
Sulla scia degli interessi maturati sull'attività teatrale dei padri gesuiti in particolare nell'ultimo ventennio, questo saggio intende offrire un contributo volto a stimolare legittimo riconoscimento storiografico ad uno dei fenomeni più interessanti della storia dello spettacolo (e non solo dello spettacolo) dell'età moderna. In questo senso il saggio rientra fra gli orientamenti di ricerca dell'autore che ha tratto ampio profitto dalle sue competenze nell'ambito della cultura materiale del teatro e di quella pre-teatrale, con particolare riferimento allo spettacolo urbano, per mettere in evidenza il ruolo avuto dalla Compagnia di Gesù nella società non soltanto europea. Pedagogia e debordamento sono i due poli entro i quali i padri gesuiti, anche nel campo dello spettacolo, hanno saputo articolare, più di ogni altro la propria azione fra l'educazione nei collegi e il rapporto diretto con le diverse fasce del sociale e con le culture locali, esprimendo spesso geniale creatività inventiva fino agli azzardi estremi. In ogni caso si tratta di una testimonianza forte fra globalizzazione e rispetto delle identità di cui può essere utile tener conto oggi.
Il più noto dei testi incompiuti di Brecht è stato per lungo tempo un riassunto di poche righe pubblicato all'interno delle sue opere complete. Heiner Müller ha consultato gli archivi di Berlino e ha scoperto centinaia di pagine di appunti legati al soggetto "Fatzer". Brecht vi lavorò tra il 1927 e il 1932 scrivendo quasi seicento pagine di appunti, frammenti, scene complete e note teoriche in cui sviluppava una nuova idea di teatro. Il dramma è ambientato nella Germania degli anni della Prima guerra mondiale, Johann Fatzer e tre commilitoni nascondono il proprio panzer e scappano a Mühlheim, una città segnata dalla fame e dal malcontento sociale.
"Amleto" è l'opera che, più di ogni altra, inaugura la cultura moderna; anzi, per molti versi ne costituisce il mito fondante. Come personaggio "mitico", Amleto dà vita a un soggetto scisso, dilaniato, smarrito. Amleto è scisso, sul piano ideologico, fra fede umanista e scetticismo conoscitivo, fra segno e simulacro, fra cultura cattolica e riformismo protestante. È dilaniato, sul piano psicologico, dalla contesa fra nome del padre e richiamo affettivo della madre, fra passato aureo e presente decadente, fra eros e rifiuto del corpo, fra ragione e follia, fra follia recitata e follia sperimentata. Il titolo viene ripubblicato in una nuova veste editoriale, con la copertina che per l'occasione è stata realizzata da Giuseppe Palumbo.
Ultimo dei tre volumi dedicati a Eduardo, il secondo tomo della "Cantata dei giorni dispari" raccoglie i testi che vanno dalla metà degli anni Cinquanta all'ultima opera, "Gli esami non finiscono mai", del 1973. In questo volume compaiono pertanto capolavori della maturità, come "De Pretore Vincenzo", "Sabato, domenica e lunedì" e "II sindaco del Rione Sanità". L'edizione, curata da uno storico della lingua, Nicola De Blasi, e da una storica del teatro, Paola Quarenghi, analizza sia il lavoro dell'autore che quello dell'attore: il confronto tra il testo a stampa, i manoscritti e l'edizione televisiva delle opere di De Filippo ha consentito di risolvere problemi di datazione, di seguire l'evoluzione drammaturgica, di testimoniare del continuo work in progress dalla scena al testo dato alle stampe.
Quando scrisse le tre parti del "Wallenstein", fra il 1796 e il 1799, Schiller era ormai un uomo maturo. Aveva abbandonato le ingenuità e i furori ideologici delle prime tragedie, nelle quali il bene, il coraggio e la libertà stavano da una parte, e il male e la tirannide dall'altra. Nel portare sulle scene le vicende del generale dell'impero asburgico, che tante battaglie vinse durante la Guerra dei Trent'anni ma venne poi sospettato di tradimento e ucciso, Schiller non mette in campo vizi contro virtù, ma uomini a tutto tondo, un po' buoni e un po' cattivi, in lotta fra loro; soprattutto rappresenta le loro volontà teoriche in lotta contro l'andamento quasi meccanico delle loro azioni negli insondabili destini tracciati da quel groviglio di forze discordi che è la storia. Un caposaldo del teatro europeo tradotto da Massimo Mila sessant'anni fa in una prosa che ancora oggi appare moderna ed efficacemente teatrale.
