"Marco Pannella era nato due volte, lo realizzai solo dopo molti anni che lo conoscevo e lo frequentavo, quando mi mostrò delle strane cicatrici alle vene dei polsi: 'Un giorno mi dissi che alla vita non potevo dare più nulla, che non ero più necessario'. Raccontare come il sangue di quel ragazzo, disperso sul marmo di una pensione romagnola, sia poi divenuto sangue di passione civile. E raccontare come, secondo me e con le mie personalissime idee, la storia di un partito che ha dato tanto all'Italia possa essere oggi attuale. Per questo ho deciso di scrivere. Perché il ricordare possa essere semina. Perché il ricordare serva a raccontare il futuro, a costruirlo." Giovanni Negri è stato segretario del Partito radicale, parlamentare italiano ed europeo e amico di Marco Pannella e racconta una vicenda piena di idee e di lotte, dal referendum sull'aborto all'obiezione di coscienza, dal voto ai diciottenni alla difesa della libertà d'informazione, dalla depenalizzazione dell'uso personale di droghe leggere alla chiusura dei manicomi: "Una corsa a perdifiato che cambiò l'Italia, la trasformò, ne segnò indelebilmente la politica e la vita civile". Un libro personale che è anche un libro politico, un omaggio che è anche una resa dei conti, ricco di dettagli poco conosciuti e storie mai raccontate.
"Ho fatto del mio meglio per scrivere una biografia definitiva," afferma Painter, "il racconto completo, fedele e circostanziato della vita di Proust, senza inventare il minimo dettaglio; anche quando ho descritto le condizioni atmosferiche di una particolare giornata o l'espressione di un viso in questo o quel momento, l'ho fatto in base a testimonianze attendibili." Painter ci restituisce così la realtà nel suo divenire stesso, nei suoi mille frammenti che vanno poi a ricomporsi nelle dimensioni temporali della "Recherche".
"Sì, ora ve lo dico, ma promettetemi che andrete avanti a leggere. Non fate scherzi. L'ho saputo da poco pure io, me l'ha detto mia mamma, perché è capitato, ma com'è andata lo leggerete più avanti. Dopo ha voluto parlarmi la psicologa e anche la dottoressa che mi conosce da quando sono nato (è parecchio seria la dottoressa ma anche parecchio simpatica e gentile). Mi chiamo Giovanni, ho dodici anni (quasi tredici) e sono nato con l'Hiv. Non lo sa nessuno, a scuola, alla polisportiva, all'oratorio, ma ho un gruppo di amici che lo sanno eccome e mi hanno istruito come in una piccola confraternita (sì, Star Wars l'ho visto tutto). Poi c'è mia mamma (mi vergogno un po' a dirlo ma sono sincero: amo mia mamma! wow, l'ho detto), mio papà che gli voglio bene anche se è impossibile batterlo a Fifa con la Play-Station (accidenti!), mia zia supercreativa e un po' scombinata (adesso si offende, lo so!) che mi porta a teatro e allo yoga della risata. Ho un desiderio e mi hanno detto che questo libro potrebbe aiutarmi a realizzarlo: vorrei parlare della mia malattia perché il silenzio mi fa sentire un po' solo (e a me la solitudine proprio non piace) e perché può aiutare anche chi non ce l'ha a non prendersela (questo me l'ha detto la dottoressa, eh). Allora buona lettura, Giovanni."
Apparso a Parigi nel 1935, questo libro è stato tra i primi che abbia detto alcune essenziali verità su Stalin. E le ha dette così presto, e con tale nettezza, che la sua presenza ha accompagnato come un'ombra gli ultimi vent'anni di vita del capo sovietico. Le ha dette, inoltre, per bocca di uno storico che era stato segretario della Terza Internazionale, uno dei fondatori del Partito Comunista Francese e infine amico e compagno di Simone Weil nelle lotte del sindacalismo rivoluzionario in Francia.
"Quando, dopo la sua morte, ho letto il diario che aveva custodito nel segreto per tutta la vita, mi è parso di avere una percezione più chiara del tormento che ha dilaniato per decenni mio padre fascista, prigioniero a Coltano dopo aver combattuto, ventenne o poco più, dalla parte dei 'ragazzi di Salò'. Ho capito che cosa abbia rappresentato per lui il dolore di essere stato internato in quel campo per i vinti della Rsi vicino alla 'gabbia del gorilla' in cui era rinchiuso Ezra Pound. Ho capito quanto abbia sanguinato il suo cuore di sconfitto, di 'esule in Patria' nell'Italia in cui era un borghese integrato, maniacalmente attaccato alla civiltà delle buone maniere, ma covando il sentimento di un'apocalisse interiore da cui non si sarebbe mai affrancato. Ho capito quanto sia stata aspra e dolorosa la mia rottura con lui e quanto mi pesi, ancora oggi, il fardello di una riconciliazione mancata. Allora ho pensato che fosse giunto il momento di raccontare, con i miei occhi e il mio modo di sentire le cose della vita, chi fosse mio padre fascista e cosa pensasse nell'Italia che non credeva più nei miti in cui lui era cresciuto. Che rapporto ricco e difficile avesse instaurato con i suoi figli. Che cosa abbia significato per me essere figlio di un fascista, e vergognarsi di avere provato vergogna per i padri che abbiamo tradito andandocene da un'altra parte, e che invece hanno vissuto con dignità, coraggio e coerenza la loro solitudine."
