Con le "Vite di Temistocle e di Camillo", a cura di Carlo Carena, Mario Manfredini e Luigi Piccirilli, la Fondazione Valla prosegue l'edizione di tutte le Vite di Plutarco, in un nuovo testo critico e con un ampio commento scientifico.
In Temistocle, Tucidide scorse un supremo leader politico, capace di trasformare Atene da piccola città agricola in impero marinaro; mentre i nemici videro in lui il simbolo di ogni vizio. Ai nostri occhi, Temistocle incarna nella sua figura tre singolari qualità umane: un'ambizione divorante, una bruciante passione per il potere e la gloria, che lo spinse a violare la "misura" raccomandata dai moralisti antichi; un'intelligenza astuta, duttile, tortuosa e labirintica, come quella di Ulisse (i Persiani lo definivano "una serpe greca dal dorso screziato") ; e un carisma visionario, che gli apportava le rivelazioni decisive in sogno. Raccontandone la vita, come sempre gli accade quando si tratta di eroi della "dismisura", Plutarco esibisce le sue eccelse doti narrative: nessun lettore di questo volume potrà facilmente dimenticare episodi come l'abbandono di Atene, l'invasione persiana, la battaglia di Salamina, gli ultimi anni di Temistocle.
Con la "Vita di Camillo", Plutarco compie un altro dei suoi scavi nell'enigma di Roma arcaica. Camillo dedica un tempio a Mater Matuta, dea dell'aurora: egli è colui che trionfa all'alba; e come Mercurio, di cui porta il nome, si serve del fuoco e del "furto" per avere il sopravvento sui nemici. Attorno a lui, una Roma tutta immersa nel prodigioso e nel sacro: laghi che straripano a causa di sacrilegi, statue che parlano e sudano, oracoli da interpretare, i segreti delle Vestali. Compaiono i Galli, minacciando Roma di irreparabile rovina: e Plutarco rappresenta la loro invasione come la storia della migrazione di gente del nord da luoghi ricchi d'ombra verso il caldo di un paese pianeggiante e insalubre.
Indice - Sommario
Introduzione
Appendice all'Introduzione
Bibliografia generale
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
La vita di Temistocle
La vita di Camillo
Scoli
COMMENTO
La vita di Temistocle
La vita di Camillo
APPENDICE
Nota al testo
Addenda
Indice dei nomi
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
La "Vita di Temistocle". Generalmente si ritiene che Temistocle sia un personaggio caratterizzato storicamente meglio di Solone; tuttavia, la cronologia degli avvenimenti della sua vita è quanto mai incerta e costituisce oggetto di discussione da parte degli studiosi moderni. Neppure del suo tradimento fu addotta mai una prova decisiva, nonostante le accuse dei suoi avversari. Per le sue non comuni doti di abilità e di scaltrezza, per la sua capacità di trarre profitto da ogni situazione, per il suo programma marittimo volto sia verso l'Oriente sia verso l'Occidente, Temistocle appare per un verso la prefigurazione di Alcibiade e per un altro quella di Pericle. Non è tutto : egli è stato definito a ragione "un type d'homme a métis"; e infatti, più d'ogni altro, pare incarnare quella forma d'intelligenza pratica, chiamata dai Greci metis e contraddistinta dall'inganno, dalla sorpresa e soprattutto dall'astuzia, che implica una permanente minaccia per ogni tipo di ordine costituito. E ciò in quanto la metis - si sa - opera nel dominio del mutevole e dell'imprevisto per meglio capovolgere situazioni e gerarchie già costituite, ricorrendo ad armi particolari, come reti, nasse, esche, lacci, trappole, trabocchetti, insomma a tutto ciò che è intessuto, ordito, macchinato. Temistocle presenta appunto una mente equivoca, tortuosa e complicata come i labirinti; è dotato d'intelligenza pratica; possiede la saggezza (sophia), cioè l'abilità politica (deinotes politike), e l'intelligenza che presiede all'azione (drasterios synesis: 2,6). Secondo la tradizione (2,6 sg.), egli aveva appreso tali qualità da Mnesifilo (una specie di "doppio" dell'intelligenza temistoclea), che gli suggerì un piano estremamente astuto, a cui Temistocle dovrà la sua fama: la trappola di Salamina, grazie alla quale i Greci riuscirono a mutare a proprio vantaggio una situazione di netta inferiorità. Lo stratagemma, seguito o ideato da Temistocle, pare ispirarsi a un procedimento in uso presso i pescatori, vale a dire all'accerchiamento con cui essi catturano alcuni pesci. A Salamina, il greco Temistocle manovrò come alla pesca del tonno: attirata con l'inganno (lo stratagemma di Sicinno: 12,5 sgg.) la flotta nemica, chiuse la rete e i Persiani si trovarono intrappolati come tonni. Proprio per tali qualità (raggiro, astuzia, dolo, ecc.), che gli valsero presso gli antichi e i moderni l'appellativo di Odisseo, Temistocle divenne oggetto di critiche e di lodi. Già il suo maestro - narra Plutarco (2,2) - soleva dirgli che sarebbe diventato grande in tutto, nel bene come nel male; e infatti il suo operato diede origine ben presto a due tradizioni storiografiche, l'una ostile e l'altra elogiativa.
