"È certamente indicativo che la più grande rivoluzione compiuta nella storia dell'uomo sia legata al nome di un Figlio. Rivoluzione che trova fondamento e certezza nella Resurrezione. Le rivoluzioni non le fanno i padri. Le fanno i figli. Dio ha creato il mondo, ma suo Figlio lo ha salvato. Nel nome del Padre noi riconosciamo l'autorità, ma nel nome del figlio noi affrontiamo la realtà. I più grandi capolavori nella storia dell'arte hanno protagonista il Cristo, mentre il Padre si affaccia dall'alto benedicente, quando si manifesta. Pensiamo al 'Giudizio universale' di Michelangelo con il Cristo giudicante che alza la mano per indicare il destino dei buoni e dei cattivi. Pensiamo al 'Battesimo di Cristo' di Giovanni Bellini nella chiesa di Santa Corona a Vicenza: il Figlio è protagonista e, in alto, il Padre osserva. Pensiamo al 'Giudizio universale' di Pietro Cavallini nella chiesa di Santa Cecilia a Roma con l'umanissimo Cristo che ci osserva garantendoci speranza e salvezza. Così come i Cristi pantocratori di Monreale e di Cefalo. Il Padre eterno è rappresentato e irrappresentabile. È. Non fa. E questo ne limita la rappresentazione. Appare essenzialmente nel momento della creazione di Adamo e di Eva, a partire dai bassorilievi di Wiligelmo. Poi si vede poco, occhieggia qua e là; ma il Cristo domina. Ed è il Figlio cui il Padre ha delegato il destino dell'uomo. Nel nome del Figlio si cambia il mondo." (Vittorio Sgarbi)
Il testo di Nordenfalk - apparso piú di mezzo secolo fa in tedesco, francese e inglese - è un classico della storia dell'arte; la sua traduzione colma una lacuna nel panorama editoriale italiano, offrendo una sintesi rigorosa e accessibile della storia della miniatura occidentale corredata da una ricca galleria di illustrazioni a colori. Dalla tarda antichità, attraverso l'alto Medioevo, fino alla diffusione dello stile romanico e agli inizi dello stile gotico, la storia della miniatura è magistralmente presentata nelle sue linee di sviluppo.
Un libro che abbraccia 3000 opere d'arte e migliaia di anni di storia, dalle grotte di Lascaux fino ai più recenti interventi di arte contemporanea. Un lavoro che ha richiesto dieci anni di lavorazione e un team di specialisti che hanno dato vita alla più vasta collezione ideale per amante dell'arte. Questo volume è suddiviso in 25 gallerie e 450 sale; ogni stanza è organizzata secondo diverse esposizioni tematiche su argomenti specifici che contengono ognuna pezzi tra dipinti, sculture, affreschi, arazzi, tessuti, fotografie, incisioni, installazioni, performance, video e stampe che narrano l'intero svolgimento della storia dell'arte. È l'unico museo a poter ospitare in un sol luogo accanto alla "Monna Lisa" di Leonardo la collezione dei ritratti di Rembrandt, "Las Meninas" di Velázquez e "Guernica" di Picasso, le porcellane cinesi e le incisioni di Hokusai, i manufatti aurei del Perù e le opere di Jackson Pollock.
Johannes Vermeer (1632-1675) il più misterioso tra i grandi geni della pittura europea. Poche sono le tracce certe della sua esistenza; poche le opere di sicura attribuzione che ci ha lasciato. Sono dipinti silenziosi, pervasi di luminosità, mai solenni o celebrativi: mostrano uomini e donne nella loro quotidianità, occupati in semplici azioni come versare il latte, leggere una lettera, suonare la spinetta. Le sue figure femminili sono colte nella loro semplicità, eppure la profondità delle loro espressioni e la luce che emana dai loro volti delicati le rende piene di fascino. La forza evocatrice che sprigiona da tanta naturalezza ha saputo conquistare personaggi come Marcel Proust che alla Veduta di Delft ha dedicato pagine memorabili. Anthony Bailey, con rigore scientifico e con una prosa brillante e raffinata, ripercorre le tappe dell'oscura esistenza del pittore e ci aiuta a penetrare il segreto del suo inesauribile fascino.
