Nella vicenda di Faust, simbolo dell'anima umana lacerata dal conflitto tra bene e male, salvezza e dannazione, si mescolano magia e filtri di giovinezza, patti col demonio e tragedie d'amore. Già presente nella cultura europea, essa venne interpretata da autori di ogni epoca, da Christopher Marlowe a Paul Valéry, da Lessing a Thomas Mann. Goethe iniziò a stendere un testo teatrale sulla leggenda di Faust a diciannove anni e vi lavorò per tutta la vita, approdando a una versione definitiva del dramma solo nel 1831, pochi mesi prima della morte.
Verso la fine del Cinquecento, un giovanotto di provincia si trasferisce a Londra. Non è ricco di famiglia, non ha conoscenze importanti, non ha studiato all'università. Il suo nome è William Shakespeare, e diventerà il drammaturgo più importante di tutti i tempi. Da dove nasce un'opera così stupefacente? Come, insomma, Shakespeare diventa Shakespeare? Ricostruendo la vita del grande scrittore inglese, questo libro prova a svelare il mistero di una forza creativa tanto straordinaria. Ma è insieme anche la storia dell'Inghilterra elisabettiana con le sue feste e le sue drammatiche pestilenze, è la storia di Christopher Marlowe, di Thomas Lodge, di Robert Greene e di un grande teatro dalle pareti in legno. Ed è la storia di un mondo di parole. Parole serie e comiche, poetiche e volgari, che hanno la forza insieme dei libri e della vita.
C'era una volta una grande tenda da circo, dove un giorno non si sentirono più i ruggiti dei leoni ma rumori di teatro: quel circo si era trasformato in un teatro tenda. Per lo spettacolo servivano un paio di pantaloni neri, una camicia bianca e una cassa che nel tempo si è riempita di personaggi e di storie e sonetti e novellacce, alcuni approdati sulla scena, altri rimasti nascosti nel camerino. A cominciare dalla grande rappresentazione sacra di Giubileo, passando da Gaetanaccio a Edmund Kean, Gigi Proietti, o meglio il dottor Divago, racconta in questo libro di mondi perduti e di altri vicinissimi a noi. Sono novellacce dietro le quinte, rubate tra una battuta di scena e l'altra, battibecchi fra le sarte e i giovani attori, ma anche squarci di cronaca come la decisione di quel sindaco che voleva cancellare S.P.Q.R. e sostituirlo con RoMe&You. E tra un racconto e l'altro fanno capolino molti sonetti e poesie, annotati di corsa dietro una scaletta, poco prima di cambiare l'abito e riaggiustare il trucco. Il risultato è un racconto nel racconto di pensieri arruffati, atti unici, odori, abitudini che segnano il ritorno di un grande affabulatore capace di far sorridere e commuovere con le sue cronache ad alto tasso di romanità. E non solo, perché questo diario-de-camerino è un'occasione per vedere il lavoro dell'attore da vicino, spiarne la meticolosità maniacale, l'incanto ossessivo.
Scritti nel XIX secolo da Charles e Mary Lamb, I "Racconti da Shakespeare" sono un classico della letteratura inglese. Questi adattamenti, o "riassunti imperfetti" come li definiscono gli stessi autori, ritraggono l'universo shakespeariano, del quale conservano il fascino e le atmosfere. Macbeth; Sogno di una notte di mezza estate; Otello; Amleto; Molto rumore per nulla; Re Lear. Età di lettura: da 10 anni.
"lo, Edipo: il mio nome è noto a tutti". Così si presenta sulla scena il protagonista del capolavoro sofocleo, andato in scena ad Atene nella seconda metà del V sec. a.C.; e anch'esso, come il suo protagonista, è noto a tutti: non solo perché - a partire da Aristotele - l'Edipo Re è considerato il più canonico prodotto del teatro antico, ma anche perché nella vicenda di Edipo Freud ha visto il massimo paradigma dell'esistenza umana, combattuta fra orgoglio intellettuale e forze irrazionali dell'inconscio. Individuo e famiglia, famiglia e polis, razionalità politica e potenze sovrumane: questi sono alcuni dei poli fra cui si svolge, esemplare, la vicenda del re tebano, che della classicità ateniese costituisce, più che il coronamento, il doloroso e tormentato congedo.
"Immaginateveli, sì, i vostri figli o alunni come se fossero degli asinelli, perché asini lo sono davvero - so bene che su questo punto siete d'accordo con me - ma immaginateli come asini turbolenti, pieni di paure e ombre, ma anche di desideri inconfessati, di passioni inespresse, affamati di vita, di ignoto, di sogni. Spesso a voi insegnanti e genitori nascondono questi sogni, se li tengono per sé, vi si rifugiano dentro come le talpe nelle loro gallerie sotterranee: è la loro tattica di sopravvivenza, non si palesano quasi mai davanti ai vostri occhi come realmente sono. Dall'altra parte immaginate i testi antichi del teatro, I classici polverosi dai nomi impronunciabili: da Eschilo all'Aristofane che campeggia nel titolo di questo libro, da Plauto a Molière a Shakespeare, fino ad Alfred Jarry, fino a Bertolt Brecht. Guardateli insieme, gli asini e i classici, i barbari e la biblioteca: niente di più lontano, dite voi? Avete ragione: un adolescente di oggi conosce tutti i tipi di iPhone, e sa smanettare su ogni tastiera elettronica; che hanno a che fare con lui quei busti da museo, quelle barbe intimorenti e quella noia annunciata? Nulla. Gli asinelli e i classici sono legni che appartengono ad alberi lontanissimi tra loro, ai confini opposti della foresta, destinati a non incontrarsi. Ma se qualcuno fosse in grado di avvicinarli?" (Marco Martinelli)
«Il giorno in cui ebbi in mano il copione de La terra non sarà distrutta e lo ebbi letto, fui colto dapprima da sgomento per la potenza della tematica affrontata e, quindi, da smarrimento di fronte ad un testo ove diversi tipi di linguaggio si intersecavano (da quello squisitamente teatrale, a quello cinematografico e infine a quello solenne e disteso della poesia religiosa); ma insieme, quasi a contrappunto e a sfida, fui solleticato dalla lusinga di realizzare uno spettacolo tutto da inventare.»
