
Dal romanico al liberty, il libro spiega al lettore come riconoscere e contestualizzare gli stili che caratterizzano 1000 anni di arte. Ogni stile è declinato attraverso le varie arti: la pittura, la scultura, l'architettura ma anche mobili, arazzi, oreficerie, ceramiche. Abbondantemente illustrato e corredato di testi chiari e accessibili, il libro orienta il lettore nel diversificato panorama artistico di tutti i tempi, evidenziando le principali caratteristiche degli stili, ma anche le peculiarità di sviluppi locali.
Nel 2008, a sedici anni dalla scomparsa dell'artista, nel pieno di uno sviluppo storiografico che deve rinunciare al rapporto con la sua persona e con l'evoluzione della sua opera, la critica si trova in una fase così delicata da richiedere una verifica del modo di leggere e recepire l'arte di Francis Bacon. Luigi Ficacci torna a indagare un aspetto particolare della sua poetica: il profondo rapporto che lega i due grandi maestri nell'identica percezione di un flusso della spiritualità umana in cui entrambi collocano l'arte, un flusso che condurrà l'occhio odierno a guardare Michelangelo con l'esilarante disperazione di Francis Bacon. Il fulcro del saggio è "Study from the Human Body" di Melbourne: un titolo simile avrebbe potuto essere attribuito facilmente a un disegno di Michelangelo. È un eroe-uomo colto in un passaggio di evanescenza dalla propria potenza; figura dalla sensualità oscura, gravata da un imprecisabile senso di tragedia, carica di potenza e disfatta. Bacon di spalle, mentre esce di scena, rivela un aspetto di grevezza del meccanismo della forza, qualcosa che svela il peso schiacciante della potenza e la vulnerabilità dell'uomo; ma anche lo stato latente della sua forza animale e la possibilità, nell'azione, di elevarsi istantaneamente a una violenza oltre i limiti; e anche che la potenza e la sua capacità di trasfigurare il corpo sono governati da un'incombenza dell'irrazionale o del fato, più che da un'azione determinata dalla volontà.
La collezione di Ardea è costituita da più di ottanta opere tra sculture, bozzetti e medaglie, quasi tutte in bronzo, realizzate da Manzù tra il 1927 e il 1984, e da circa trecentotrenta opere tra disegni, incisioni e bozzetti di costumi teatrali, eseguiti tra il 1940 e il 1980. La mostra presenta una selezione di un centinaio di disegni e incisioni dell'artista dal 1937 al 1980, la maggior parte dei quali molto raramente esposta al pubblico. La divisione cronologica permetterà di avvicinarsi al lavoro dell'artista, evidenziando i suoi cicli tematici quali le serie di schizzi dedicati a Papa Giovanni, i Partigiani, sua moglie Inge o ancora gli Amanti.
Non un testo sistematico, ma una raccolta variegata di interventi che consentono di cogliere le diverse forme espressive dell'arte contemporanea in ambiti non convenzionali, dalla moda al libro, dal bodydesign al disco. L'arte come contaminazione tra linguaggi diversi, sconfinamento da una materia all'altra, da una tecnica all'altra, da un'espressività all'altra. La trasformazione dei musei, da istituzioni per la conservazione di opere a macchina da spettacolo e di qualificazione urbana. L'architettura, la cui capacità progettuale, amplificata dalle nuove tecnologie virtuali, espande le potenzialità comunicative fino a diventare visione totale a cui concorrono anche pittori e scultori. Il libro apre a una modalità di fare arte, di che cosa è arte oggi, in cui le distinzioni si fondono e si confondono, in un rapporto fluido di tutti i modi di espressione.
Questo volume affronta tutti gli aspetti del mondo della musica, tracciandone i percorsi, dalla conoscenza del linguaggio all'illustrazione storica degli strumenti, dall'esposizione delle forme costitutive all'enunciazione storica della sua evoluzione, fino alla descrizione delle discipline afferenti.
