Come la "Madonna dei filosofi" anche il secondo libro di Gadda (1934) raduna "pecore randage": scritture sparse, oscillanti tra le prose di diario, tratte dai ricordi della prima guerra mondiale, e le divagazioni su polemiche letterarie di quegli anni. Nella sua unicità, "Il castello di Udine" recalcitra a qualsiasi etichetta, anche a quella di "prosa d'arte". Ma lascia intravedere tutti i caratteri distintivi, per non dire proverbiali, del Gadda maggiore: l'ossessione dell'ordine e il ribellismo anarcoide, l'odio-amore verso Milano e la sua classe dirigente, la straordinaria perizia retorica e i limiti costruttivi dell'intreccio, il calligrafismo (ma sui generis) e l'oltranza espressionistica del grande "pasticheur".
Alla vigilia della morte, Rodelinda, detta Linda, è ritornata alla culla dei suoi avi, la bergamasca Val Bella, e alla casa che fu del nonno Autari. Raccontando la propria vita, Linda ne percorre le tappe salienti, in particolare la vita matrimoniale dapprima solida e felice, poi minata da incrinature. Dopo un periodo di oscillazioni fra gioie e dolori, Linda precipita in una grave crisi di identità. Obbedendo alle oscure forze psichiche da cui sono travolte le eroine del teatro greco, la Longobarda passa dalla tenerezza alla disperazione, dal rancore al delirio omicida...
Al geniale scienziato Evgenij Rudenko è stato affidato un compito ambiziosissimo: mettere a punto un sistema in grado di trasformare i computer del mondo nei ramificati gangli di un unico, gigantesco supercervello artificiale. I suoi risultati sono strabilianti: Rudenko è riuscito a realizzare un microcomputer basato sul DNA, in pratica un chip biologico che sa elaborare le informazioni proprio come la mente umana. Ma a dargli quell'incarico non è stato un governo nazionale e gli scopi del suo esperimento non sono propriamente pacifici. Dietro Rudenko, infatti, si muovono i più alti esponenti della malavita internazionale, i cui intenti sono quelli di captare le informazioni del mondo intero.
Un documento notevole per comprendere le idee politiche e religiose di Niccolo Tommaseo nel periodo parigino tra il 1835 e 1837.
Il vizio, o il piacere, di fumare hanno sempre accompagnato la vita e l'opera di Italo Svevo, come appare da questa raccolta di suoi scritti che hanno come loro centro appunto il fumo. Alcuni di questi sono molto celebri, in particolare il famosissimo capitolo de "La coscienza di Zeno", che colpì fortemente, anche e proprio per questa sua originalità tematica, uno scrittore come James Joyce, in altri, come il racconto "Il mio ozio", il fumo sembra recitare un ruolo del tutto marginale, finendo tuttavia col rivelarsi in realtà la presenza più costante attorno cui ruota la vicenda del vecchio che usa l'amore, anche comprato, per sottrarsi all'occhio inesorabile della morte.