Teodolinda, regina dei Longobardi, era gloriosissima già per i suoi contemporanei. Le pagine che le dedica Paolo Diacono la circondano di un fascino sconosciuto alle altre regine di quel popolo. A Monza, città cui è particolarmente legata la sua memoria, poco mancò, in passato, che venisse considerata una santa. D'altro canto, Teodolinda non fu solo «la regina che convertì i Longobardi al cattolicesimo» con la collaborazione di papa Gregorio Magno. Teodolinda era sì cattolica, ma scismatica, tranne, forse, verso la fine della sua vita; per questo motivo, la sua collaborazione con il Papa si svolse sostanzialmente sul piano politico. Il carteggio tra lei e il Pontefice, riportato in appendice, rivela un rapporto estremamente complesso, legato anche al ruolo della donna nell'antica cultura germanica. Ma Teodolinda non fu solo questo. Svolse un ruolo politico attivo, prima a fianco del marito Agilulfo, poi da sola quando, in qualità di reggente, governò il Regno longobardo per alcuni anni, dialogando con le maggiori personalità del suo tempo e godendo di prestigio internazionale.
La scoperta della musica davanti alla porta (chiusa) della cameretta del fratello maggiore; i primi concerti, ai matrimoni, con il professore di latino; il cabaret con i Trettré nella Napoli fervida degli anni Settanta, quella della Smorfia di Massimo Troisi, quando ancora era uno studente di architettura (ma cos'è l'architettura se non musica congelata, diceva Goethe). E poi l'incontro con Gino Paoli, il primo Sanremo nel 1986 sotto la neve con Zucchero, il "pronti-partenza-via" con Elio e le Storie Tese dieci anni dopo, la partecipazione ad Amici di Maria De Filippi, fino all'hashtag diventato virale nei giorni del Festival 2016, #usciteVessicchio. Ma dal giorno in cui una goccia d'olio si stacca da una pizza mangiata fortunosamente in macchina e cade beffarda sui suoi pantaloni, Peppe Vessicchio ha iniziato a domandarsi se la musica fosse tutta lì. O se piuttosto non fosse giunto il momento di smontare il giocattolo per capirne il meccanismo; per realizzare fino a che punto può arrivare il suo potere benefico; per verificare se, considerato che le mucche del Wisconsin producono più latte ascoltando Mozart, tutti gli organismi viventi reagiscono positivamente quando gli armonici si combinano in modo naturale. Musica armonico-naturale, appunto. Questa è la forma che insegue Vessicchio. Questa è la base dei suoi esperimenti sulla terra, sul vino, e di quelli appena cominciati sugli uomini. "La musica fa crescere ¡pomodori", nato dalle conversazioni con Angelo Carotenuto, è un saggio pop autobiografico sul talento, sulla passione e la capacità di trasferirla, sulla cura, sugli effetti straordinari; dell'armonia nelle nostre vite.
«Vedere un essere umano che realizza un sogno è una cosa meravigliosa. Come andare sulla Luna o scoprire l'America: questo è il motivo per cui noi siamo qui.» Sono parole di Tamara Lunger, la giovane e fortissima alpinista altoatesina che nel febbraio 2016 ha tentato con Simone Moro la vetta del Nanga Parbat in invernale. Lui l'ha raggiunta, mentre lei, a soli 70 metri dalla cima, ha rinunciato. Stava male e ha ascoltato la "voce interiore" che le diceva di scendere, con la consapevolezza che, se invece fosse andata oltre per amor di gloria, avrebbe poi avuto bisogno d'aiuto per scendere, magari mettendo in pericolo i compagni di cordata. Ma chi è questa donna capace di imprese finora tentate solo da uomini? Che cosa la spinge a sfide estreme? In questo libro Tamara si racconta parlando dell'impresa del Nanga, ma scavando molto anche nel proprio mondo e dentro di sé. Ne scaturisce una personalità dirompente che, cresciuta a profondo contatto con la Natura, abituata fin da piccola a mettersi alla prova nello sport, coltiva la passione per l'alpinismo come un modo per trovare se stessa. Certo, essere una donna in un ambiente finora quasi solo esclusivamente maschile ha un prezzo: al campo base bisogna farsi valere, dimostrare che si è capaci di sforzi "da uomini" e magari anche tenere a bada alpinisti «che sembrano marinai appena scesi da una nave»... Ma Tamara, forse anche grazie a un pizzico di follia davanti ai pericoli, vive l'alpinismo come un modo per migliorarsi costantemente, essere in armonia con il cosmo. Per lei la sfida in montagna ha infatti anche qualcosa di spirituale, la avvicina a Dio. E le dona la felicità.
