Nota soprattutto come pedagogista, Maria Montessori è stata una figura di riferimento anche nell'ambito della tutela dei diritti femminili. Quello che Montessori sostiene e promuove in queste pagine è un modello di «donna nuova» consapevole delle proprie potenzialità e artefice della propria sorte, alla quale non solo siano garantiti il diritto al voto e all'istruzione, ma cui sia riconosciuta, tanto nel matrimonio quanto nel lavoro, pari dignità rispetto all'uomo. I nove testi qui raccolti, rimasti quasi tutti inediti dopo una prima pubblicazione su rivista, raccontano i primi passi dell'emancipazione delle donne in Italia e danno un prezioso contributo al dibattito, ancora oggi vivacissimo, intorno alla parità di genere.
Cosa significa essere donna? Non alzare la voce, non ribellarsi. Obbedire al padre, al marito, alla società. Significa calma e sottomissione. Dover essere una brava bambina, poi una brava moglie e una brava madre. Eppure per qualcuna tutto questo non basta. Attraverso otto storie che spaziano dal mito alla contemporaneità, gli autori raccontano l'altra faccia della luna: e cioè come fin dagli albori dell'umanità, in saghe, leggende ed epopee letterarie, i modelli di donne forti sono sempre stati ridotti al silenzio. Ma dal nuovo racconto delle storie di Era, Medea, Daenerys, Morgana e le altre, se ci si pongono le domande giuste, possono risultare modi diversi di vivere se stesse e la propria femminilità, di leggere i meccanismi che circondano e intrappolano. Con la guida della filosofia, che ci aiuta a domandarci il significato delle cose e ci indica un comportamento nel mondo, questi ritratti femminili insegnano come trasformare le gabbie in chiavi e volgere le difficoltà in opportunità. Solo così ci si potrà finalmente permettere di esistere, e non aver paura di fiorire. Fare filosofia aiuta a piazzare punti interrogativi alla fine delle parole, come fossero esplosivi. Non più "donna", ma "donna?", non più "si fa così", ma "si fa così?". Non più "è sempre stato così", ma "è sempre stato così?". In questo modo ogni preconcetto esplode, e si aprono passaggi segreti impensabili e altrimenti invisibili.
In una società in crisi di valori, si prova spesso disorientamento e si manifesta la necessità di fare affidamento su oggetti, abitudini, rituali e persino pratiche di tipo magico, per affrontare le difficoltà del quotidiano. E qualora la società civile e la religione non forniscano risposte all’altezza delle speranze, questo bisogno di sentirsi rassicurati e protetti diventa allora «impulso di autoconservazione». È il crollo dei valori morali e religiosi. Questo libro illustra perché la superstizione è da considerarsi una forma deviata del senso religioso che è in ogni persona. Cercando nella storia dell’umanità l’origine e le cause della superstizione, potremo capire perché tali tradizioni si sono propagate fino a oggi. I racconti e gli esempi, tratti dall’esperienza dell’autore, mostreranno a qual punto è ridicolo dare il minimo credito a queste credenze vane e insensate. Soltanto la fede in Gesù può infondere in noi coraggio e fiducia!
I tanti conflitti cui assistiamo, che siano cruenti o meno, che siano grandi guerre o piccoli razzismi, non trovano assolutamente motivazione nella fede autentica. Nell’attualità globalizzata le tradizioni religiose sono spesso ritenute sorgente di identità delle persone, ma considerarle come il solo elemento identitario rischia di far credere che possano avere reale funzione solo “per opposizione” rispetto ad altre credenze. Gli autori di questo saggio dialogano tra di loro nella curiosità delle tradizioni altrui e scoprono che la diversità è il vero motore della vita in società, e che l’accettazione del diverso da sé è il principale contributo alla definizione della propria identità e alla composizione dei conflitti.
