I Neanderthal sono un buon modo per raccontare la scienza delle nostre origini e i suoi formidabili progressi. Ne abbiamo bisogno ancora di più oggi, noi esseri umani dell'Antropocene, con tutte le sfide che dobbiamo affrontare. «Sono seduto su un grande masso di fronte al mare. Alle mie spalle la grotta del Monte Circeo frequentata dai Neanderthal». Con queste parole ha inizio un sogno: un incontro immaginario tra un paleoantropologo e l'ultimo dei Neanderthal. I due condividono le competenze di oggi e le esperienze vissute nel tempo profondo. Dialogano così sull'origine, sulle caratteristiche e sui comportamenti dei Neanderthal, come pure sul loro destino. Ne deriva l'affascinante narrazione di una specie simile alla nostra, ma anche profondamente diversa da noi, con la quale ci siamo confrontati dopo centinaia di millenni di separazione evolutiva. Non solo, però: la vicinanza genetica ha reso possibili incroci che hanno lasciato tracce durature in tutti noi. I Neanderthal sono ancora qui.
Quando Homo sapiens addomesticò alcuni animali e certe piante, poté abbandonare lo stile di vita nomade per adottarne uno sedentario. Vivere insieme agli altri stimolò la nascita di credenze e miti condivisi. Grazie a un immaginario comune i gruppi umani, nel frattempo accresciuti di numero, si lanciarono in progetti sempre più ambiziosi come la fondazione di città e regni, dando vita alle prime civiltà della storia. Questo secondo volume del graphic novel tratto dal bestseller Sapiens. Da animali a dèi continua la narrazione là dove Yuval Noah Harari l'aveva lasciata: Homo sapiens è l'unico a essere sopravvissuto all'estinzione delle altre specie umane e di gran parte dei grandi mammiferi, ed è pronto a conquistare il mondo. Ma si trattò davvero di una marcia trionfale? A questa domanda risponderà un gruppo assai eterogeneo di personaggi, tra cui lo stesso prof. Harari, che con autoironia interpreta se stesso, Doctor Fiction, con una passione a tratti pericolosa per le finzioni e i miti collettivi, il diabolico Mefistofele, che nei panni di un'umile spiga di grano cambierà il destino dell'uomo, la rigorosa ma non sempre equa Lady Justice, e infine l'acuto e gentile avvocato praghese Franz K. che ci aiuterà a vedere al di là del labirinto di regole in cui ci muoviamo - o rimaniamo intrappolati. Con "Sapiens. I pilastri della civiltà" l'analisi storica di Harari trova nel brio narrativo del racconto a fumetti un adattamento divertente e intelligente che non mancherà di entusiasmare tutti gli appassionati del cammino dell'uomo dall'antichità ai giorni nostri. Il secondo volume della versione illustrata sulla storia dell'uomo.
Asilo e rifugio per reietti, città promiscua, che cresce accogliendo gli stranieri e i vinti, concedendo la libertà agli schiavi, dove mescolare il sangue non è un tabù, ma una virtù: così appare Roma ai suoi albori attraverso i luoghi della memoria e i miti di fondazione. Lungi dall'essere motivo di imbarazzo, come avrebbero voluto i suoi nemici, questi racconti divennero la pietra angolare sulla quale i Romani costruirono la propria "identità" civile e politica. Molte sono le "Rome" che hanno preceduto quella di Romolo, eppure vi è una costante, una sorta di filo rosso che le unisce tutte: una costituzione "aperta", che si esprime nella capacità di accogliere e integrare lo straniero. I miti delle origini insegnavano che la romanità non scorre nel sangue di chi la possiede, non è, dunque, un dato biologico, testimone di purezza, ma piuttosto un merito culturale, che si guadagna per mezzo delle virtù sociali, adottando valori e modelli di comportamento condivisi, rispettando il diritto, obbedendo alle leggi. Si poteva nascere Romani, ma, cosa ben più importante, lo si poteva diventare.
