La viva voce dell'intellettuale più lucida e appassionata del nostro tempo torna a visitarci per una formidabile resa dei conti sul potere, il femminismo, la fede, la letteratura. Ma soprattutto sulle dieci vite che ha vissuto con incantata sfacciataggine, senza paura, ripercorse oralmente nell'unica autobiografia organica possibile per una che ha attraversato il mondo correndo scalza, bruciando luminosamente ogni tappa. Alla vigilia di una morte che l'ha vista gioiosa come una martire capace di cantare mentre avanza verso i leoni, Michela Murgia ha trascorso una settimana a raccontarsi a Beppe Cottafavi, suo editor e amico. Le registrazioni di quella sua ultima estate, ancora piena di storie come lo erano state le cinquanta precedenti, danno sostanza a questo suo libro straordinario, arricchito da quattro splendidi racconti ritrovati e da altri testi perduti che l'autrice ha scelto e indicato tra un ricordo e l'altro. Da un simile stagno brulicante di vita, come quello sulle cui rive è cresciuta, affiora un arcipelago di dettagli intimi: innamoramenti e parentele queer, matriarche oristanesi che sgranano rosari di cinque colori per salvare ogni continente, madonne con la parrucca, uomini violenti e maestri sognanti, lezioni di lingua sarda e cultura coreana, di esegesi biblica e di scrittura magica, di politica attiva e di militanza culturale. Franca e visionaria, antifascista e immune dai compromessi, Murgia ci rivela com'è che una ragazza di provincia, addestrata a leggere il Vangelo e ad accontentarsi di sopravvivere, si sia messa in testa di cambiare il mondo invece, affidandosi a un'irriducibile aspirazione alla felicità.
Doveva avere sette anni, forse nove, non lo ricorda con esattezza Neige quando il suo patrigno ha cominciato ad abusare di lei. A parte il momento esatto in cui tutto ha avuto inizio (il trauma ha alterato per sempre la cronologia dei fatti), i ricordi sono perfettamente incisi nella mente e nel corpo della donna che Neige è diventata. La decisione a diciannove anni di rompere il silenzio, la denuncia, il processo pubblico, il carcere per lo stupratore, la vita nuova molto lontano dalla Francia. E quella donna si è interrogata a lungo se scrivere il libro che stringete tra le mani, perché trovava solo motivi per non farlo. Fino al giorno in cui il passato l'ha raggiunta e l'impossibilità di scrivere è diventata impossibilità di non scrivere. Questa che leggerete non è «soltanto» la storia di una bambina che è stata violentata per anni da un adulto; è la ricerca pervicace degli strumenti per dire di quell'altro luogo, il paese delle tenebre dove vivono tutti quelli come Neige; è il rifiuto netto della retorica delle vittime (nessuna resilienza, nessun oblio, nessun perdono); è la necessità di trovare semplici parole precise che dichiarino l'irreparabilità del danno; è l'urgenza di rendere testimonianza, sì, ma collettiva. Perché l'abuso si consuma in una dimensione separata di omertà e solitudine, una dimensione che è fisicamente la stessa in cui si svolge il resto della vita, ma che si sovrappone come un doppio di intollerabile nitore. Triste tigre è il viaggio in questa dimensione, è il dialogo necessario con i grandi della letteratura che questa dimensione l'hanno interrogata, e che hanno fornito all'autrice gli strumenti per tutto questo. Un libro, che usa la scrittura come un martello, attraversato da una domanda: colui che ha creato l'agnello ha creato anche la tigre?
