Forse non tutti gli artisti presenti in questo libro sarebbero orgogliosi di vedere la propria opera riprodotta su tazze e pantofole, ma in fondo è così che si sono conquistati l'eternità. La società di massa ha adottato quei capolavori e li ha trasformati in campagne pubblicitarie e merchandising. Così sono diventati familiari: un patrimonio pubblico e quotidiano. È come impadronirsi di una frase sentita in una conversazione e ripeterla in una situazione diversa. Come le idee sono in continua circolazione, così possono esserlo le immagini: sono di tutti e di nessuno al tempo stesso. Come hanno fatto dipinti quali "La Gioconda", "La nascita di Venere" e "L'urlo" a diventare le opere d'arte più famose al mondo? Perché "II Pensatore" di Rodin e "La grande onda" di Hokusai appaiono su t-shirt e tazze, nei programmi televisivi e nella pubblicità? Che cosa ha fatto sì che determinate immagini abbiano avuto un successo tanto straordinario da trascendere l'arte per diventare icone dell'immaginario collettivo? "Io sono un mito" racconta le affascinanti storie di trenta capolavori dell'arte, dal "Discobolo" di Mirone a "Le fils de l'homme" di Magritte, spiegando perché hanno conquistato una fama che non conosce tempo. Scoprirete come furono concepiti, come sono diventati veri e propri oggetti di culto, e come è cambiata la loro interpretazione nel corso dei secoli. Prefazione di Maurizio Cattelan
Ravenna è una delle più importanti città del Mediterraneo, dispone tuttora di una serie straordinaria di monumenti eccezionalmente conservati, spesso con la decorazione originaria, in particolare musiva. Non sbagliava il grande storico Arnaldo Momigliano quando diceva: "Se vuoi conoscere la storia dell'Italia, prendi un treno e vai a Ravenna". La città costituisce infatti un caso urbanistico eccezionale per la sua capacità di autoconservazione. Su di essa restano peraltro luoghi comuni o formule stereotipate che dall'Ottocento giungono sino ad oggi, come la denominazione di "Bisanzio d'Italia". Si tratta di una definizione semplificante che non fa cogliere la peculiarità e la grandezza di questa straordinaria città "romana", con Onorio e Galla Placidia, che vede, solo dopo il periodo di Teoderico, un'importante stagione bizantina. A fronte del moltiplicarsi vertiginoso di studi specialistici negli ultimi anni mancavano pubblicazioni di sintesi generale che enucleassero con efficacia i tratti salienti di Ravenna. Il presente volume, che unisce rigore scientifico a una scrittura di grande chiarezza, traccia la vicenda storica e urbanistica della città dalle lontane origini etrusche sino alla battaglia del 1512 che cambia in modo definitivo il destino di Ravenna, segnandone l'ingresso nei domini pontifici.
Un libro su uno dei più antichi monumenti superstiti nell'Insula episcopalis di Napoli (il battistero di San Giovanni in Fonte, a Napoli), e i suoi mosaici.
Lungo un arco di generazioni che va dall'inizio del Quattrocento alla fine del Cinquecento, il Rinascimento italiano è nella storia del mondo una delle epoche più esaltanti dello spirito e della mente dell'uomo. La meravigliosa testimonianza dell'arte ci ha lasciato immagini appassionanti, in un percorso che va dagli ori dell'ultimo gotico alla scoperta della prospettiva, dalla scienza geometrica al lusso delle corti, dalla competizione tra i grandi maestri alla diffusione dell'arte sul territorio, fino alle raffinatezze del manierismo e alla grande pittura sacra. In questo spettacolare volume sono raccolti alcuni dei massimi capolavori del Rinascimento italiano, seguendo una successione cronologica, ma con una scelta editoriale particolare: avvicinare l'occhio del lettore alle opere attraverso riproduzioni di un formato finora mai visto, per "entrare" quasi fisicamente in contatto con i dipinti, scoprire i loro segreti, mettersi di fianco agli artisti in una posizione privilegiata e ravvicinata. Attraverso una selezione di opere celeberrime e di capolavori "nascosti", muovendosi tra le grandi capitali dell'arte e affascinanti luoghi "di provincia", il lettore potrà immergersi nelle raffinatezze di tecniche e di materiali dei maestri dell'ultimo gotico, come Gentile da Fabriano e Pisanello; individuare "dal vivo" la logica costruttiva su cui si fonda lo spettacolare risultato delle tarsie dello studiolo del duca di Urbino o il rigore intellettuale di Piero della Francesca.
