La proverbiale difficoltà del linguaggio di Heidegger e la vertiginosa altezza delle questioni da lui affrontate rendono particolarmente ardua la comprensione del suo pensiero, tanto più che esso si inerpica per sentieri non praticati dal senso comune. L'unico vero modo per superare questo ostacolo è quello di affrontare la lettura diretta delle sue opere, seguendolo passo per passo nel suo cammino di pensiero. Mai come per Heidegger appare indispensabile una guida adeguata che aiuti a penetrare nei recessi talvolta oscuri del suo meditare.
«Come Nietzsche aveva riconosciuto in Wagner il suo unico antagonista esistente e con ciò gli aveva tributato il più grande onore, così Heidegger ha dedicato a Nietzsche il suo scritto più articolato che tratti di un pensatore moderno, anche se in questo caso cronicamente inattuale, dandogli il supremo onore di definirlo “l'ultimo metafisico dell'Occidente”. E come Nietzsche si distacca in tutto dagli oppositori di Wagner, così Heidegger non ha molto a che fare con tutte le generazioni di critici e biasimatori di Nietzsche – è molto di più, è l'unico che risponda a Nietzsche».
Quest'opera dall'aura esoterica - stesa tra il 1936 e il 1938 sull'orlo di una drammatica crisi filosofica e personale, ma pubblicata solo nel 1989 - è il tentativo più organico e coerente compiuto da Heidegger per riorganizzare il suo pensiero dopo la cosiddetta "svolta". Prende dunque forma un universo speculativo nuovo e sorprendente rispetto a quello di "Essere e tempo": entrano in scena l'interpretazione della metafisica come oblio dell'Essere, la diagnosi storico-epocale del nichilismo e della tecnica, il confronto con Nietzsche e con Hölderlin, la dottrina dell'"ultimo Dio" e di un "altro inizio" della storia. In realtà già alla fine del capolavoro del 1927 si profilava l'esigenza di rovesciare la teoria quasi trascendentale dell'Esserci per considerare non solo il suo puro autoprogettarsi, ma anche l'immemoriale e insondabile provenienza della sua finitudine dalla storia dell'Essere. Con il pensiero della "svolta", cui quest'opera dà corpo, Heidegger teorizza la coappartenenza di Essere ed Esserci in quell'"evento-appropriazione", "l'Ereignis", con cui l'Essere si affida all'Esserci in un'alternanza di donazioni e sottrazioni, concessioni e rifiuti, manifestazioni e occultamenti, che ritmano le "epoche" della storia.
Questo caposaldo, rimasto enigmaticamente incompiuto, è il testo che più di ogni altro ha influenzato la cultura filosofica del Novecento. Fin dal suo primo apparire nel 1927 e poi, a ondate successive nel 1946, negli anni Sessanta, il fascino e l'influenza esercitati da quest'opera hanno alimentato la riflessione e le polemiche di quanti si sono occupati di Heidegger. Tutto ciò che è accaduto dopo nella cultura occidentale è in qualche modo il risultato dell'esplosione filosofica determinata da questo libro.
Senza rinunciare al proprio punto di vista squisitamente filosofico, e professandosi "in linea di principio ateo", Heidegger interpreta l'esperienza religiosa come matrice esemplare per capire la dinamica originaria della vita umana nella sua "fatticità", quindi nella sua "gettatezza", finitudine e storicità. In particolare egli si accosta ai documenti del primo cristianesimo, e soprattutto alle lettere dell'apostolo Paolo e alle "Confessioni" di Agostino, per assimilarne con avidità le intuizioni filosofiche e delineare sulla loro scorta i tratti genuini della vita umana nella sua fatale tendenza alla perdizione e allo scacco, ma anche nella sua ricerca di un'ardua eppur raggiungibile riuscita.