Aveva quattordici anni Smita quando con la sua famiglia ha dovuto lasciare l'India in circostanze drammatiche. Una volta al sicuro in America, ha scacciato dal cuore la nostalgia per i crepuscoli aranciati e il profumo inebriante dei cibi che il padre le comprava dai venditori ambulanti e giurato a se stessa che mai più sarebbe tornata in quei luoghi che l’avevano così profondamente ferita. Ma anni dopo si ritrova a dover accettare con riluttanza l'incarico di coprire una storia di cronaca a Mumbai, per il suo giornale. Seguendo il caso di Meena, una giovane donna sfigurata brutalmente dai suoi fratelli e dai membri del suo villaggio per aver sposato un uomo di un'altra religione, Smita si ritrova di nuovo faccia a faccia con una società che appena fuori dallo skyline luccicante delle metropoli le pare cristallizzata in un eterno Medioevo, in cui le tradizioni hanno più valore del cuore del singolo, e con una storia che minaccia di portare alla luce tutti i dolorosi segreti del suo passato. Eppure, a poco a poco le sue difese cominciano a vacillare, i ricordi a riaffiorare e la passione a fare nuovamente breccia in lei. Sullo sfondo di un meraviglioso Paese sospeso tra modernità e oscurantismo, in un crescendo di tensione, due donne coraggiose e diversamente ribelli si confrontano con le conseguenze di due opposti concetti di onore e di libertà, in una storia indimenticabile di tradimento, sacrificio, devozione, speranza e invincibile amore.
Nei mesi successivi alla pandemia, nella caratteristica plaza del Nord di Barcellona, si svolge la settimana gastronomica alla presenza di un certo numero di food truck, i camion ristorante che offrono cibo di strada o specialità culinarie delle più svariate regioni del mondo. Sull'evento piomba gelido un fattaccio di sangue. Christophe Dufour, cuoco francese nemmeno quarantenne che gestiva - con il suo socio spagnolo, Eduardo Castillo, detto Bob - un camion specializzato in gastronomia francese, è stato assassinato con due pugnalate. Petra Delicado, mentre sulla scena del delitto cerca di frenare il suo vice Fermín Garzón che accetta con entusiasmo tutti gli assaggi che gli vengono offerti dai possibili testimoni, prova a fiutare una possibile pista. Ma nulla, o poco, emerge del passato della vittima. I ragazzi del furgone accanto hanno visto la sera prima una bella donna francese dai capelli neri parlare con Christophe e fare molti acquisti. L'ispettrice si mette a caccia della donna misteriosa e scopre ben presto che la sua identità e quella dello chef sono false, i nomi veri riconducono a una rete di narcotraffico. Petra nel frattempo è tormentata dal sospetto di una crisi coniugale, ma non è il momento per mollare l'indagine. Percorrendo a ritroso le varie tappe del food truck di Bob e il suo socio, i due poliziotti si ritrovano nei paesi della Catalogna a rovistare nel sordido mondo degli stupefacenti tra bar squallidi, centri sociali loschi, negozi che funzionano da copertura. Con una tensione che non lascia il lettore fino all'ultima pagina, un doppio finale a sorpresa stravolgerà tutte le attese e lascerà letteralmente scossi.
Il 25 aprile 1974, una data che pare ormai lontana anni luce, avvenne in Portogallo un fatto straordinario: sulle note di Grândola, vila morena di José Afonso, un gruppo di ufficiali dell'esercito diede avvio a una rivoluzione che pose fine alla più longeva dittatura d'Europa, durata quarantasette anni, dieci mesi, ventiquattro giorni e qualche ora. I fiori nelle canne dei fucili, simbolo della Rivoluzione dei garofani, furono un momento di speranza per un'intera generazione che, dopo il golpe del Cile del 1973, le feroci repressioni in Grecia, il fallimento della Primavera di Praga del 1968 e la guerra del Vietnam, vedeva finalmente trionfare i propri ideali. Furono in molti, come i protagonisti di questo libro Victor e Vasco, a partire da ogni parte d'Europa per assistere, almeno una volta nella loro vita, al trionfo della rivoluzione. Ma ogni viaggio, anche o soprattutto se fatto su una mitica Due Cavalli, senza navigatori e fuori autostrada, è un'avventura, un tragitto fatto di incontri, inconvenienti e sorprese per «seppellire i tiranni con una risata». Cosa resta oggi di quel viaggio iniziatico? Lo scopriranno i lettori che ritroveranno Victor e Vasco cinquant'anni dopo ancora sulle strade di Lisbona, sempre alla ricerca di un nuovo sogno per ricominciare. Come se la gioventù fosse un'eterna nostalgia.
