Non si può comprendere il cammino spirituale di Ignazio di Loyola, fondatore di quella Compagnia di Gesù in cui ha vissuto la propria formazione anche papa Francesco, se non lo si rilegge all'interno dell'esperienza del suo tempo, in cui l'ideale cavalleresco era punto di riferimento e modello per l'uomo. Ignazio, se da giovane si era dedicato alla milizia secondo il mondo, dopo la conversione restò, comunque, soldato di Cristo per tutto il resto della sua vita. Il volume racconta il cammino di Ignazio - soffermandosi in particolari su tre episodi a tema mariano: la visione di Maria col Bambino all'inizio del cammino di conversione, la notte di veglia davanti alla Vergine di Montserrat e l'importanza, per la Compagnia neonata, di un'icona che oggi campeggia nella chiesa madre dei Gesuiti, la cosiddetta Madonna della Strada - e presenta una breve antologia dei suoi testi.
Il cuore e la mente in Edith Stein - suor Teresa Benedetta della Croce dopo aver preso i voti - hanno camminato di pari passo, ancor più dopo la conversione, che avviene per intuizione innanzitutto e poi per cammino d'intelligenza, sempre umilmente pronta a adeguarsi a ciò che Dio chiedeva. Per comprendere Edith e anche la sua relazione particolare con Maria Vergine, va ricordato che, come la Madre di Cristo, era anch'ella ebrea per nascita. E che queste sue radici, abbandonate da giovane ribelle, le rintracciò pienamente proprio nell'abbracciare la fede cristiana e nel vivere da figlia di Israele e da carmelitana insieme, nel sacrificio di sé ad Auschwitz. Questo volume è un viaggio sulle tracce del rapporto tra Edith e Maria, anche attraverso i suoi scritti apocrifi.
Bernardo è, nella Commedia dantesca, colui che presenta Dante alla Vergine e definisce, in questo modo, la fine del suo cammino, la realizzazione di un intero percorso, il cui esito sarà l'inenarrabile visione trinitaria prima dell'uscita a «riveder le stelle». Nel Canto XXXI del Paradiso Bernardo si era presentato come colui che arde «tutto d'amor» per la Madre di Dio e nel XXXIII è sempre lui a innalzare il canto di lode della Vergine «Madre, figlia del suo Figlio». Perché questa scelta, da parte del Sommo Poeta? Perché Bernardo di Chiaravalle? Perché quest'ultimo è, nel sentire dell'epoca in cui Dante scrive, il teologo cantore di Maria per eccellenza.
Le rivelazioni della mistica sull'amore misericordioso riversato da Gesù su tutti gli uomini.
Prima edizione a livello mondiale con testo critico latino e traduzione a fronte. "Il cielo e il mondo" è un'opera cosmologica di Aristotele. Tommaso redige il suo Commento nel 1272-1273. Chissà come cadeva il mondo negli occhi di Aristotele? La domanda potrebbe risultare una curiosità oziosa. Ma, in realtà, chiedersi come appare il mondo agli occhi di una intelligenza raffinatissima, che tuttavia non ha strumenti raffinatissimi come il telescopio, il microscopio, il sonar ecc., non è del tutto inutile. L'uomo comune, come ciascuno di noi, non possiede altro che i propri sensi e la propria intelligenza per conoscere ciò che accade in natura: come si fa a districarsi tra i fenomeni, per così dire, "a mani nude"? Certo, il più delle volete, le "ipotesi" che Aristotele formula sono per noi delle fantasie. Ma anche il "Big Bang" è una fantasia... chi l'ha mai visto? Lo si ipotizza e lo si richiama con un nome di fantasia. Quello che cambia è la possibilità di controllo delle ipotesi. Per questo occorre mettersi alla scuola di un grande commentatore di Aristotele, come Tommaso d'Aquino. Anche Tommaso non aveva certo gli strumenti più adatti, ma sapeva come affrontare con il rigore dovuto il caso considerato. «Non è necessario che siano vere quelle ipotesi che hanno elaborato [gli antichi astronomi]: infatti benché fatte queste supposizioni si salvino i fenomeni che appaiono, tuttavia non bisogna dire che tali supposizioni siano vere, perché forse con un altro sistema non ancora intuito dagli uomini, si salva ciò che appare riguardo alle stelle». Insomma, la lettura del Commento di Tommaso al "De Caelo et mundo" non è per imparare come va il mondo, ma per imparare a considerare il nostro modo di considerare. Il testo critico latino è della Commissione Leonina. quello consolidato dalla tradizione manoscritta. Introduzione di Alberto Strumia.