(testimonianza del regista della prima rappresentazione nel 1962, Gianni Gregoricchio)
«Ricordo una immediata felicità interpretativa – cosa che a teatro capita molto raramente – che faceva sì che io mi sentissi... protetto dal ruolo, perché percepivo dentro quelle parole una sorta di palpito indefinibile ma rassicurante. Chiaro, La passione di san Lorenzo racconta di conflitti, sofferenze, difficoltà, angosce, ma è percorsa da una grande serenità, ed è proprio questo che io sentivo, come se mentre dicevo e recitavo quelle battute ci fosse dietro di me una specie di grande mano protettrice. Un testo poetico, insomma, con una grande anima, pro­fondamente sentito, motivato...»
(testimonianza di Egisto Marcucci, attore)
L'Italia è forse l'unico paese occidentale che ospiti teatri di ogni epoca: vederli equivale a ripercorrere l'intera storia del teatro. Mirabili teatri greci come quello di Siracusa e altrettanto ben conservati teatri romani, teatri rinascimentali come l'Olimpico di Vicenza e il teatro di Sabbioneta, teatri barocchi come La Pergola di Firenze, magnifiche sale settecentesche, dal Teatro Argentina a Roma alla Scala a Milano. Non mancano miriadi di teatrini di Palazzo e splendidi teatri novecenteschi, dal liberty puro dello Jovinelli di Roma ai numerosi teatri multifunzionali odierni. Fregi, piante delle sale, macchinari d'epoca, foyer e camerini recano traccia delle società che quei luoghi hanno frequentato condividendone l'immaginario.
Diversamente dalle altre aree del mondo nelle quali si trovarono a operare, i missionari della Compagnia di Gesù dovettero misurarsi in Giappone con l’ostilità di una buona parte dell’aristocrazia, che si riteneva depositaria di una civiltà superiore, e della casta dei Bonzi, che vedeva i propri privilegi minacciati dal pericolo di una nuova religione. Tali difficoltà di insediamento, unitamente al problema della lingua, misero a dura prova le capacità inventive e il processo di adattamento al territorio. Il risultato fu, nelle arti sceniche, una lenta ma progressiva evoluzione di tecniche di rappresentazione, il più delle volte inedite e originali, che non mancarono di utilizzare forme espressive topiche, approdando in qualche caso a veri e propri sincretismi che riguardarono anche il teatro Nō. Ambientato fondamentalmente nel clima della cerimonialità festiva del Natale e della Settimana Santa, il percorso evangelizzatore dei gesuiti consentì in questo modo per la prima volta, anche nei campi della musica, della danza e del teatro, l’incontro fra la cultura occidentale e quella giapponese, determinando contaminazioni che attendono di essere riconosciute nel panorama internazionale della storiografia dello spettacolo.
La illimitata libertà spaziale e temporale (l'azione, che è quella dell'amore fatale di Antonio e Cleopatra, ma anche quella delle lotte tra i triumviri dopo la morte di Giulio Cesare e della nascita dell'Impero, percorre le città, le terre e i mari di tre continenti), la mescolanza di comico e tragico, le trasgressioni sceniche e linguistiche, sono tutti elementi che raggiungono in quest'opera della piena maturità del drammaturgo (la datazione si può collocare intorno a1 1608) il loro vero e proprio apogeo. "Antonio e Cleopatra" è una grande tragedia d'amore, un grande dramma politico ma anche un discorso sull'arte e sull'esperienza artistica.
Il romanzo della vita di Shakespeare: così può essere definita questa monumentale biografia che penetra così a fondo nel mondo e nelle vicende più salienti dell'esistenza del genio inglese da apparire più come l'opera di un scrittore coevo che quella di un biografo del ventunesimo secolo. Shakespeare nacque a Stratford il 23 aprile del 1564 e morì nella stessa piccola città inglese nel 1616. Gli amici di Stratford furono i suoi amici di sempre, le persone che accompagnarono l'intera sua esistenza. Lavorò in teatro, recitando nelle prime sale londinesi e riscrivendo e componendo per una serie di compagnie determinate quali "The Queen's Men", "The Lord Chamberlain's Men" e "The King's Men". Un piccolo mondo, preciso, costante. Peter Ackroyd ci accompagna innanzi tutto nel paesaggio di questo mondo. Percorre le strade di Stratford e Londra, a cavallo tra Cinquecento e Seicento, come se appartenesse pienamente a quel tempo. Descrive l'ambiente teatrale come se fosse uno spettatore elisabettiano e assistesse alle prime rappresentazioni delle tragedie e delle commedie. Scrive dello Shakespeare attore, drammaturgo e poeta, e dunque della sua cerchia di impresari, attori e coautori e della loro "comunanza di sentimenti". Ritesse, insomma, non solo la tela dell'epoca di Shakespeare, ma ne ravviva i colori e le sfumature come se fossero appena dipinti.