L’origine dei riti mascherati si perde nella notte dei tempi. Corrisponde al ciclico ritorno degli antenati, che all’avvio del nuovo anno si manifestano ai vivi come figure bizzarre, inquietanti, sfarzose, esagerate per portare un augurio di prosperità e di fertilità. Cacciati dalla cittadella sacra di Natale ed epifania, questi personaggi ancestrali se ne sono andati a spasso per il calendario, trovando rifugio là dove non recavano disturbo. Così, in luoghi remoti del continente europeo e nelle date più impensate del semestre invernale, vediamo tornare alla ribalta gli scampanatori paurosi dei lupercali, i bianchi salterini degli ambarvali, i burleschi birboni dei saturnali…
Da rito che era, nel regime religioso cristiano la mascherata si è trasformata in farsa, in un presunto tripudio di gola e licenziosità legittimato quale necessaria antifona della successiva espiazione quaresimale. Forte di questo salvacondotto, carnevale diviene il protagonista della cultura popolare della rinascenza europea, di cui seguirà le sorti, per prendere infine il piroscafo e andare a conquistare le grandi città della sponda orientale dell’America Latina e della Louisiana, dove avrà inizio il suo inarrestabile incedere sulla scena globale in atto ancora oggi.
Da cosa dipende la dignità dell'uomo? Quando si può dire che l'uomo sia pienamente libero, integralmente se stesso? E quando si può affermare che l'uomo compie il bene? Il saggio "Diritto naturale e natura umana" presenta il diritto naturale come l'espressione normativa della natura umana, capace di condurre l'uomo alla ricerca del bene, del vero e dell'eterno. La trattazione propone una prospettiva teologico morale naturale che si sofferma sui principi immodificabili attraverso i quali il Bene assoluto comunica la propria Verità alla ragione umana, affinché l'uomo - accogliendola liberamente - ne accolga la Giustizia e, con essa, edifichi sé stesso e i consorzi umani nei quali è chiamato a vivere.
Dio perdona sempre, l'uomo qualche volta, la natura mai. Questo noto proverbio racchiude ciò che possiamo chiamare una metafisica del perdono, nella quale si possono distinguere tre tipi di essere: l'essere infinito di Dio che è sorgente di ogni perdono, l'essere finito dell'uomo, che è capace di perdonare perché dotato di libertà, e l'essere altrettanto finito della natura, incapace di perdonare perché obbedisce soltanto a leggi fisiche o psichiche. Nel perdono umano vi è la compresenza di tutti e tre: la natura come causa dei processi psichici che devono essere superati (la vendetta o il rimorso), l'uomo come soggetto che offende o che viene offeso e, soprattutto, Dio quale origine e fine ultimo del perdono. Ma è l'esistenza stessa di una relazione fra l'offensore e l'offeso inficiata dal male a suggerire la necessità di elaborare un'Antropologia del perdono. Essa poggia sue due tesi. La prima verte sulla necessità del perdono sia da parte dell'offensore sia da parte della vittima, poiché senza perdono non è possibile il pentimento ma solo la colpevolezza, il rimorso e la disperazione; viceversa, senza pentimento non vi è nessun vero perdono ma solo l'oblio dell'offesa, della colpa... o la pura indifferenza. La seconda tesi è ancora più forte: oltre ad essere una necessità per l'offensore e per l'offeso, il perdono è un dovere perché soltanto esso è capace di trasformare una relazione corrotta dal male (e perfino di rigenerarla), che altrimenti si cristallizzerebbe nella paura, nel rancore o nell'odio, ossia in una totale sfiducia in sé e nell'altro. Il perdono è dunque un bene relazionale.
Abbiamo bisogno di un femminismo che dia la priorità alle vite delle persone. Davvero la massima realizzazione per le donne è quella di arrivare a occupare posti di potere nelle gerarchie delle grandi aziende capitaliste? È quel che ci dice il femminismo liberale, che aspira a rompere il soffitto di cristallo, mentre non si preoccupa affatto delle esigenze della stragrande maggioranza delle donne. Esigenze come la lotta contro lo sfruttamento sul lavoro e i diritti sindacali; il riconoscimento della loro fondamentale funzione di cura dei figli, caricata sulle donne in favore della massimizzazione dei profitti; il diritto alla salute e a un ambiente non inquinato; la lotta contro ogni forma di razzismo e guerra. Oggi che il sistema di valori liberisti è in crisi e stiamo vivendo una nuova ondata femminista internazionale, abbiamo lo spazio per creare un altro femminismo: anticapitalista, antirazzista ed ecosocialista. Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya e Nancy Fraser sono state tra le principali organizzatrici dello sciopero internazionale delle donne negli Stati Uniti.