Gigi Proietti ha scelto e montato per questo Dvd i successi del suo teatro com "Pietro Ammicca"; "Castone"; " Grammelot"; "L'inglese"; "La canzone country"; napoletano"; "II teatro Kabuki"; "Er Barcarole romano" e altri. Il libro permette ai lettori di scoprire che anche sulla pagina scritta Proietti mantiene una sua voce inconfondibile, capace di molti registri ma sempre caratterizzata da una sorridente, sorniona, implacabile capacità di avvincere. Un pianeta delle meraviglie dove Roma, il Don Giovanni, l'amatissimo Gioacchino Belli, passioni culturali e civili, cultura alta e cultura bassa si mescolano in modo inestricabile. Con la rivelazione ulteriore di alcuni testi poetici che sono folgorazioni zen in lingua romanesca. Dopo il lungo testo "Io, il teatro e tutto il resto" (raccolto da Rita Sala), Proietti offre, nella seconda parte del libro, la sua personale selezione dai testi comici scritti in alcuni decenni di carriera artistica, e resi celebri in spettacoli entrati ormai nella storia del teatro. Qui, chi crede di conoscere bene Proietti avrà una ulteriore sorpresa. Quella di scoprire un grande scrittore di cui ogni singola pagina è da godere, anche "soltanto" alla lettura. Basta nominare un testo di valore assoluto, come Toto, diventato una leggenda per decine di migliaia di spettatori che ogni volta "recitano" il testo insieme con l'attore, rinnovando quella "festosità" travolgente e illuminata che è forse l'anima più vera dell'artista Gigi Proietti.
Qual è il volto del Potere? E come muoversi di fronte alle sue assurde sopraffazioni e violenze? Nell'atto unico 'L'udienza', scritto nel 1975 quando i carri armati avevano da tempo schiacciato il sogno della Primavera di Praga Václav Havel ci presenta un colloquio al tempo stesso realissimo e grottesco: perseguitato per le sue idee e di conseguenza costretto a guadagnarsi da vivere come scaricatore di barili in uno squallido birrificio, un drammaturgo è ricevuto dal "capo" alcolizzato da cui dipende tutto il suo destino. In questa "udienza" dai riverberi ora sinistri, ora superbamente comici, il grande scrittore ceco si dimostra uno spietato analista dei meccanismi che portano alla repressione delle libertà individuali, che trasformano gli uomini in delatori, vittime e carnefici.
Nella raccolta di questi monologhi e soliloqui - il cui scopo essenziale, anche se non l'unico, è fornire alle attrici una scelta di testi praticabili in sede di provini e audizioni - è stato preferito un criterio di pura "efficienza" a quello di una diligente sistematizzazione scolastica. Accanto agli estratti di pièces ancora poco note o addirittura inedite, compaiono brani provenienti dalla letteratura, dal cinema e in un paio di casi da epistolari, gli uni e gli altri scelti in virtù degli originali e inconsueti approcci che offrono alla sfida interpretativa. Di volta in volta introdotti da illuminanti note esplicative (in alcuni casi a cura degli stessi autori), nel loro insieme essi suggeriscono gli umori e le atmosfere cangianti della modernità, spesso non estranea a spiazzanti rivisitazioni dei grandi miti.
L'autore ha sempre alternato poesia e teatro, e ora ritorna con un dramma in prosa: un'opera tesa, con l'andamento di un thriller, un avventuroso giallo barocco, dove in un'Italia centro-meridionale del Seicento un uomo fugge inseguito da oscuri sicari. Il fuggiasco è il celebre pittore Caravaggio.
Oggi siamo abituati a considerare il teatro come la fusione di diversi aspetti: il testo, la regia e la recitazione. In realtà, quanto adesso ci appare scontato, è frutto di una radicale trasformazione che maturò in Italia alla fine dell'Ottocento (per la precisione tra il 1860 e il 1890). Come mostra Gaetano Oliva in questo libro, infatti, prima era l'attore a dominare: si costruiva le parti, si organizzava la regia e spesso modificava come meglio credeva il testo in modo da poter primeggiare. Era molto comune che i testi di Shakespeare o Ibsen o Cechov venissero tagliati e riassemblati in funzione delle esigenze dell'attore. Fu solo nella seconda metà del XIX secolo che cominciò a delinearsi la nuova figura del drammaturgo professionista, che non era al servizio stabile di una compagnia, né voleva scrivere per attori o per capocomici, ma intendeva produrre testi originali. Il tramonto del Grande Attore lasciò lo spazio alla nascita di una nuova figura: quella del regista. Questi era l'esperto addetto alla supervisione generale dell'opera ed era colui che acquisiva il compito di interpretare l'idea dell'autore, ponendosi come intermediario tra il testo e l'attore.
Il teatro e l'impegno politico e civile; il rapporto con Milano e quello con la religione; l'interesse per la tradizione popolare italiana e quello per le arti figurative: seguendo il ritmo pacato delle domande postegli dalla giornalista del "Corriere della Sera" Giuseppina Manin, il premio Nobel racconta se stesso, attraversando in molte direzioni la sua esperienza di attore e autore e offrendo a chi lo ascolta il senso di un percorso intellettuale, una sorta di bilancio ma anche una riflessione rivolta al futuro, piena di curiosità e di emozione, di intelligenza e anticonformismo.