Quattro anni fa ho ricevuto un colpo. Mario, mio figlio appena nato, aveva subito un ictus. Mentre era in grembo? Durante il parto? Non lo so ancora: accade a due o tre bambini su mille, e tutti riportano danni al cervello. Nel suo caso, il quaranta per cento dell'emisfero destro era "bruciato", probabilmente il lato sinistro del suo corpo sarebbe rimasto paralizzato. Le statistiche, ormai l'ho capito, sono così: ti dicono solo quello che non puoi fare. Quello che si può fare l'abbiamo scoperto un po' per volta: tanta fisioterapia, a casa e in ospedale, e un programma sperimentale per l'attivazione dei neuroni specchio. Ma non bastava. Perché Mario non guardava gli esercizi, guardava noi genitori, così concentrati a insegnargli l'autonomia che ci eravamo dimenticati di trasmettergli la gioia di vivere. Allora abbiamo cambiato prospettiva: se volevamo il meglio da nostro figlio, dovevamo dare il meglio di noi. Abbiamo ripreso a fare con lui le cose belle che ci piacevano prima: viaggiare, ascoltare musica, leggere, frequentare gli amici. E lui, passo a passo, letteralmente, si è messo in piedi ed è diventato il bambino sorridente che è oggi. La nostra storia non è un miracolo o una favola: è un esempio di quello che curiosità, coraggio, amore e scienza possono fare. Per questo ho voluto raccontarla in un libro, come io e mio marito l'abbiamo raccontata al TED Global del 2013, e da lì ha fatto il giro del mondo. Prefazione di Saturnino. Postfazione di Giacomo Rizzolatti.
Jörn Klare, figlio di una settantenne colpita da demenza senile, racconta la sua esperienza alternando voci diverse e appartenenti a diversi momenti: i suoi pensieri su una realtà, certamente per lui inedita, faticosa, ma non priva di squarci di luce; i ricordi della madre, registrati prima che si ammalasse; infine, gli approfondimenti con esperti di vari settori, medici, geriatri, assistenti alla cura, filosofi, sociologi, che, con grande ricchezza informativa, affrontano questioni molto concrete. Restituisce così una prospettiva molteplice che offre al lettore un valido accompagnamento lungo un percorso difficile da accettare.
Da adolescente comincio a soffrire di anoressia. Un soffio di vento mi avrebbe portato via. Oggi convolo in due. La vita si può vomitare e si può ritrovare dentro e fuori di sé. In una società che si dibatte tra la pubblicità dei fast food e quella dei prodotti dietetici, la prima cosa da evitare nel parlarne è l'ipocrisia e la banalizzazione. Chiara Andreola, raccontandoci con coraggio e verità la sua storia, ci porta oltre i luoghi comuni su anoressia e bulimia, conducendoci in un viaggio lungo un filo rosso che va dalla sua passione paradossalmente - per l'enogastronomia, ai suoi viaggi nel mondo per studio e lavoro, alla storia d'amore con quello che oggi è suo marito. Per arrivare ad un finale aperto, in primo luogo alla speranza. I disturbi del comportamento alimentare sono frequenti, danneggiano la salute fisica e l'equilibrio psichico. Come uscirne? Nel saggio che segue utili consigli per ogni famiglia che deve affrontare disturbi alimentari che coinvolgono, in Italia 2,4, milioni di persone.
Come si aiutano le famiglie vulnerabili? I bambini vanno necessariamente separati dai loro genitori? Le comunità e l'istituto dell'affido sono le uniche vie per proteggere e cautelare lo sviluppo dei più piccoli? Il percorso tracciato in questo lavoro tenta di rispondere a queste domande solcando i confini di una nuova frontiera in materia di tutela minorile e parte dall'affido familiare, di cui sottolinea i tratti essenziali e consolidati, le evoluzioni e gli aspetti di limite, per poi volgere lo sguardo verso nuove modalità di intervento che mirano a ridurre l'allontanamento dei figli dalla famiglia di appartenenza sostenendo quest'ultima attraverso la valorizzazione delle sue risorse. Come? Con il progetto "Una famiglia per una famiglia", un modello innovativo che si presta a compiere un passaggio ideale che dall'affidamento approda all'affiancamento familiare. Il suo obiettivo è preventivo: ridurre i fattori di rischio che possono portare all'allontanamento del minore dalla sua famiglia. La formula è originale: una famiglia solidale si impegna concretamente a sostenere un'altra famiglia che, per svariate ragioni, vive disagi di tipo economico, psicologico o relazionale tali da compromettere il rapporto con i figli.