Venezia 1894. Trentasei anni lei, trentuno lui. Un incontro fortuito, quello tra Eleonora Duse e Gabriele d'Annunzio, che segna l'inizio di una storia lunga un decennio. Un breve tratto nell'arco di una vita, ma per entrambi capitale. Gabriele offrirà alla sua musa una serie di capolavori; Eleonora li metterà in scena. Nasce con questo giuramento il motto araldico della coppia: «More than love». Lui, infatti, è perentorio: esige «più che l'amore». Lei lo corrisponde a oltranza, recitando un trasporto da Baccante orgiastica: «Vorrei potermi disfare tutta! Tutto donare di me, e dissolvermi». Al banco di prova, però, la verità sarà un'altra. Occorreranno anni prima che d'Annunzio prenda atto che l'attrice simula un consenso che si guarda bene dall'accordargli. In questo libro Annamaria Andreoli mette in discussione la vulgata, confermata da oltre un secolo, che dipinge la Duse come sottomessa al Vate. Se corrispondono al vero passione, tradimenti e umiliazioni, sono da ribaltare i ruoli: fu lui la vittima e lei il carnefice. È quanto emerge dai numerosi documenti, sottoposti a nuovo esame con un'avvertenza: a varare la favola dei divi amanti fu Gabriele, maestro nel creare leggende. La personalità carismatica di una donna ben lontana dai cliché dell'epoca e lo sfolgorio di una società europea in cui il teatro e la cultura italiana erano protagonisti sono i cardini di una vicenda che non smette di affascinare.
Il giardino della memoria affonda le radici nella cronaca di uno dei più efferati delitti mafiosi degli ultimi decenni: il rapimento del tredicenne Giuseppe Di Matteo e il suo assassinio, due anni dopo, l’11 gennaio 1996.
Io narrante di questa drammatica storia è un regista teatrale che accetta l’incarico di scrivere una pièce su quell’omicidio e per farlo si concentra sui 779 giorni di prigionia del ragazzo.
Al suo racconto si alternano e si accompagnano come un coro da tragedia la ‘ voce’ della vittima stessa, Giuseppe, e quelle fissate nella trascrizione di ampi stralci degli atti giudiziari del processo. Emerge così con crudezza l’assurdità di ciò che ci piacerebbe poter pensare solo frutto della fantasia mentre è realmente accaduto.
Iris Grace ha poco più di un anno quando le viene diagnosticata una forma severa di autismo. Non comunica con gli altri, alza appena lo sguardo quando i genitori le si avvicinano, un suo sorriso è una rarità. Sua madre Arabella è disperata, ma tenta ogni strada per aprire un varco nel chiuso mondo della sua bambina. E proprio quando ogni sforzo sembra fallire, arriva in casa Thula, una gattina di pochi mesi di razza Maine Coon. L'intesa tra Iris e Thula è istantanea, evidente, miracolosa. La bambina comunica spontaneamente e senza parole con la gatta e questo legame così particolare l'aiuta a sbocciare. Insieme a Thula, che non si allontana mai da lei, ogni giorno Iris passa ore e ore a dipingere. Perché Iris è un'artista straordinaria, dotata di uno sguardo unico sulla natura e sulle cose più piccole che si traduce in una serie di quadri bellissimi. E saranno proprio queste opere al tempo stesso misteriose e affascinanti a far conoscere al mondo la sua storia incredibile. Questo libro non racconta solo di un genio o di una bambina prodigio - Iris è quasi sicuramente entrambe le cose -ma soprattutto dell'amore e della forza inesausti di una madre che, con l'aiuto di una gatta eccezionale, ha restituito il sorriso alla sua bambina e alla sua famiglia.
Per la loro natura di diario quotidiano e di ininterrotto colloquio con un destinatario che doveva conoscere tutti gli sforzi e i pensieri dell'altro, queste lettere costituiscono il filo conduttore della straordinaria storia intellettuale di Piero e Ada Gobetti. Inoltre, rispecchiando un'attività che fu intensissima fin dai suoi esordi, esse restituiscono una fitta trama di relazioni, contatti, esperienze, e possono essere considerate un osservatorio privilegiato della vita culturale italiana in anni cruciali della sua storia. Grazie a questo carteggio, l'icona severa del Gobetti intellettuale e antifascista intransigente si arricchisce della dimensione privata, mostrando il processo della sua formazione umana, politica e intellettuale. Allo stesso tempo, l'immagine di Ada consorte e vedova del martire antifascista viene sostituita da quella di una giovane donna combattiva e pensosa, capace di sostenere l'arduo rapporto con Piero e di smussare le rigidezze intellettualistiche di lui. Questa edizione del carteggio, che si aggiorna con nuovi documenti recentemente affiorati, intende avvicinare anche il pubblico non specialista a due straordinarie personalità del Novecento che non hanno mai smesso di parlarci attraverso la loro struggente storia d'amore e il loro inestinguibile ed eroico impegno civile e politico.