"Se per Bernardo, come scrive Gilson, la vita mistica di unione a Dio è il coronamento della vita monastica, essa esprime nondimeno l'essenza più vera e più profonda della religiosità di ogni tempo" dall'Introduzione di Giovanni Bacchini
Nella notte di Natale del 1111 Bernardo ha una visione del Bambino Gesù e decide di farsi monaco nel monastero di Citeaux, dove entra nel 1113; due anni dopo parte da Citeaux con altri monaci per fondare un nuovo monastero a Clairvaux. E' un grande riformatore del suo ordine, tanto da essere considerato il vero fondatore dei Cistercensi, ma avrà anche grande influenza sulle vicende ecclesiastiche e politiche dell'Europa.
I Sermoni sul Cantico dei Cantici — incominciati verso il 1135 e interrotti dalla morte — sono un capolavoro della letteratura monastica del Medioevo e rappresentano la sintesi del pensiero teologico di Bernardo — che li rivolgeva quotidianamente ai suoi monaci —, collocandolo al vertice della mistica medievale.
San Bernardo, che per la sua eloquenza fu chiamato Doctor mellifluus, sosteneva la via della contemplazione e, come tutti i cistercensi, un rigoroso ritorno alla regola di san Benedetto. Tra le sue opere più importanti si possono ricordare De gradibus humilitatis et superbiae, De gratia et libero arbitrio, De diligendo Deo.
Giovanni Bacchini ha curato per le Edizioni Ares anche L'imitazione di Cristo oltre a L'amicizia spirituale & Gesù a dodici anni di Aelredo di Rievaulx e La contemplazione di Dio con La Lettera d’oro di Guglielmo di Saint-Thierry.
In quest'epoca segnata dalla decadenza della cultura occidentale col conseguente progressivo depauperamento dei grandi ideali e l'imporsi di una superficiale «vita alla giornata», frutto dello smarrimento della tradizione cristiana e laica dell'Europa, è sorprendentemente feconda la lettura di due testi di Nicolò Cusano, pensatore rinascimentale non molto noto, anche se è uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi. Si tratta dell'omelia di Natale Dies sanctificatus (1439) e della «Lettera a Nicolò Albergati» (1463), che in uno stile colloquiale e con un linguaggio meno tecnico di quello dei suoi più celebri trattati - e pertanto adatto a un pubblico non di soli filosofi e teologi - permettono di riscoprire le radici culturali europee: oggetto della filosofia è l'uomo, che è un microcosmo, ma non è principio di sé stesso: precorrendo la Redemptor hominis di san Giovanni Paolo II, Cusano guida a riflettere come solo Cristo, Dio fatto uomo, offre la comprensione autentica dell'umanità dell'uomo, e del suo destino di vita eterna.