È ingenua, ma il suo sguardo sbilenco vede ciò che gli altri ignorano. È vulnerabile, ma resiste alla ferocia del suo tempo. È un personaggio letterario magnifico. La voce di Redenta continuerà a risuonare a lungo, dopo che avrete chiuso l'ultima pagina. Redenta è nata a Castrocaro il giorno del delitto Matteotti. In paese si mormora che abbia la scarogna e che non arriverà nemmeno alla festa di San Rocco. Invece per la festa lei è ancora viva, mentre Matteotti viene ritrovato morto. È così che comincia davvero il fascismo, e anche la vicenda di Redenta, della sua famiglia, della sua gente. Un mondo di radicale violenza - il Ventennio, la guerra, la prevaricazione maschile - eppure di inesauribile fiducia nell'umano. Sebbene Bruno, l'adorato amico d'infanzia che le aveva promesso di sposarla, incurante della sua «gamba matta» dovuta alla polio, scompaia senza motivo, lei non smette di aspettarlo. E quando il gerarca Vetro la sceglie come sposa, il sadismo che le infligge non riesce a spegnere in lei l'istinto di salvezza: degli altri, prima che di sé. La vita di Redenta incrocia quella di Iris, partigiana nella banda del leggendario comandante Diaz. Quale segreto nasconde Iris? Intenso, coraggioso, "I giorni di Vetro" è il romanzo della nostra fragilità e della nostra ostinata speranza di fronte allo scandalo della Storia.
L'esame di maturità è alle spalle. Arianna non vede l'ora di raggiungere l'amata masseria dei nonni in Puglia e chiarire il legame con il suo Ayman. Ma Carolina, la sua ex migliore amica, ha un'occasione imperdibile per vendicarsi e la trascina con sé in un borgo dell'entroterra sardo. Come si aggiusta un'amicizia? Come si recupera il dialogo con una ragazza che si è persa nella sofferenza? Arianna riattiva la sua curiosità indagatrice e cerca di tessere una rete che riavvicini frammenti di cuore e persone, coinvolgendo il solitario nonno Nino, che cela un dolore antico, e Mario, affascinante viticoltore locale. La tela si dipana nello splendido paesaggio sardo, tra mare, vigneti e resti archeologici. Quando il rischio di restare intrappolate diventa reale, Arianna e Carolina dovranno trovare il coraggio di lasciare le certezze del passato per voltare pagina e affrontare... tutto quello che resta.
Mi chiamo Anna, ho sedici anni e mezzo. Sono un'adolescente matura, questo è quello chi si dice. Ma non so cosa sia l'adolescenza, non l'ho voluta e non l'ho vissuta. Nessuna primavera a stuzzicare i miei ormoni, piuttosto un letargo perenne. Mi trovo in ospedale: io sono la meno 40, cioè peso meno di 40 chilogrammi. Terzo piano, corridoio B: quello delle più toste. Siamo il vuoto che cammina, per chi riesce a stare in piedi. Difficile scrivere un lieto fine in quest'ala di ospedale. Difficile, come scoprire quanto vivere sia un dono meraviglioso. Età di lettura: da 11 anni.