"È certamente indicativo che la più grande rivoluzione compiuta nella storia dell'uomo sia legata al nome di un Figlio. Rivoluzione che trova fondamento e certezza nella Resurrezione. Le rivoluzioni non le fanno i padri. Le fanno i figli. Dio ha creato il mondo, ma suo Figlio lo ha salvato. Nel nome del Padre noi riconosciamo l'autorità, ma nel nome del figlio noi affrontiamo la realtà. I più grandi capolavori nella storia dell'arte hanno protagonista il Cristo, mentre il Padre si affaccia dall'alto benedicente, quando si manifesta. Pensiamo al 'Giudizio universale' di Michelangelo con il Cristo giudicante che alza la mano per indicare il destino dei buoni e dei cattivi. Pensiamo al 'Battesimo di Cristo' di Giovanni Bellini nella chiesa di Santa Corona a Vicenza: il Figlio è protagonista e, in alto, il Padre osserva. Pensiamo al 'Giudizio universale' di Pietro Cavallini nella chiesa di Santa Cecilia a Roma con l'umanissimo Cristo che ci osserva garantendoci speranza e salvezza. Così come i Cristi pantocratori di Monreale e di Cefalo. Il Padre eterno è rappresentato e irrappresentabile. È. Non fa. E questo ne limita la rappresentazione. Appare essenzialmente nel momento della creazione di Adamo e di Eva, a partire dai bassorilievi di Wiligelmo. Poi si vede poco, occhieggia qua e là; ma il Cristo domina. Ed è il Figlio cui il Padre ha delegato il destino dell'uomo. Nel nome del Figlio si cambia il mondo." (Vittorio Sgarbi)
Il volume è il catalogo della mostra di Aquileia (5 luglio - 3 novembre 2013). Il percorso espositivo si snoda tra Palazzo Meizlik, la Basilica e il Museo Archeologico Nazionale e si articola in sezioni che approfondiscono con oltre 200 preziosi reperti la vita pubblica e privata di Aquileia nel IV secolo e testimoniano la nuova fase monumentale della città, legata al suo nuovo ruolo politico e amministrativo, punto nodale delle vie tra Oriente e occidente.
Luogo riservato al riposo, allo svago, all'otium, ma anche simbolo di potere politico o economico, la villa, nel corso dei secoli, riflette i mutamenti del gusto e delle esigenze di chi la abita. La sua struttura e la posizione che occupa nel paesaggio sono da sempre il segno tangibile di una volontà di affermazione e di dominio sull'ambiente circostante ed è per questo che descriverne le forme significa, prima di tutto, descrivere le abitudini e le esigenze dei proprietari. Analizzando gli elementi comuni e quelli specifici della villa, dall'epoca romana (con i Tusci e il Laurentinum di Plinio il Giovane) a quella medicea, dai giardini romantici fino ai tentativi opposti di Le Corbusier, impegnato a estraniare l'edificio dalla natura, e di Wright, che nella celebre Casa sulla Cascata punta a raggiungere la simbiosi tra paesaggio e architettura, Ackerman mostra le molteplicità di forme che la villa ha assunto nel tempo, ma anche il ritratto di una vita di campagna il cui spirito è arrivato fino a noi praticamente immutato.
"Il film parlato si sforza oggi di combinare scene visivamente mediocri ricche di dialogo con lo stile tradizionale e completamente diverso di una ricca azione muta. Rispetto all'epoca del muto si nota un'impressionante decadenza del livello artistico, sia nei film di media qualità che nelle opere di eccezione, e una tale tendenza non può essere totalmente attribuita alla sempre crescente industrializzazione. Può apparire sorprendente che si crei oggi un tale numero di opere fondate su un principio che rappresenta, se confrontato con le pure forme disponibili, un così radicale impoverimento artistico. Ma come meravigliarci di una tale contraddizione in un'epoca come la nostra in cui, anche sotto tanti altri aspetti, si vive una vita irreale senza riuscire a raggiungere la vera natura dell'uomo e delle manifestazioni che gli competono. Se nel cinema accadesse il contrario non sarebbe forse un'incoerenza magari felice, ma ancor più sorprendente? Possiamo tuttavia consolarci pensando che le forme ibride sono assolutamente instabili. Tendono a trasformarsi, passando dalla propria irrealtà a forme più pure, anche se questo significa tornare al passato. Al di là dei nostri tentativi e dei nostri errori esistono forze interiori che, alla lunga, permettono di superare cadute e deficienze, dirigendo l'operare umano verso la purezza del buono e del vero." Con uno scritto di Guido Aristarco.