Il volume raccoglie, in versioni opportunamente aggiornate, scritti che si estendono dal 1960 al 2021 e che riguardano prevalentemente le molteplici relazioni tra ebraismo e ordinamento giuridico italiano. I primi capitoli trattano della posizione degli ebrei in Italia, dall'Unità alla Costituzione repubblicana, passando attraverso le persecuzioni e la Shoah; dell'evoluzione dei rapporti con la Chiesa cattolica; dell'intesa costituzionale tra ebraismo e Stato del 1987 e la sua attuazione. Lo sguardo si allarga poi alla tutela della libertà religiosa e delle minoranze in genere, al contrasto delle discriminazioni, del razzismo e dell'antisemitismo in Italia e in Europa, concludendo con questioni attuali di diritto internazionale relative a Israele e alla lotta al terrorismo. Attraverso le riflessioni di un protagonista da sempre impegnato nel mondo ebraico e in quello del diritto, il volume ripercorre la non facile evoluzione dell'ordinamento italiano verso il pieno riconoscimento del pluralismo della società negli ultimi decenni e il contributo dell'ebraismo al riguardo. Le autorevoli prefazioni di Giuliano Amato e Riccardo Di Segni ne sottolineano il contributo alle discussioni attuali in tema di libertà religiosa in genere. Un libro, inoltre, che «non è solo una raccolta di scritti giuridici autorevoli ma una sorta di storia dell'ebraismo italiano nell'ultimo secolo, analizzato dalla prospettiva dei suoi problemi organizzativi, istituzionali, di rapporti con la società».
«Tutti correvano incontro alla speranza della fame finita, della paura finita, della guerra finita, incontro alla miserabile e meravigliosa speranza della guerra perduta. Tutti fuggivano l'Italia, andavano incontro all'Italia» Curzio Malaparte. È stato chiamato «l'altro dopoguerra» il periodo vissuto dall'Italia meridionale e Roma tra il luglio del 1943, quando gli alleati sbarcano in Sicilia, e il maggio del 1945, quando la guerra finisce. Un lungo periodo, segnato dal procedere lento della linea del fronte verso nord, con combattimenti accaniti, violenze, atti di resistenza. Ma anche un vitale, caotico, difficile ritorno alla pace e alla libertà. La presenza ingombrante degli alleati, il ritorno dei partiti, delle radio, della stampa libera, la voglia di normalità e di divertimento, e poi la fame, la prostituzione, il banditismo, le marocchinate, la criminalità. Attingendo a lettere, diari, corrispondenza censurata, relazioni delle autorità italiane e alleate, giornali, canzoni, film, il libro compone un racconto corale, colorato, curioso e in tanti dettagli inedito di quell'Italia che per prima si affacciava al dopoguerra.
L'Italia repubblicana, nata con la fine della guerra e il referendum del 2 giugno 1946, ha ormai compiuto 75 anni; sulla sua storia, nel tempo, sono state scritte moltissime pagine e il patrimonio di conoscenza continua ad accrescersi. Questa nuova sintesi vuole essere «essenziale» perché proprio nella sua brevità intende fornire gli elementi di base per seguire con facilità la linea di sviluppo della nostra storia recente, connettendo la storia politica a quella economica, sociale e culturale, e collocando ove opportuno le vicende interne in una dimensione internazionale che ne riconosca cause e influenze globali. In questa ricostruzione, tra crisi e ripartenze, scopriremo un paese meno anomalo di quanto a volte si dica.
Scritto negli anni che seguirono la Prima Guerra Mondiale e pubblicato in Germania nel 1929 - lo stesso anno in cui il padre di Klaus, Thomas Mann, vinse il Nobel per la letteratura -, "Alessandro" è un romanzo storico che ripercorre in chiave narrativa la storia di uno degli eroi più amati di tutta l'antichità classica: Alessandro Magno. Nella versione di Klaus Mann, Alessandro è soprattutto il semidio che nutre lo smisurato sogno di unificare il mondo. «Ciò che mi attirava nel mio nuovo eroe» scriverà «era l'esigenza quasi criminosa del suo sogno, la dismisura della sua avventura». Il lettore è così trascinato in un meraviglioso mondo di gesta eroiche e grandezza d'animo, ma anche di umanissimi contrasti e delusioni d'amore, trattati con grande finezza di scrittura. Particolare attenzione è dedicata al legame che unisce Alessandro e Clito e all'attrazione di Aristotele per il suo allievo, in cui si ravvisa una sublimazione della omosessualità che Klaus aveva reso pubblica nel romanzo "La pia danza".