Akbar il Grande è considerato uno dei sovrani più splendidi della storia. Pur essendo analfabeta, è stato un grande protettore della poesia e della letteratura, fondatore della grandiosa capitale Fathepur Sikri, la città di Vittoria, e promotore di un nuovo stile nelle arti. La sua profonda tolleranza religiosa lo ha portato a dedicare molto tempo e risorse alla ricerca di punti di contatto tra le diverse fedi del popolo su cui regnava, tentando la creazione di una religione sincretistica che unisse Islam e Induismo. Il volume illustra tutti questi aspetti dell'impero di Akbar, documentando la vita di corte con ritratti e immagini delle attività politiche e delle manifestazioni culturali; descrivendo lo sviluppo di arti e mestieri attraverso dipinti e oggetti d'arte; analizzando la gloria militare attraverso armi, armature oltre alla tenda reale Mughal; mostrando gli splendori di un'epoca attraverso gioielli, oggetti preziosi e ornamenti da turbante, dipinti e calligrafie, album e libri, tessuti, costumi e tappeti, armi e armature, gioielli provenienti dai più importanti musei e collezioni indiani, europei e americani. La monografia sottolinea anche le conquiste culturali e politiche di Akbar, il suo profondo spirito religioso e l'apertura mentale verso le religioni.
"Il Museo dell'innocenza" narrava l'ossessione amorosa di Kemal per la giovane Füsun. Ma è un amore destinato all'infelicità, così Kemal, per placare il suo desiderio verso la ragazza che non può avere, inizia a raccogliere ogni oggetto che gliela ricordi: a cominciare ovviamente dall'orecchino che lei perse la prima volta che fecero l'amore insieme, "il momento più felice della mia vita". Proprio per riconquistare quell'attimo perduto nel tempo, Kemal accumula oggetto dopo oggetto con una compulsività che agli occhi del mondo non può che apparire follia. Giunto al termine della vita, Kemal chiederà all'amico scrittore Orhan Pamuk di costruire un museo che raccolga queste memorie: il Museo dell'innocenza. E lo scrittore l'ha fatto, progettando e inaugurando a Istanbul - nel vecchio palazzo dove "abitava" Füsun - il museo di cui questo libro è il catalogo. "L'innocenza degli oggetti" è un testo completamente illustrato che restituisce tutta la magia di quel luogo, uno spazio incantato dove i confini tra realtà e immaginazione sono labili come in un romanzo di Pamuk.
Dopo il primo lungo viaggio in Italia, tra il 1901 e il 1902, Paul Klee ritornò più volte nel nostro paese: in Sicilia nel 1924 e nel 1931, all'isola d'Elba nel 1926, a Viareggio nel 1930 e, infine, nel 1932 a Venezia. Durante questi viaggi visitò anche Milano, Genova, Padova, Firenze, Ravenna, Pisa, l'amata Napoli. Ogni città fu di ispirazione per nuovi spunti di studio e in alcuni casi determinarono anche svolte stilistiche, come la fase pointilliste suggeritagli dalla visione dei mosaici bizantini di Ravenna. Ideati direttamente sul posto o creati al rientro in Germania, i "lavori italiani" sono una settantina e si presentano ora in termini astratti ed evocativi, ora di topografica esattezza. Molte di più, tuttavia, sono le opere di Klee nate sotto la spinta delle impressioni, delle riflessioni e dei ricordi suscitati dalla natura e dalla storia italiana. Quattro sono i punti che riassumono l'Italia nella visione di Klee: natura, architettura, classicità e musica, ossia le fonti della sua arte, le basi dei processi creativi e degli sviluppi propriamente tematici della sua opera. Il catalogo presenta le circa 70 opere in mostra, molte immagini di confronto, una selezione di documenti fra cui alcune lettere che Paul Klee scrisse alla moglie dall'Italia, in parte qui tradotte per la prima volta. Chiude una selezione di testi critici a firma di Argan, Ponente e Zahn a conferma delle fortuna critica dell'artista.