La prima, che tendeva a metterne in rilievo l'astuzia, l'avidità e la corruttibilità, è testimoniata da Timocreonte ed Erodoto. Mentre, però, la polemica di Timocreonte, che rappresentò Temistocle come un uomo facile alla corruzione, privo di scrupoli e ambizioso (21,5 sgg.), ebbe carattere soprattutto personale senza alcuna (o con attenuata) implicazione politica, il ritratto erodoteo, poco lusinghiero, fu frutto dell'avversione nei confronti di Temistocle delle fonti d'informazione da cui attinse lo storico. Un esame, anche superficiale, dei passi di Erodoto rivela che Temistocle è sì la figura che domina la narrazione della guerra contro Serse, ma che la sua personalità viene presentata sotto una luce ambigua: è esaltata l'astuzia, mai la genialità; non è lui l'artefice del successo di Salamina, ma Mnesifilo (VIII 57 sg.); per soddisfare l'insaziabile pleonexia ("avidità"), si procura ricchezze all'insaputa degli altri comandanti, estorcendo denaro agli abitanti di Paro e di Caristo (VIII 112); sfruttando ogni occasione per il proprio tornaconto, cerca di cattivarsi le empatie dei Persiani (VIII 109 sg.). La descrizione erodotea evoca subito alla mente l'erma-ritratto di Temistocle, rinvenuta a Ostia nel 1959 e dalla quale pare sprigionarsi una forza fisica rattenuta, una violenza e un'ostinazione che può mutarsi in qualsiasi momento in furore. Il ritratto sembra adattarsi perfettamente a quel Temistocle che, esigendo denaro dagli Andri, affermava di essere giunto presso di loro in compagnia di due dee, la Persuasione e la Necessità (Erodoto, VIII 111). Gli elogi sono pochissimi (VII 144; VIII 110): solo una volta Erodoto, parlando di lui, afferma che "ebbe voce e fama" di essere di gran lunga il più saggio di tutti i Greci (VIII 124); ma questa connotazione di Temistocle quale sophotatos appare essere piuttosto opinione degli altri che dello storico, quasi egli intendesse scindere, in tale giudizio, la propria valutazione dalla communis opinio, La palese partigianeria, che evidenzia soprattutto i difetti di Temistocle, pare provenire a Erodoto dalla sua simpatia nei confronti degli Alcrneonidi (V 62-71; VI 121-51) e dei Cerici (gli "Araldi" dei misteri eleusini): ai primi apparteneva quel Leobote che presentò l'accusa di tradimento contro Temistocle (25,1; Mar, 605 e), ai secondi il suo avversario politico, Aristide (Arisi. 25,4 e 6), legato pure agli Alcrneonidi {Arisi. 2,1 ; Mor. 790 f; 805 f). E questo spiega anche la lode erodotea tributata ad Aristide, definito "l'uomo migliore e il più giusto di Atene" (Vili 79). Tuttavia, al tempo in cui Erodoto scriveva le Storie (450-20 circa), la "leggenda" di Temistocle s'era già formata, e il contrasto fra lui tutto scaltrezza (sophotatos) e Aristide tutto giustizia (dikaiotatos) difficilmente poteva passare in secondo piano: la disonestà dell'uno risultava evidente dalle accuse di Timocreonte, l'onestà dell'altro veniva esaltata quasi polemicamente dagli alleati di Atene, i quali, sottoposti dopo il 478/7 a contribuzioni sempre più gravose, provavano nostalgia per le fasi iniziali della lega delio-attica e vedevano in Aristide il realizzatore di un sistema più equanime di quello attuato da Pericle.