Guardando con attenzione i più grandi libri per bambini, dall'Ottocento ai giorni nostri, si scoprirà un dettaglio in comune: sono stati scritti per bambini. Veri, in carne e ossa, con occhi scintillanti, orecchie attente e manine appiccicose. Sono a volte storie ispirate proprio da loro, da figli e figlie degli autori e delle autrici, avventure magari nate da racconti attorno al fuoco o accanto al letto, da pomeriggi in barca e vacanze di famiglia. Altre volte sono state create per la necessità più prosaica di mantenerli, quei figli, dando fondo al proprio ingegno per racimolare qualche soldo, per poi ritrovarsi con un capitale non solo economico, ma di immaginazione. Così le vicende personali e professionali degli scrittori più amati dai bambini - da James Barrie a Judith Kerr, da Beatrix Potter a Maurice Sendak - e quelle dei loro personaggi si intrecciano, si richiamano e si completano: Babar e Long John Silver, Tarzan e Spotty, Winnie the Pooh e Barbapapà, e mille altri si susseguono sulla pagina insieme ai loro ispiratori, per svelarci le avventure più varie, famigliari e storiche, dietro alla loro creazione e al loro successo. Il viaggio nel tempo che Cristina Petit intraprende in queste pagine è ricco, documentato, appassionante. Riscopre lettere, memorie, documenti, ricostruisce con empatia e vivacità narrative le trame di molte vite e di diverse epoche. E di pagina in pagina disegna una vera e propria dimensione alternativa della storia della letteratura per l'infanzia: quella che nasce dallo sguardo stesso dei bambini.
Una pubblicità sul giornale locale cambia la vita di Cédric: i cuccioli di un bovaro del bernese cercano casa. L'idea di allontanare la solitudine con un nuovo compagno lo attrae e diventa una certezza quando incontra il cucciolo dal 'colletto azzurro'. Solo la ricerca del nome è un'avventura. L'attesa è insopportabile, come quando due innamorati sono costretti a separarsi. Il suo arrivo è preparato con grande cura. Ubac, man mano che cresce, occupa, in ogni senso della parola, un posto sempre più essenziale nella vita del narratore. Un legame unico, naturale, assoluto in grado di far riverberare la gioia, il dolore, gli istanti irripetibili che cristallizzano i rapporti e l'inesorabile scorrere del tempo che li trasforma in ricordi. In alcune pagine, ci sembra di sentire l'odore tipico e riconoscibile del cane bagnato dalla pioggia, in quelle successive dimentichiamo persino che il protagonista sia lui e finiamo per assistere increduli e col cuore in gola allo stupefacente racconto della nostra stessa vita. È un libro ironico e commovente sugli incontri inattesi che ci regala il destino e che diventano legami indissolubili in grado di rivelarci chi siamo e quale sia la nostra idea del mondo e dell'amore.
Un sabato, con gli amici è il romanzo più sorprendente di Camilleri, pubblicato per la prima volta da Mondadori nel 2009. Non è un giallo. Anche se l'ingombro di un cadavere non manca, con gli interrogativi che pone, in margine a un finto quanto torbido tentativo di ricatto. E neppure difetta, il non giallo, di una forte tensione narrativa: subito inaugurata in copertina da quel segnale d'allarme dato dalla virgola del titolo che rende quanto meno ambigua, se non micidiale, la qualifica di amicizia. Il romanzo è spietato. Per esso, Camilleri ha dismesso gli estri umoristici e i colori del vigatese. Il non riscattabile teatro degli orrori gli ha imposto un italiano asciutto: veloce, affilato e freddo; addirittura raggelante. Volutamente imprecisata è l'ubicazione della storia. La città non ha nome. È astratta da ogni referenza. È solo il luogo della composizione, in un variare di interni borghesi (completati da una garçonnière condivisa), di un susseguirsi di dialoghi come in scene di teatro: con scarne didascalie, che rendono agevole il transito al racconto. Sono sei gli amici: tre uomini e tre donne in carriera. Hanno trascorso insieme gli anni di liceo e università. Formano adesso una comitiva esclusiva, rinsaldata da un lussuriare sostenuto dal cinismo e dall'ipocrisia; oltre che da un convulso ricambio di letti, che disegna un puzzle da ricomporre e continuamente aggiornare. La viziosità ha derive di depravazione, profondamente segnata com'è da infanzie violate o da traumi mai seppelliti. Gli amici si danno un appuntamento settimanale. È la rimpatriata del sabato sera. Per una volta, coinvolgono nel rito un compagno da tempo dato per disperso. L'ospite è scomodo, socialmente diverso. È gay dichiarato e comunista. Non ha soldi. Deve arrangiarsi. E soprattutto detiene fotografie pesantemente compromettenti per un componente del sodalizio. Viene trovato morto. Era caduto accidentalmente, sporgendosi ubriaco dal parapetto del terrazzo, si convenne. Il provvido tonfo aveva liberato la trista brigata, chiusa e refrattaria che, indisturbata, poteva continuare a ravvolgersi su sé stessa. Ma chi aveva dato la spinta, se spinta c'era stata?
