifícia Università Cattolica di Campinas e in Teologia presso la Facoltà gesuitica di Belo Horizonte, ha conseguito il master in Comunicazione, Cultura e Tecnologie dell’Informazione presso l’ISCTE-Università di Lisbona.
Il libro vuole far emergere, in maniera serena ma seria, i possibili effetti negativi dei media sulla concezione della vita dei giovani (consumismo, banalizzazione dei sentimenti,
paura, indifferenza e diffidenza sociale, impoverimento linguistico e nei processi di apprendimento, intolleranza, aggressività, concezione oggettificata della donna e così via). Tali effetti sono individuati non sulla base di valutazioni personali dell’Autrice, ma in base ai risultati dello straordinario patrimonio scientifico internazionale sul tema, che l’Autrice ha monitorato nel corso di tre decadi (il primo libro dedicato al tema è dell’82, Età evolutiva e televisione, ERI; l’ultimo impegno istituzionale è stato il Libro Bianco Media e minori, realizzato al Censis per l’Agcom). Il volume sceglie uno stile espressivo facile, nello sforzo di accrescere la consapevolezza diffusa di genitori e insegnanti, perché siano maggiormente coscienti rispetto ai messaggi mediatici e più capaci di interagire. Non è un manuale, è un libro che in forma leggera – ma non superficiale – intende proporre una critica costruttiva al modello culturale veicolato dai media.
L'autrice
Elisa Manna è responsabile per la Fondazione Censis del Settore Politiche
Culturali. È vicepresidente del Comitato istituzionale Media e Minori e membro del Consiglio Nazionale degli Utenti (Agcom). Fa parte del Consiglio pastorale della diocesi di Roma. Nel corso di trent’anni di attività ha diretto numerosissime ricerche nel campo dei media e delle politiche culturali e pubblicato diversi studi e approfondimenti.
Ogni comunicazione non è solo un suono tra la mia voce e il tuo orecchio, ma il trasferimento da una mia complessa struttura logico-informatica verso un altro tuo complesso informatico di pensieri significanti, di sentimenti ed arti esaltanti, e di espressioni trascendenti la fisicità di questo stupendo Universo. Il linguaggio significa l'anima e il suo conoscere: solo un Dio, misteriosamente Infinito e Onnipotente, poteva realizzare tutto ciò in questo magnifico cosmo di fuochi galattici, di palle e palloni e buchi neri, ma, soprattutto, di luce.
È in corso una rivoluzione che sta abbattendo antichi vizi nazionali, è la rivoluzione degli innovatori. Non la fanno riempiendo le piazze o dando l'assalto ai palazzi del potere. Ma cambiando le nostre vite: il modo in cui si fa scienza, si condivide la conoscenza, si fa impresa, si creano posti di lavoro, si producono beni, si amministra la cosa pubblica. Non sono casi isolati. È un movimento. Ci sono migliaia di startupper che il lavoro non lo cercano perché provano a crearselo inseguendo un'idea innovativa. E artigiani digitali che hanno aperto una fabbrica di oggetti sul proprio computer. E innovatori sociali che stanno modificando le istituzioni. Sta cambiando tutto perché abbiamo a disposizione la prima arma di costruzione di massa: Internet. Che non è una rete di computer, ma una rete di persone che provano a migliorare le cose senza aspettare niente e nessuno. Per questo "Cambiamo tutto!" è un libro sull'ottimismo. Sul perché dobbiamo essere ottimisti oggi in Italia. Il mondo attorno a noi può cambiare in meglio grazie a tre parole d'ordine: trasparenza, partecipazione, collaborazione. E alla voglia di ciascuno di noi di provarci.
"Facebook non è stato originariamente creato per essere una società. È stato costruito per compiere una missione sociale: rendere il mondo più aperto e interconnesso", ha detto Mark Zuckerberg agli investitori in occasione del debutto in Borsa, nel febbraio 2012. Oggi sappiamo che l'operazione non è stata un successo, ma l'opinione del fondatore non appare cambiata. In questo ritratto di Facebook e del "billionaire boy" che l'ha creato, attraverso le parole dello stesso Zuckerberg e le opinioni di un selezionato numero di "commentatori" (amici, colleghi, critici, insider, ammiratori ma anche detrattori), George Beahm fornisce diverse prospettive su di lui e il social network più usato al mondo, con particolari dall'interno, strategie di business e "lezioni apprese". Dagli inizi ad Harvard ai rapporti, a volte turbolenti, con i soci; dai modelli ispiratori primo tra tutti Steve Jobs alle contraddizioni sulla privacy, fino allo "stile hacker" che ispira l'innovazione continua in azienda, il libro è una lettura per comprendere l'anti-conformista con la felpa al quale tutti abbiamo affidato le informazioni più personali (e qualcuno anche il proprio denaro).
Viviamo oggi la grande transizione dal secolo delle Masse, il XX, al secolo Personal, il XXI, dove domina l'Individuo: siamo noi, padri e madri e figli e figlie, l'umanità decisiva perché online il Buio non prevalga sulla Luce. A patto di alimentare nei nuovi media digitali valori classici, tolleranza, ragione, equanimità, curiosità, allegria, critica, autocritica, libertà, dialogo e confronto. Molte delle innovazioni tecnologiche sono nate con uno scopo diverso da quello per cui le ricordiamo: il torchio a stampa riproduceva Bibbie in latino; il telegrafo lanciava SOS; la radio era solo un "telegrafo senza fili"; Arpanet, l'antenata di internet, era una difesa in caso di attacco militare. È stato con il "mutamento dei contenuti" che è avvenuta la rivoluzione. Quando gli stampatori pubblicano testi in volgare e i primi giornali, quando il telegrafo trasmette le corrispondenze degli inviati del "Times", quando Hitler e Roosevelt utilizzano la radio per fare propaganda. Oggi siamo a questo stesso passaggio dell'era cibernetica. Anche se abbiamo creato gli strumenti del domani, vi travasiamo ancora i vecchi contenuti: l'editoria che cerca una soluzione alla crisi negli e-book, la scuola che si mette online, la fabbrica che diventa digitale. "Il XXI secolo è l'epoca degli individui, - dice Riotta, - leader politici, tecnici specializzati e artigiani del web che creeranno i contenuti di una rivoluzione attesa da tempo e la cui battaglia per l'egemonia è appena iniziata".