Arabi, turchi, africani, egiziani, cinesi, giapponesi, pagani, barbari, shintoisti, musulmani: sono tante le "realtà" - culturali, geografiche, religiose, antropologiche -, diverse da quella occidentale, che hanno trovato spazio nell'opera lirica. Molte di queste realtà, peraltro, hanno consentito all'Occidente di giungere, progressivamente e in un confronto storico articolato e complesso, alla definizione (ancora mutevole) di se stesso. L'opera lirica, pertanto, oltre che come prodotto artistico, può configurarsi anche come documento, capace di restituirci frammenti dell'immagine che l'Occidente ha "inventato" delle suddette realtà: nel modo in cui le ha rappresentate a teatro; nella voce che ad esse è stata data nel canto dei protagonisti; nel confronto scenico, talvolta ironico e talaltra drammatico, fra la cultura occidentale e l'altro da sé.
Pochi studiosi hanno inciso sul pensiero e sulla cultura artistica del proprio tempo come Johann Joachim Winckelmann; ma il suo lascito va ben oltre il Settecento, se è vero che da allora e anche oggi lo si riconosce come fondatore dell'archeologia classica e della storia dell'arte. Proprio l'unanimità di questo riconoscimento ha portato spesso a guardare alla sua opera come a una sorta di monumento, ingessandone il contenuto in rigide formule, oppure identificandola completamente con l'esperienza neoclassica. In realtà i "Pensieri" del 1755 e i brevi scritti degli anni successivi, come poi le opere della maturità - la "Storia dell'arte nell'antichità" e i "Monumenti antichi inediti" - mostrano continuamente la ricchezza e la vivacità del suo pensiero, l'acutezza delle osservazioni sull'arte degli antichi e su quella dei moderni, la capacità di proporre ampie visioni storiche, ma anche di decifrare il minimo dettaglio. Nel frattempo la modernità viene posta di fronte al mondo classico e costretta a confrontarsi con quello, da una parte sul piano dell'arte, dall'altra secondo la prospettiva della vita culturale, dei comportamenti, delle strutture politiche. L'antologia di scritti, apparsa da Einaudi già nel 1943, viene ora riproposta con testi recuperati nella loro integrità, una nuova scelta di passi, una bibliografia aggiornata e un apparato di note di commento.
È il problema che passa nella testa di ogni visitatore di musei e gallerie, che appassiona gli amanti dell'arte e tormenta i filosofi: che cos'è mai un'opera d'arte, se oggi persino una scatola di detersivo può esserlo? Nel rispondere a questa domanda, Arthur Danto compie uno straordinario tour de force attraverso l'espressionismo astratto e la Pop Art, l'arte concettuale e il minimalismo, i racconti di Borges e i quadri di Brueghel, le poesie di Auden e i grandi nomi della filosofia analitica e continentale, costruendo quella che è diventata una pietra miliare della filosofia dell'arte e un punto di riferimento imprescindibile per la critica d'arte contemporanea.
La città europea è da sempre l'ambiente della civitas democratica occidentale. Quello dove i cittadini si riconoscono come tali, dove sono cresciuti i diritti umani e le libertà. Per questo i muri dell'urbs sono stati immaginati con la pretesa di offrire una prospettiva di eternità nella quale radicare le speranze terrene e riconoscersi pienamente come cittadini. Il degrado delle periferie europee, i cui abitanti sono privati della loro appartenenza alla civitas è uno dei disastri del Novecento. L'Europa è stata capace di risollevarsi dalle sbandate per i totalitarismi, salvata dall'antica radice democratica della civitas, ma non sembra ancora avviata a rigenerare con altrettanta consapevolezza la consolidata figura dell'urbs. Senza alcuna nostalgia tradizionalista, Marco Romano invita a riscoprire il linguaggio consolidato attraverso i secoli nella sfera estetica della città. Quel linguaggio che non è soltanto una declinazione artistica tra le tante, ma il solo modo con il quale la civitas esprime il sentimento della propria cittadinanza e il riconoscimento della dignità dei suoi cittadini.
Questo volumetto intende uscire dall'idea stereotipata dell'arte africana che vede, con sguardo coloniale, una supposta "africanità" come involucro unificante di un intero continente. Si è cercato piuttosto di introdursi alle molteplici produzioni artistiche antiche, tradizionali e contemporanee che si incontrano nel continente africano per coglierne il diverso divenire, pur nelle costrizioni dell'evento coloniale. Da come l'Occidente ha "visto" l'Africa si passa a come l'Africa ha influenzato l'Occidente, a cui però è sfuggito il contesto delle opere che lo attraevano.