"Nella storia della pittura il nome di Manet ha un significato a parte. Manet non è soltanto un grandissimo pittore: in rotta con coloro che l'hanno preceduto, aprì il periodo in cui stiamo vivendo, armonizzandosi con il mondo attuale, il nostro, e in dissonanza con il mondo in cui visse, che scandalizzò. La pittura di Manet operò un subitaneo cambiamento, un sovvertimento corrosivo a cui converrebbe il nome di rivoluzione, se non desse luogo a un equivoco: il cambiamento visibile dello spirito di cui questa pittura è il segno differisce almeno per l'essenziale da quelli che la storia politica registra. Tale cambiamento ha peraltro un aspetto duplice. Da un lato, una tela di Manet rompeva di per se stessa con quell'idea della pittura che era allora radicata negli spiriti. Non meno sorprendente è l'altro aspetto del cambiamento a cui la pittura di Manet risponde. Mai prima di lui era stato così radicale il divorzio tra il gusto del pubblico e la mutevole bellezza che l'arte rinnova attraverso il tempo. Manet apre la serie nera; è a partire da lui che la collera e il dileggio del pubblico hanno così apertamente designato il rinnovarsi della bellezza. L'unità relativa del gusto dell'età classica era in quel momento compromessa: il romanticismo l'aveva spezzata, suscitando reazioni irose. Delacroix, Courbet, e lo stesso Ingres, così profondamente classico, avevano suscitato ilarità. Ma l'Olympia è il primo capolavoro di cui la folla abbia riso di un immenso riso."
Per una serie di circostanze imprevedibili le immagini di Achille, Meleagro e Cristo, usate e riusate per secoli, s'intrecciarono, sovrapponendosi. Che cosa spiega la loro ibridazione, la loro persistenza, la loro migrazione attraverso il tempo e lo spazio? Quanto contarono, nella fortuna di queste figure, le formule compositive originarie e quanto il contesto che di volta in volta le fece proprie? Questo libro cerca di rispondere a queste domande. Chi legge entra in un cantiere dove hanno lavorato, separati da secoli o millenni, scultori e pittori, storici e storici dell'arte. Luca Giuliani analizza la genesi e il precoce riuso nell'antichità romana dell'iconografia di Achille in lutto presso il cadavere di Patroclo; Maria Luisa Catoni, la possibile genesi e il riuso in età post-antica di una formula della disperazione di fronte alla morte; Salvatore Settis, la fortuna rinascimentale di uno schema iconografico antico usato per rappresentare il corpo esanime di Cristo; Carlo Ginzburg, la genesi della nozione di Pathosformel (formula di pathos) coniata da Aby Warburg.
Nel 1948 la Repubblica ha risposto all'invocazione lanciata quattro secoli prima da Raffaello: la Costituzione ha spaccato in due la storia dell'arte italiana, assegnando al patrimonio storico e artistico della nazione una missione nuova al servizio del nuovo sovrano, il popolo. La storia dell'arte è in gran parte la storia dell'autorappresentazione delle classi dominanti. Ma la Costituzione le ha dato un senso di lettura radicalmente nuovo. Il patrimonio artistico è divenuto un luogo dei diritti della persona, una leva di costruzione dell'eguaglianza, un mezzo per includere coloro che erano sempre stati sottomessi ed espropriati. L'articolo 9 ha fatto di più: ha sancito solennemente l'unione indissolubile del patrimonio storico e artistico e del paesaggio, e ha trasformato in progetto il ruolo etico e politico che questa unione ha giocato nella storia d'Italia. Le interpretazioni della Corte costituzionale hanno ampliato ancora questa visione originalissima, prendendo coscienza che il primo e più essenziale bene comune è l'ambiente, la cui tutela in nome dell'interesse pubblico è condizione essenziale per la stessa esistenza di una democrazia moderna. Il progetto della Costituzione sull'ambiente, sul paesaggio e sul patrimonio artistico è la promessa di una rivoluzione: sta a noi mantenerla.