Una potente ricostruzione della vita nella prima comunità cristiana dopo la morte di Gesù, quando le sue parole risuonavano ancora intatte nella loro forza autentica e rivoluzionaria. Volume tradotto in Italia per la prima volta negli anni Trenta, manca sul mercato ormai da molto tempo: l'ultima edizione risale infatti al 1956. Dopo aver pubblicato il celebre "Vita di Gesù", dedicato agli episodi salienti della vita del Nazareno, in quest'opera egli si concentra sulla costruzione della leggenda della resurrezione e sulle modalità di diffusione del credo fondato su di essa. Dalle prime apparizioni ai successivi fenomeni di glossolalia, estasi e profetismo, fino alle missioni evangeliche, l'autore ricostruisce storicamente tutti gli elementi che concorsero al fondamento di quella che, secondo la sua opinione, altro non fu che una potente suggestione. Un'opera eretica e rivoluzionaria che applica per la prima volta alla storia della religione i principi del positivismo comptiano, cercando di svelare le verità celate dalla spessa coltre della leggenda. Renan non manca però di riconoscere gli aspetti positivi e importanti della vita dei primi fedeli: le istituzione comunitarie, il ruolo centrale delle donne, la solidarietà, valori purtroppo destinati a deteriorarsi. Introducendo infatti nel mondo occidentale la novità di una "fede esclusiva, l'idea che una sola sia la religione vera e autentica", il cristianesimo, con i suoi martiri, diede "inizio all'era dell'intolleranza".
Figliola (Dcerka) di Jan Hus, un trattato di spiritualità tardomedievale (1412-1414) per la prima volta in traduzione italiana dal ceco. È un'ammonizione indirizzata a una comunità di pie donne praghesi che vivevano vicino alla cappella di Betlemme. Nel volume oltre a Figliola sono raccolte alcune lettere dal carcere di Costanza, interessanti spunti per la riflessione ecclesiologica, storica e spirituale. Jan Hus (1371ca-1415) fu teologo e riformatore religioso boemo. Le sue critiche alla Chiesa, in particolare alla vendita delle indulgenze, oltre che l'uso del ceco per la pastorale, gli procurarono un enorme seguito, ma anche la condanna al rogo per eresia durante il Concilio di Costanza (1415).
Il rapporto tra cristianesimo e filosofia è visto da tempo come un aspetto della più ampia interazione tra cristianesimo e cultura greco-romana, che in passato era stata interpretata in modo preconcetto da una parte e dall'altra. Gli studiosi della filosofia antica vedevano nel testo cristiano uno dei tanti testi da usare. Dall'altro lato, gli specialisti del cristianesimo antico si rifiutavano di vedere nei testi cristiani qualcosa di diverso dalla Sacra Scrittura, e ritenevano che eventuali elementi filosofici che vi si potessero rintracciare in realtà non dovessero essere tenuti in considerazione. In realtà le cose si rivelarono più complesse: è vero che pensatori cristiani non interessati alla tradizione di fede non esistettero, ma ve ne furono alcuni che non videro nella filosofia una contraddizione alla fede, e, per di più, ebbero una grande fama sia nella tarda antichità sia nel Medioevo. Per quale motivo? Le pagine di questo volume - riguardanti la teologia e la filosofia nella letteratura cristiana antica, da Gregorio di Nissa, Tertulliano e Marcione, a Claudiano, Gerolamo, Porfirio e Cirillo di Alessandria - sono destinate a comprendere e interpretare la relazione tra Scrittura e filosofia, intesa, quest'ultima, come elaborazione, attualizzata ai tempi e ai modi, dello stesso kerygma cristiano.
La Quaestio II del De Perfectione evangelica (1256) e la Apologia pauperum (1269) sono i principali interventi di San Bonaventura nelle due fasi della disputa sulla povertà, che hanno segnato il duro ma fruttuoso scontro tra secolari e mendicanti nell'Università di Parigi nel XIII secolo. Il Serafico non solo risponde alle calunnie contro i religiosi, ma offre anche un trattato sulla povertà volontaria che supera il contesto della disputa e giunge ai giorni nostri con notevoli elementi di attualità spirituale e politica. In particolare, l'articolata distinzione bonaventuriana tra dominium e usum dei beni ha avuto una ricaduta importante sullo sviluppo dell'economia moderna e nell'intuizione tutta francescana di un istituto di credito come i Montes pietatis. Tale distinzione risulta ancora oggi fondamentale per cogliere il senso delle dinamiche sociali del diritto e dell'economia, soprattutto nell'ambito finanziario. Da un sapiente e rinnovato uso delle proprietà fondamentali dell'uomo (anima, corpo, beni materiali) può brillare la bellezza della vita associata, costruita secondo il Vangelo. Prefazione di Mauro Badas.