Scritte tra il 65 e il 43 a. C., nell'arco del cruciale ventennio che vide la rovinosa e inarrestabile crisi della Repubblica, le "Lettere" di Cicerone costituiscono una testimonianza preziosa, anche se inevitabilmente parziale, della vita pubblica di quegli anni. Esponente di spicco del partito conservatore, Cicerone scrive ai familiari, agli amici e ai compagni di partito, rivelandoci le raffinatezze di un'élite ormai in declino ma anche gli oscuri retroscena della lotta politica, le trame segrete delle rivalità e delle alleanze e gli inevitabili maneggi su cui si fondava il potere. Luca Canali esplora nell'introduzione l'interiorità dell'uomo Cicerone; nella premessa al testo Giorgio Brugnoli analizza la carriera politica del grande oratore e il ruolo delle "Lettere" nell'insieme della sua opera.
Al commento delle Lettere 94 e 95 di Seneca, che qui presento, intende ]ungere da introduzione il mio volume Educazione alla sapientia in Seneca, Brescia ~978. Da ciò dipende che l'esame linguistico-lessicale occupi qui uno spazio maggiore rispetto al chiarimento dei concetti filosofici, che considero ormai presupposto; ed è anche questa la ragione per cui sono stata costretta a rinviare ad un'opera mia con più frequenza di quanto mi piacesse.
Ho abbondato in citazioni anche estese di passi paralleli, perché ho pensato di riuscire in tal modo a porre debitamente in luce una delle caratteristiche più spiccate della prosa senecana: la ripresa di concetti già espressi altrove; essa avviene ora in/orma assai breve e semplicemente allusiva, ora con variazioni più o meno/orti che servono a chiarirli o ampliarli, sempre, comunque, mediante il richiamo significativo di alcuni termini chiave, che segnalano al lettore il ritorno di un motivo caro all'autore. Per questa ragione ci è sembrato che, se l'antica norma: "Omeron ex Omèrou safenìzein' vale certo per ogni autore, essa offra applicazione di particolare utilità nel caso di Seneca.
Ho rimandato ai libri senecani di mio marito più di quanto desiderassimo lui ed io e ne chiedo scusa al Lettore, ma rientra nello spirito della collana in cui appare il commento - nonché nelle norme dei direttori di essa - che una cosa già detta non venga ripetuta e ci si limiti a un rimando (salvo naturalmente il caso di aggiunte o correzioni). Questo stesso spirito comporta, d'altro canto, l'impegno a commentare in modo quanto possibile esauriente quei termini o concetti che appaiono per la prima volta, così da offrire eguali possibilità di rimando ai futuri commentatori. Ciò valga a giustificare l'ampiezza di alcune note che vorrebbero tener conto di gran parte dell'opera senecana.
Dopo le edizioni autorevoli del Haase, del Hense, del Be#rami, del Préchac e del Reynolds, mi è sembrato di po.
terrei fidare, per la costituzione del testo, dell'ultimo di tali editori, il Reynolds; mi limito, quindi, a segnalare i pochi passi in cui me ne discosto.
Ha letto in bozze tutto il mio lavoro l'amico pro/. Alberto Grilli: le sue molte osservazioni e suggestioni mi hanno permesso di correggere e migliorare; la gratitudine che gli debbo - e che qui gli esprimo cordialmente - credo quindi possa essere condivisa anche dal Lettore. Di quanto sia debitrice a mio marito, ho già detto nella premessa alla mia Educazione alla sapíentía,, mi basta qui ribadire che anche nella preparazione di questo commento ho potuto godere del suo consiglio e del suo sostegno.
Parma, Università, giugno ~979.
Maria Scarpat Bellincioni
È un dramma pastorale in cinque atti. Il pastore Aminta ama la ninfa Silvia che, seguace di Diana, disprezza il suo amore. Quando Aminta viene a sapere che Silvia è morta, divorata dai lupi, per la disperazione si getta da una rupe. Silvia però è viva e, conosciuto il gesto di Aminta, capisce di amarlo. Il giovane pastore, miracolosamente incolume, riesce così a conquistare la bella ninfa.