I saggi raccolti in questa pubblicazione costituiscono l'esito di un inedito percorso di riflessione e ricerca su una misura giuridica utilizzata dalle Autorità Giudiziarie nei provvedimenti che includono disposizioni in ordine alla tutela dei minori: l'affidamento al Servizio sociale. Nato come provvedimento rieducativo e di controllo sociale della devianza minorile, ha trovato nel tempo ampio utilizzo in campo civile, sia minorile sia nelle separazioni di genitori, con effetti limitativi della responsabilità genitoriale. L'argomento rientra in un campo che, in vista di una possibile riforma della giustizia, ha necessità di essere ridefinito e armonizzato all'interno della complessiva legislazione minorile; questo lavoro si propone quindi come contributo alla necessaria ridefinizione delle specifiche responsabilità e corresponsabilità presenti nel sistema di protezione e tutela dell'infanzia e dell'adolescenza che servizi sociali pubblici, privato sociale e sistema giudiziario concorrono a costruire. Il volume raccoglie, oltre ad approfondimenti normativi, alcuni contributi del convegno nazionale sul tema, realizzato a Roma nella primavera del 2014, nel quale sono stati presentati, discussi e commentati i risultati della ricerca, realizzata in quattro regioni e conclusa nel 2013, dai Garanti dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza di Emilia Romagna, Lazio, Toscana e Veneto, a partire da diverse prospettive: professionali, giuridiche, dottrinali, sociali e sociologiche.
L'esperienza della malattia terminale rappresenta una sfida gravida di significato per la società contemporanea, che su essa può e deve misurare la propria capacità di accogliere, sostenere e aiutare le persone, anche quando la loro vita è ormai priva di prospettive. Ma che cosa accade nei luoghi dove i malati trascorrono gli ultimi giorni o le ultime settimane della loro esistenza? Quali storie si intrecciano, quali dialoghi nascono, quali sentimenti maturano? Le storie raccolte da Attilio Stajano riflettono vicende e sensibilità molto diverse, ma presentano un tratto comune: alla fine, quando i gesti e le parole fatalmente si rarefanno, resta solo l'amore. Mettersi in paziente e sensibile ascolto di chi ci sta per lasciare può insegnarci molto riguardo al significato profondo della vita e della morte. Soprattutto ci insegna a vivere meglio, fino alla fine. Prefazione di Marie De Hennezel.
Questo libro parla di come è cambiato, nell'Occidente contemporaneo, il modo di vivere l'età anziana. In passato, un "vecchio" era l'immagine autorevole a cui i giovani guardavano con rispetto e da cui cercavano esempio e ispirazione. Oggi, invece, l'età dei legami fluidi e dei rapporti virtuali genera persone che invecchiano senza diventare anziane, e le costringe a scegliere tra le opzioni, egualmente svalutanti, di abdicare al proprio ruolo di guida pagando il prezzo dell'esclusione sociale o imitare i ragazzi in una deriva di ridicolo giovanilismo. D'altro canto, alla negazione dell'età anziana corrisponde in modo speculare lo smarrimento di quella giovanile, sempre meno in grado di riconoscere il proprio desiderio, formattata dalla società dei consumi e incapace di assumere le reali possibilità della propria giovinezza. Dalla riflessione sui cicli di vita snaturati e sulle modalità di restituire un senso al presente prende le mosse il dialogo tra Miguel Benasayag, filosofo e psicanalista, autore di "L'epoca delle passioni tristi" e Riccardo Mazzeo, editor delle Edizioni Erickson e autore con Zygmunt Bauman di "Conversazioni sull'educazione".
È possibile riprendersi la vita dopo aver commesso un delitto? Può il carcere essere il luogo dove ritrovare sé stessi? Una storia vera che l'autrice ha deciso di raccontare per mostrare che "nessuno è perduto, nessuno sbaglio è tanto grande da non poter essere perdonato". Pietro è un ragazzo come tanti che ha preso strade nelle quali ha rischiato di perdersi per sempre. La detenzione diventa l'inizio di un nuovo cammino grazie all'affetto della famiglia, al lavoro e all'amicizia incontrata in carcere. L'incontro fortuito con Irene in uno dei primi permessi premio segnerà una svolta decisiva nella sua vita. Non sarà facile per Irene fare i conti con il passato del galeotto, ma il cuore saprà andare oltre le sbarre. "Ero male. Vivere senza regole, senza limiti e senza volermi bene mi ha portato prima all'autodistruzione e poi a distruggere tutto quello che avevo intorno. Per me la galera è stata la salvezza: io col carcere mi sono ritrovato" (Pietro). "Nessuno è perduto, nessuno sbaglio è tanto grande da non poter essere perdonato" (Irene).