Arsenio Frugoni tra il 1943 e il 1946 scrisse un ciclo completo e molto impegnativo di storia dell'arte, trentuno conferenze divise in tre gruppi: pittura, scultura e architettura dai tempi paleocristiani ai suoi giorni. I testi e l'elenco delle didascalie delle immagini proiettate si tradussero in minuscoli libretti, uno per conferenza, ciascuna corredata da una quarantina di immagini correlate a diapositive, pubblicati dalla Scuola Editrice di Brescia. Quest'opera sembrava scomparsa perché non ne è rimasta traccia nell'archivio della Scuola (devastato da un terribile bombardamento), né in alcuna biblioteca italiana. L'unica copia rimasta della sola parte cartacea era in casa, un cimelio custodito e insieme dimenticato. Scritte di getto, le quindici conferenze dedicate alla pittura italiana offrono citazioni selezionate e illuminanti; i giudizi non sono né scontati né banali, ma scaturiscono da personali meditazioni e apprezzamenti. Mio padre scrive con una prosa semplice e affascinante; gli aggettivi sorprendenti si rivelano sempre necessari. Con una frase spiega la sostanza di un'intera epoca, comunica di un'immagine l'essenziale, fa vibrare un'emozione. Descrive le immagini dal punto di vista stilistico ma è molto attento anche alla personalità del pittore, alla sua vita, al suo carattere: quanto ad esempio poté incidere nell'espressione artistica la povertà, la sfortuna, un pessimismo o un ottimismo di fondo, l'indole più o meno morale del pittore. Questo libro non è un manuale di storia dell'arte e nemmeno una storia dell'arte raccontata come ha fatto Ernst Gombrich. È come se le immagini fossero parole. Lo definirei: il romanzo della storia dell'arte. (Chiara Frugoni)
Sui monti di Sarzana, proprio lungo la Linea Gotica, dove nel 1944 i combattimenti infuriavano con maggiore ferocia, il capitano della marina tedesca Rudolf Jacobs, ottimo soldato, abbandonò le proprie fila. Non lo fece per fuggire da una guerra ormai persa, ma per unirsi ai partigiani garibaldini, fino a morire eroicamente durante l'assalto a una caserma delle Brigate nere fasciste. Apparentemente la sua sembra la storia di un'eccezione, commovente e coraggiosa, ma pur sempre un'eccezione rispetto alla nostra idea dei tedeschi zelanti combattenti della Germania nazista, fedeli fino al suo crollo. Eppure questa eccezione non fu così solitaria e isolata: parliamo di centinaia di uomini, almeno mille secondo le stime degli storici. O erano di più? Tedeschi e austriaci, 'banditi', 'disertori', 'senza patria', che hanno saputo dire di no agli ordini ingiusti, che hanno rigettato la legge dell'onore e del sangue per scegliere quella della libertà e della coscienza. Partendo da tracce labili, quasi svanite - un nome su una lapide, poche righe nei documenti ufficiali, qualche ricordo dei partigiani sopravvissuti -, questo libro è un'indagine appassionata e coinvolgente che ci trascina alla riscoperta di una pagina di storia che nessuno in Italia ha mai raccontato in questo modo.