Affascinante senza essere manipolatoria, rigorosa ma mai dogmatica, elegante seppure austera, irriducibilmente anticonvenzionale, eternamente sfuggente: così è Elizabeth Finch, docente del corso di «Cultura e civiltà» al college. Il suo carisma e la forza delle sue idee sono destinati a segnare per sempre il modo di pensare dei suoi studenti. O almeno di uno di essi. Questa è la storia che lui ci racconta. Ma, come direbbe Elizabeth Finch, «travisare la propria storia è parte dell'essere una persona». Il «Re dei Progetti Incompiuti», secondo la definizione della figlia adolescente, Neil si porta appresso un bagaglio di insuccessi lungo una vita: un'ambizione attoriale frustrata, due matrimoni falliti. Ma a quella prima lezione del corso di «Cultura e civiltà», tanti anni prima, il giorno in cui fece la conoscenza della docente Elizabeth Finch, Neil ebbe la sensazione di essere arrivato, per una volta, nel posto giusto. Sobria nell'abbigliamento, esatta nel dire e cristallina nel pensare, fumatrice incallita e insofferente del comune sentire, Elizabeth Finch - EF per la classe - incuneò fin da subito il grimaldello del libero pensiero nelle quiete coscienze dei suoi studenti, mai trattati come «oche all'ingrasso» da infarcire di nozioni, ma coinvolti in un continuo processo socratico di collaborazione, spesso caustico ma mai sprezzante, e fatalmente fertilizzato dall'elisir del carisma. Impossibile, per i discenti, non perdersi in congetture sulla sua inespugnabile vita privata e non restare colpiti dalle sue idee sulla Creazione: «Il mondo è male organizzato, perché Dio l'ha creato da solo. Avrebbe dovuto consultare qualche amico: uno il primo giorno, un altro il quinto, un altro il settimo, allora sì che sarebbe stato perfetto», sull'amore: «Esiste una parola più mistificante, abusata, fraintesa, più estensibile a livello di significati e di propositi, più contaminata dagli sputacchi di miliardi di lingue bugiarde, della parola "amore"? E c'è qualcosa di più scontato che lamentarsi di tutto questo?», sul pensiero unico: «Monoteismo. Monomania. Monogamia. Monotonia. Niente di buono inizia con questo prefisso», o su ogni altra area del sapere e del sentire, antico e moderno. Odiarla o amarla, non c'è alternativa. Neil rientra da subito nella seconda categoria, e vi rimane per decenni dopo la fine del corso, sposando il suo metodo critico e infine facendosi carico del suo progetto incompiuto: quello sulla figura di Flavius Claudius Julianus, ovvero Giuliano l'Apostata, l'ultimo imperatore romano non cristiano, la cui sconfitta in battaglia determinò l'instaurarsi a Roma del monoteismo ai danni di tutte le altre religioni e dunque, a detta di EF, la chiusura della mentalità europea e la fine della gioia. Neil ha ormai i capelli grigi quando si addentra nelle carte della sua antica maestra e forse amica, in cerca di verità mai svelate. Eppure Elizabeth Finch l'aveva avvertito fin dall'inizio: «Artificio, rigore, verità. Artificio non come opposto della verità ma spesso come sua manifestazione, ciò che lo rende irresistibile».