11 settembre 2001: l'attentato alle Twin Towers cambia il mondo; un anno dopo, stesso giorno: un incidente stradale cambia il mondo di Alessandra condannandola alla sedia a rotelle. Il libro racconta di una rinascita dopo la tragedia, di un cammino nuovo dove la sofferenza è alleviata e accompagnata dal bene di tanti, dai familiari agli operatori delle strutture sanitarie, fino all'incontro con Lulù, fedele e inseparabile cane da supporto. Trascinata da Lulù, Alessandra intreccia relazioni, supera ostacoli e barriere, paure e solitudine, silenzi e pregiudizi, tanto da divenire la prima ragazza diversamente abile a svolgere gare di obedience a livello agonistico in Italia. Oggi Alessandra lavora presso l'associazione ChiaraMilla come istruttore cinofilo e collabora a progetti di pet therapy. Da queste pagine emerge la testimonianza di un abbraccio infinito alla vita. "Dopo la sofferenza ti puoi godere ancora la vita, ci sono tante cose per cui sorridere. La vita non finisce in quel momento. Bisogna ricominciare. Io mi sento di dire, e ne sono convinta, che ho una vita migliore adesso rispetto a prima" (Alessandra). Terza edizione ampliata con interviste alle autrici e nuovi contributi.
SLA. Serve Lottare Ancora. Un altro significato, ma anche un diverso modo di affrontare la sigla che tutti conosciamo come Sclerosi Laterale Amiotrofica. Questa la malattia che nel 2011 ha colpito Antonio Spreafico, marito e padre, architetto, volontario, credente. La disperazione sorta nei primi tempi, il dubbio di "farla finita" in qualche clinica svizzera deputata alla "dolce morte"; poi il lento, cosciente e tenace inseguimento a ritroso di una vita e del suo senso profondo fatto di sguardi, abbracci, doni, impegni, volti, passioni e tanta umanità condivisa. La SLA ha messo in moto questo, e tanto altro, nel cuore e nei giorni di Antonio il quale, attanagliato da una malattia che non ha guarigione, scopre e qui racconta una nuova prospettiva del vivere. Le pagine di Spreafico brillano di un'autoironia curiosa e affascinante, spiccano per una scrittura limpida e coinvolgente, ci portano dentro un dolore umano che diventa lente di ingrandimento per l'esistenza di ciascuno: per cosa vivere? Che cosa resterà di noi? Cosa davvero vale? Sono queste le domande che Spreafico ci suggerisce con indomita speranza, mentre lui è bloccato nell'immobilità di un letto, lucido osservatorio sulle faccende umane di tutti noi. Solo chi ha attraversato la notte oscura della sofferenza può dirci e darci rinnovate motivazioni per i nostri giorni.
"La parabola dell'uomo che aveva due figli mi appartiene da sempre. Me l'hanno consegnata fin da bambino tanti padri e tante madri incontrati nel cammino dell'esistenza. Mai avrei pensato di poter rileggere oggi questa 'parabola delle parabole', questo 'vangelo nel vangelo', attraverso gli occhi, i volti e le storie dei ragazzi incontrati nel carcere minorile Cesare Beccaria di Milano e nelle comunità di accoglienza Kayròs in cui abito. Quindici anni di vita sacerdotale intensi a fianco di quei ragazzi che l'opinione pubblica definisce 'cattivi', 'bulli', 'giovani devianti' sono bastati a farmi comprendere come il viaggio del figlio minore della parabola non sia così separato da quello del figlio maggiore, e come sempre meno abbiano senso distinzioni tra figli 'buoni' e figli 'cattivi'. Siamo tutti figli perduti e ritrovati, tutti bisognosi di guarigione e di perdono, tutti in viaggio verso casa alla ricerca del Padre, il solo buono." (don Claudio Burgio) "Bisogna tornare a 'occuparsi' dei giovani più che a 'preoccuparsi' di loro. Le nuove generazioni hanno bisogno di adulti che facciano gli adulti e che non coltivino, in modo irresponsabile, il mito dell'eterna giovinezza. Ma i ragazzi 'difficili', come i ragazzi più 'normali' che vivono 'all'ombra del campanile' e nei nostri stupendi oratori, hanno bisogno anche di amici, di fratelli maggiori con cui mettersi in dialogo. Il giovane della parabola non ha trovato questo fratello..." (dalla Prefazione del card. Dionigi Tettamanzi)