Viviamo tempi di cancellature, riscritture e revisioni, di riconsiderazione degli eventi e dei fenomeni della storia che hanno portato, in anni recenti, a prese di posizione e dichiarazioni epocali: capi di governo che si scusano in nome del proprio Paese per torti od omissioni, per il ruolo svolto dai loro Stati in vicende più o meno lontane. È quindi un elemento di scottante attualità che accende la scintilla di questo libro: accostare nell'aula del «tribunale della storia» le tesi dell'accusa, le arringhe della difesa, i controinterrogatori degli imputati per acquisire nuovi elementi di conoscenza e di giudizio. Tenendo sempre presente che, come scrive Paolo Mieli, «le pubbliche scuse non equivalgono a sentenze definitive. Sono prese d'atto di una modificata percezione delle vicende del passato. Altre ne verranno». Così, da Fidel Castro a Mussolini, passando per Vittorio Emanuele III, Filippo V e perfino Gesù di Nazareth, Mieli riesce, con la brillantezza del grande divulgatore e l'acume dell'attento osservatore dei nostri giorni, a spiegare in cosa consista l'applicazione di un metodo «giudiziario» per una rivisitazione dei fatti e delle figure della storia. «A patto che, beninteso, tale metodo sia utilizzato in modo comprovatamente onesto. In caso contrario, tutto sarà stato inutile.» Il vero processo, dunque, necessario e prezioso, è quello contro ogni tipo di falsificazione. Ed è «il risultato del lavoro del tribunale della storia, tribunale che nell'era dell'informazione diffusa è sempre riunito. In seduta permanente».
«Io non credo nell'amore, è una malattia che passa com'è venuta ... prendetemi oggi, non contate di avermi domani» scrive Virgina Verasis di Castiglione a uno dei suoi innumerevoli amanti, palesando la sua esigenza più radicata e insopprimibile: non avere padroni. Un'esigenza che emerge prepotentemente dal racconto che della sua vita ci propone l'autrice di Amanti e regine. Tutti noi - grazie agli scritti di testimoni e biografi, a film e sceneggiati televisivi, nonché ai moltissimi ritratti fotografici che in anni recenti sono stati pubblicati ed esposti - crediamo di sapere chi sia stata la contessa di Castiglione: una «seduttrice seriale» di incomparabile bellezza che, dopo aver conquistato (secondo le istruzioni ricevute dal conte di Cavour) Napoleone III e abbagliato la corte del Secondo Impero, si chiuse in una casa senza specchi nascondendo ai propri occhi e a quelli del mondo la sua inarrestabile decadenza. Ma colei che Robert de Montesquiou consacrò per sempre come «la divine comtesse» è stata molto di più, e Benedetta Craveri, la quale ha rintracciato negli archivi italiani e francesi un'ingente mole di lettere totalmente inedite, ce lo fa scoprire lasciando che sia Virginia a parlarci di sé: dei suoi amori, delle sue ambizioni, delle sue paure, delle sue ossessioni. Vengono così alla luce aspetti sorprendenti di una donna che seppe usare il suo fascino, ma anche la sua intelligenza politica, la sua audacia, la sua volontà di dominio, la sua straordinaria abilità di commediante, e anche una buona dose di cinismo, per raggiungere un traguardo all'epoca inimmaginabile: disporre liberamente della propria esistenza. Una ribellione alle regole imposte dalla morale del secolo borghese che, scrive Craveri, "ha mantenuto intatta la sua forza incendiaria e che ancora oggi disturba, sconcerta, scandalizza».
In un mondo alluvionato da informazioni irrilevanti la lucidità è potere. Ma come si fa a cogliere il quadro generale senza perdersi in un'infinità di rivoli e dettagli? Facciamo un passo indietro e guardiamo davvero al quadro generale: la storia della specie umana. "Sapiens. La nascita dell'umanità" è la storia di come una scimmia insignificante divenne la signora della Terra, capace di scindere il nucleo di un atomo, volare sulla Luna e manipolare il codice genetico della vita. Una squadra di ricercatori - Prehistorik Bill, Dr. Fiction, la detective Lopez - capitanati da Yuval Noah Harari in persona guida il lettore a esplorare il lato selvaggio della storia. L'evoluzione umana viene reinventata come un reality show televisivo; il primo incontro tra Sapiens e Neanderthal è raffigurato attraverso i capolavori dell'arte moderna; l'estinzione dei mammut e delle tigri dai denti a sciabola è raccontata come un giallo. L'adattamento di Sapiens. Da animali a dèi in forma di graphic novel è una rivisitazione radicale e profondamente divertente della storia dell'umanità a partire dal longseller internazionale che ha venduto 16 milioni di copie in 60 lingue. Il tono umoristico è pensato per catturare l'interesse di chi finora ha preferito tenersi alla larga da scienza e storia. Ecco l'occasione giusta per cambiare idea.