Obiettivo del nostro tempo può essere una mera coesistenza? L'identità è divisione, dicotomia. Separa 'noi' dagli 'altri', tagliando alla radice i rapporti di somiglianza. La diversità si trasforma così in alterità, con cui coesistere o (se è minaccia) da eliminare. Ma, prima di ogni divisione, gli 'altri' non sono forse simili a 'noi'? E, dopo ogni divisione, le somiglianze non rispuntano forse con la forza della loro inattesa resilienza? A partire da queste ipotesi, Francesco Remotti si inoltra in una impegnativa ricerca sui fondamenti della convivenza, ritenendo che la somiglianza sia una dimensione prioritaria e irrinunciabile. Dai filosofi dell'antichità a quelli della modernità, da momenti significativi del pensiero scientifico ai modi in cui in altre società sono concepite le persone, ciò che viene fatta emergere è una teoria delle somiglianze, che - prima di ogni divisione - induce a cogliere legami e intrecci non solo tra le cose, ma entro le cose. In questo modo, insieme all'identità, viene meno anche il concetto di individuo. Come già in biologia, al suo posto troviamo il 'condividuo', un soggetto che, oltre a condividere con altri somiglianze e differenze, è esso stesso espressione di una vera e propria simbiosi interna, a partire dalla quale dovrebbe risultare più facile pensare alla convivenza con gli altri.
Le origini dell'uomo moderno sono davvero così recenti? La teoria dell'evoluzione è così scientificamente documentata e inattaccabile? Una recente interpretazione archeologica condotta da due ricercatori dimostrerebbe il contrario. Secondo Michael A. Cremo e Richard L. Thompson, a dispetto delle più consolidate teorie scientifiche, le origini dell'uomo moderno non risalirebbero a 100.000 anni fa, ma a ben tre milioni di anni fa. I siti archeologici che producono tali evidenze, non solo sotto forma di reperti paleontologici, ma anche di manufatti, vengono dettagliatamente descritti e interpretati in questo saggio affascinante e provocatorio. L'intento divulgativo di questo studio non smorza tuttavia i toni di accusa contro il mondo scientifico, che secondo gli autori avrebbe ignorato e occultato le prove più scomode, con l'obiettivo di mantenere saldo lo "status quo" della teoria evolutiva. Ciò che emerge è che con ogni probabilità non è esistita un'evoluzione del genere umano dall'Australopiteco all'Homo Sapiens, ma che al contrario uomini e ominidi hanno da sempre coesistito sulla Terra e che quindi la teoria evoluzionista della vita sul nostro pianeta, su cui si basano le odierne scienze naturali, non hanno alcun fondamento certo. Introduzione di Graham Hancock.
La vita nell'amicizia è adesso, lo sentiamo senza dovercelo dire. Vale la pena di vivere per questo, perché c'è l'amicizia. Essa libera la quotidianità dal suo carattere di «compito» e l'esistenza da qualunque sospetto di «doversela meritare». È la ricompensa dei viventi, che non bisogna aspettare anni o in un'altra vita. In questo senso, proprio oggi, per noi contemporanei è una delle più assurde e anacronistiche manifestazioni. Ricorda a una società che ne ha completamente smarrito il senso che non c'è un oltre, ma che esso è già qui, che c'è qualcosa che non corrisponde a nessuno scambio equo, è uno spazio della «ingiusta gratuità», ingiusta perché questa non è offerta a tutti.
Pubblicato a Tel Aviv nel 1943, questo libro propone il primo corso di “filosofia della società” tenuto da Buber nel 1938 all’Università ebraica di Gerusalemme. In quest’opera, e per la prima volta, Buber presenta in modo dettagliato, confrontandola con quella di altri pensatori, la sua idea della condizione umana e considera come differenza specifica dell’uomo rispetto a tutte le altre creature il suo configurarsi come essere sociale in forma peculiare. Secondo il filosofo, infatti, l’originaria socialità umana si mostra come un “a priori” universalmente valido che pone immediatamente in contatto l’“io” e l’“altro” in modo gratuito e nella reciproca disponibilità.