La scultura italiana negli anni trenta vive una stagione di grande fermento, sia per la ricerca formale, che in alcuni casi ancora indugia sugli apporti delle varie Secessioni e quindi dello stile decò, sia per l'idealità che la orienta verso un ritorno alla classicità di tradizione, mediata spesso dalla conoscenza approfondita dei grandi scultori classici francesi, da Rodin a Maillol a Bourdelle, ma sostanzialmente impostata sul recupero dell'antico. L'aspetto monumentale della scultura di questo periodo, sicuramente il più interessante dal punto di vista dell'innovazione, non è il focus di questo studio, che invece vuole osservare, attraverso una selezione di opere e di artisti che è sicuramente parziale, derivando dalle collezioni precostituite della Galleria nazionale d'arte moderna, uno spaccato artistico di grande suggestione, ricomponendo per una volta, forse la prima nella storia della Galleria stessa, un insieme di opere di artisti in gran parte dimenticati, che negli anni trenta hanno trovato spunti e suggestioni dalla tradizione italiana e italica anzi, facendone spesso la ragione prima del loro operare artistico.
Stefano Zuffi si ripresenta al pubblico con un volume sulle inesauribili ricchezze storiche e artistiche del Belpaese. Questa volta il suo sguardo si rivolge ai borghi disseminati ovunque sul territorio italiano, dalle Alpi alla Sicilia. Attraverso un testo storico-artistico sempre puntuale e preciso l'autore ci accompagna nei borghi più noti e visitati della Toscana e della Liguria, ma allo stesso tempo ci fa scoprire un centinaio di luoghi quasi sconosciuti al grande pubblico, dalla Val d'Aosta al Veneto, dalla Lombardia al Piemonte, dalla Puglia alla Sicilia. Lo stupore che accompagna il visitatore è la compresenza del passato e del futuro, di una modernità che vive talvolta in un ambiente uguale a quello di molti secoli fa, ma che spesso racchiude risorse umane e culturali non dissimili da quelle delle città più grandi e apparentemente più avanzate. L'Italia insomma non smette di stupire, attraverso quella commistione di storia e progresso che ne fanno un Paese unico al mondo, ancorato al passato, ma talvolta anche sorprendentemente rivolto al futuro. Un utile corredo di mappe aiuterà il lettore a localizzare e a scoprire i borghi più remoti e meno conosciuti.
Statue assassine, disegni, dipinti e incisioni che prefigurano orrendi delitti, ritratti di persone defunte che si animano e scendono dalla cornice intrecciando inquietanti liaison con i viventi: grandi scrittori come Hawthorne, Mérimée, Dickens, Poe, Pirandello – accanto a maestri riconosciuti della ghost story come Le Fanu e M.R. James – hanno affrontato il rapporto tra l’opera d’arte e il mondo degli spiriti, schiudendo inquietanti prospettive sulla contaminazione tra l’aldiquà e l’aldilà della tela, tra questo e l’altro mondo.
Enrico Badellino ha tradotto e curato, tra gli altri, Balzac, Flaubert, Stendhal, Zola, Gide, Mérimée. Ha pubblicato numerosi volumi e antologie, tra cui Sepolto vivo! (Torino 1999), con un’introduzione di Malcom Skey, Dizionario delle morti celebri (Torino 2004), Bulli di carta. La scuola della cattiveria in cento anni di storia (Torino 2010), con Francesco Benincasa.
"La fotografia è stata per me una grande passione, breve ma intensa; la Leica, il mio salvagente in una stagione di disillusione politica. Era la fine degli anni cinquanta, non esisteva scollamento, allora, tra pubblico e privato: i dubbi, le contraddizioni, le domande senza risposta su quel che restava del sogno comunista segnarono la nostra generazione. In me, poco più che trentenne, il segno fu tanto profondo da spingermi a lasciare non soltanto la redazione di "Vie Nuove" (il settimanale del Pci per il quale scrivevo dopo l'esperienza all'"Unità") ma addirittura il giornalismo, nella convinzione che continuare a praticarlo avrebbe voluto dire tradire le mie idee e trasformarmi da militante comunista nel suo opposto. Preferii partire alla volta di Berlino e trasformarmi in fotografo giramondo. Per cinque anni non feci altro che viaggiare spiando i volti delle persone nei paesi più lontani. Poi i tempi cambiarono, e con essi, un po' alla volta, anche le mie decisioni."